C’era
un bosco spontaneo vicino alla casa, un bosco cresciuto sulle macerie lasciate
dalla guerra. Si poteva andare a passeggio, inoltrarsi nel fitto degli alberi e
tutta la città intorno smetteva di esistere. Solo i fantasmi respiravano tra i
cespugli e le fronde basse, in quella luce verde che chiamava altra luce,
mentre le ombre si ritiravano in buon ordine negli angoli più lontani. Non
lontano dal bosco c’era una casa risparmiata dai bombardamenti che era stata
finita poco prima dello scoppio della guerra e lì era rimasta per decenni.
Sembrava sbarrata dall’esterno ma era possibile scivolare in una finestrella
della cantina e poi risalire fino al piano terra e poi su, due piani e la
soffitta. Anche da lì era possibile arrampicarsi sul tetto e guardare la
vecchia scuola e il bosco e intorno quel che era rimasto della grande fabbrica,
qualche finestra con le inferriate senza più vetri, l’ingresso delle maestranze
e poi dove c’erano gli immensi telai solo il bosco, i cespugli, gli uccelli di
passo, le ombre e i fantasmi silenziosi. Delle maestose ciminiere non era
rimasto che il fumo, vago e disperso, che ancora aleggiava nel cielo della
città. In un’altra via, ancora poco distante, c’era la casa misteriosa dove i
fantasmi abitavano all’insaputa dei vivi, nessuno ci faceva caso, nessuno
cercava di entrare, perché i fantasmi hanno questa qualità speciale di non
attirare l’attenzione, di scivolare tra le pieghe del giorno e solo quando ci
passano molto vicino, sentiamo un brivido lungo la schiena perché assorbono
tutto il calore intorno e anche il nostro, solo così possono continuare a
esistere in questa realtà che amano così tanto da non volerla lasciare. Nel
palazzo della grande fabbrica delle macchine da cucire ci sono appartamenti
ora, i fantasmi hanno traslocato perché quando possono evitano di vivere troppo
a contatto con i viventi. Amano nascondersi all’aperto i fantasmi, anche se noi
preferiamo immaginarli chiusi a infestare le case. Ma loro hanno soprattutto
nostalgia del sole e del vento, del cielo azzurro, per questo non se ne sono
andati.
Solo un alito del
tempo ci separa da loro
Il
gesto è sempre lo stesso:
chinare
il collo all’indietro,
cercare
il sole a occhi chiusi,
a
occhi chiusi guardare intorno,
scoprire
solo con i sensi invisibili
come
si vive in tempi diversi,
e
fare sempre la stessa domanda,
sempre
chiedere: mi ami? Mi ami
ancora?
Ma noi sentiamo solo
un
respiro, un refolo freddo di
vento,
un alito del tempo che
ci
tiene distanti e invisibili gli
uni
agli altri, l’unica difesa per
non
impazzire, ebbri di luce.
Ci
sono giorni come questo, quando il passato respira nel presente e chiama nella
luce coloro che sono stati. Io li sento respirare, li racconto nelle mie
storie, li vedo, cerco di custodire il loro segreto. Non so se sempre ci
riesco, non so per quanto tempo ancora potrò fingere che non ci siano creature
che entrano ed escono da tutte le case, le finestre e i portoni.
Questa
Cronaca 589 di lunedì 18 ottobre del secondo anno senza Carnevale, parla a
bassa voce, respira nel verde del bosco sparito, riconosce le ombre e le separa
dai fantasmi di quelli che sono stati, di quelli che saremo.
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