Ritornare
a camminare nei nostri passi bambini, costeggiare il Naviglio Grande e arrivare
alla Darsena. Non ci sono più né le lavandaie né i barconi che trasportavano la
sabbia. L’ansa finale verso via Gorizia, che dava un’aria così parigina, ha
cambiato forma, sembra rimpicciolita. L’Edicola Radetzky l’hanno pitturato di un blu
China elettrico, uno scempio per lo sguardo, ricordo i giornali, ma più ancora
dei giornali credo di ricordare che negli anni Sessanta ci vendessero anche
sigari e sigarette, ricordo di esserci andata con mio nonno materno. Ma forse è
un falso ricordo, o un ricordo di qualcun altro. Ricordo la lavanderia proprio
sull’angolo dell’Alzaia, dove ho rischiato di morire soffocata perché ho
iniziato a saltellare per gioco, non appena messa in bocca una di quelle
caramelle tonde di zucchero che mi aveva offerto la tintora, fu lei ad
acchiapparmi e a scuotermi sino a che non sputai fuori quell’innocuo dolcetto.
Accanto c’era un negozio di mobili e andando giù verso il Vicolo dei Lavandai,
c’erano rigattieri, un fabbro, il prestiné
dove ora c’è il Libraccio e un pizzicagnolo-salumiere con la vasca della salamoia
dove ora c’è un altro Libraccio. E la latteria del signor Mario giù dal mio
ponte – ora intitolato alla poetessa Alda Merini – il macellaio all’angolo di
Via Magolfa e dall’altro lato del marciapiede il fruttivendolo. Passi bambini
sono stati ricoperti da passi adolescenti e poi giovanili. So che è un
privilegio ritrovare il proprio paesaggio d’infanzia quasi intatto, i palazzi
ci sono ancora tutti, certo ora belli e ristrutturati, un tempo scrostati e
ultra-popolari. Al mio guardare mancano più di tutto i rigattieri e quegli
oggetti che risalivano a prima della guerra, piatti e posate scompagnati,
vecchie borsette, scarpe e vestiti anni Trenta e Quaranta.
Questa
mattina ho passeggiato su e giù per i Navigli, in piazza XXIV maggio, corso San
Gottardo, mi sono fermata a contemplare Porta
Cica, la grande quercia rossa che domina la piazza, gigante ferito e
immortale. E poi corso di Porta Ticinese, piazza Sant’Eustorgio e il mercatino
del sabato mattina, via Scaldasole e la bella libreria antiquaria Alfea, l’odore
impagabile dei libri, un’edizione settecentesca di Montaigne e una degli anni
Quaranta dei racconti di Virginia Woolf. Non ci sono ricordi, memorie, luoghi d’infanzia
senza libri, senza le loro storie, senza la sapienza che racchiudono e la
compagnia, i viaggi in altri mondi, la gioia di essere qui e altrove nello
stesso momento.
Effetti del paesaggio
d’infanzia sulla mente del poeta
Basta
una piccola ombra
a
riportare sul selciato
quelle
che erano le ombre
grandi
della mia famiglia,
i
nonni e gli zii, i genitori
tutti
in posa sulla scalinata
della
chiesa di Santa Maria
delle
Grazie al Naviglio. Dove
sono
i vostri sorrisi, dov’è
la
bella sposa? Sono tutti
nell’acqua
del tempo e
scorrono,
ritornano solo
quando
li chiamo per nome,
io
che non esistevo ancora
in
quella foto, io, la testimone.
È
stata una giornata così bella, gioiosa, è uscito il sole, mi ha riportato altre
storie autunnali, ma il presente era già qui e il futuro pure in questo sabato
9 ottobre del secondo anno senza Carnevale e la sua Cronaca milanese 580 che
finge di essere una lavandaia, giusto per poter mettere i piedi nell’acqua.
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