Quanti anni sono passati da quando ho ricevuto la tua lettera? Se non lo sapessi potrei indagare, decifrare il timbro postale sbiadito e vedere l’anno che è sempre lo stesso da diversi decenni ormai. Posso immaginarti mentre camminavi lungo la strada in discesa che portava al lago, in una chiara mattina di ottobre, proprio come questa. La busta è pesante perché hai scritto parecchi fogli, sono sempre sette anche se li conto a ogni anniversario, come se avessi paura di avere inventato parte della tua lettera o di avere mancato la lettura delle pagine in mezzo. Perché l’inizio e la fine mi sono noti, li conosco a memoria, li potrei scrivere identici ogni giorno. Ma non ho voluto imparare tutte le tue frasi, per poter pensare di non avere colto il senso di tutto quello che mi hai scritto e dirmi “Ecco, non avevo capito, quando avrà finito il viaggio, tornerà”. Ma sono passati gli anni, così come passa il tempo, così come passa ogni istante di cui non sappiano nulla mentre lo viviamo e ancor meno sapremo quando sarà declinato nel nostro passato. Perché la vita è tutta qui, una teoria di frammenti luminosi che vive attraverso di noi e ci oltrepassa, diventa istante, si muove verso la coda delle comete, svanisce. Ma davvero siamo esistiti? Davvero abbiamo vissuto?
Nella
scatola dove conservo la tua lettera ci sono anche tre libri: Le briciole filosofiche di Søren
Kierkegaard, Il teatro e il suo doppio di
Antonin Artaud, il primo volume del Diario
di Anaïs Nin. Sono i tre libri che stavamo leggendo quando ci siamo conosciuti,
mi hai affidato i tuoi dicendomi di conservarli per il tuo ritorno e ora le
pagine sono ingiallite e nessuno, nessuno al mondo legge più Artaud e la Nin,
forse qualche studente di filosofia Kierkegaard, ma che importanza ha? Ci sono
anche le nostre fotografie, i volti splendenti di due ventenni pronti a
divorare il mondo, pronti a farsi divorare. Certo che siamo riusciti a portare
avanti i nostri progetti, il mondo è stato gentile con noi. Anche se non ci
siamo più visti so che sei diventato un uomo famoso, che hai avuto dei figli e
una moglie soltanto. Ti avevo promesso che avrei scritto dei libri e l’ho
fatto, ti avevo promesso che non avrei mai scritto la tua storia, ma come posso
non scriverla ora che il tempo mi ha presentato un nuovo conto? Se non la
scriverò io quella storia chi mai potrebbe scriverla? So che ti riconoscerai
nel libro perché dirò la verità, tutta la verità che le parole mi lasceranno
dire e la finta verità che la letteratura concede ai suoi folli seguaci. So che
non vivi più nel piccolo appartamento, nel palazzo dove vivevano tutti quelli
che non avevano un luogo. Solo il tuo volto aveva la tenerezza di una mano,
solo nella tua casa l’inverno aveva il passo gentile della primavera e mi
accoglieva come se fossi un frutto maturo, il melograno riportato dall’Ade che
avresti tenuto sul tuo tavolo stagione dopo stagione. I libri che mi dicevi di
voler scrivere sono rimasti tutti nelle matite che non hai usato, forse perché sono
nella scatola insieme al tuo quaderno dei racconti. Così ora potrò rileggerlo e
scrivere quelle storie che tu mi hai lasciato come pegno d’amore.
Quando la stagione è
tutte le stagioni
Se
l’amore è una promessa
dimenticata,
allora sarà solo
il
frutto rosso e spezzato che
potrà
ricordarti che non hai
mantenuto
nessuna delle tue
promesse
e che io sola sono
stata
la muta vestale di questa
storia.
Ma Persefone ritorna
sulla
terra per metà dell’anno,
pensa
cosa accadrà quando
le
stagioni mancate saranno
una
sola stagione? La stagione
che
sta per accadere? Sul
tavolo
avremo il frutto e i suoi
fiori
rossi appena sbocciati.
È
questo il segreto della scrittura:
respirare
il fiore e mordere il frutto,
nello
stesso momento.
Il
tuo quaderno ha la copertina d’argento, gli incipit delle tue storie, gli spunti
ora sono tutti miei. Non ci sono storie complete, ma solo immagini e le tue
parole saranno la chiave per entrare nelle case della mia immaginazione dove
forse ti ritroverò intero e intatto, forse perché sei stato tu, anno dopo anno,
a tornare sulla terra, mentre nel cuore della pietra e della lava io ho
lavorato con la forgia e con la mia penna, zoppicando e sudando, sempre da
sola, così come accade a chi ha scelto questo vita, a chi è stato scelto dalle
molte parole che cercavano dimora.
Oggi è sabato 16 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa mitologica Cronaca 587 continua a sfogliare quel quaderno dalla copertina d’argento e mi sussurra “Scrivi, scrivi ancora, scrivi queste storie e voltati indietro. Solo nella perdita nasce la poesia e il poeta è sempre colui che si è voltato”.
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