Quando
iniziamo a dare nomi al mondo? Quando mettiamo insieme un’immagine e un suono? Quando
un’idea e una parola? Quando un ricordo e una frase? Quando abbiamo imparato
tutti i nomi del mondo, abbiamo imparato a raccontare la storia della nostra
vita.
Seduti
in soffitta, sotto il tetto di travi e tegole, sentivamo le rondini andare e
venire dal nido, sentivamo ogni suono, sentivamo i piccoli strillare per la
fame e noi eravamo seduti stretti, per tenere la voce bassa, per non farci
sentire dai grandi, per non far interrompere il nostro gioco segreto. Quando abbiamo
imparato che i giochi replicano la verità del mondo?
Stare
nella cucina autunnale o nel fienile non faceva molta differenza, il tavolo era
ricoperto di mele rosse appena raccolte, nel tempo in cui le mele erano solo
mele e il loro profumo sapeva di autunno e di promesse. Una volta sei entrato
in cucina correndo mentre la nonna stava impastando una torta. Ti sei fermato
dopo una lunga scivolata e l’hai abbracciata alla vita, lei ti ha risposto con
un sorriso e uno sbuffo di farina sulla punta del naso. Io ti osservavo poco
lontana, come ho fatto per tutta la nostra infanzia, cercando di attirare il
tuo sguardo nel mio, perché sapevo che non ne saresti più uscito. E così fu,
non quel giorno, ma non molto tempo dopo, stavamo scalando le colline dietro
casa poco prima dell’imbrunire. Dal bordo delle nostro parole guardavamo il
mondo intorno e fu allora che pronunciai il tuo nome a voce alta. Tornasti indietro
e fu allora che furono i miei occhi a cadere nei tuoi e fui io a non trovare
più l’uscita dal labirinto. Abbiamo continuato a crescere insieme, a correre e
giocare insieme, nessuno ci ha controllato, sino all’estate in cui abbiamo
smesso di essere bambini e loro, i grandi, hanno temuto che qualcosa tra noi
potesse accadere. Non potevano immaginare che era già accaduto, che nella
soffitta, a ridosso dei nidi delle rondini ti avevo dato il nostro primo bacio.
Tu eri scappato, sapevi cosa significasse e gridasti che non volevi essere il
mio innamorato. Non mi mossi, iniziai a contare, sapevo che saresti ritornato
prima del numero mille. Così fu e tornasti da me con una spiga di grano non
ancora maturo e un papavero. Il tuo dono nuziale, perché fu quello il momento
in cui fummo gli sposi segreti della primavera. Avevamo capito di dover stare
attenti, nessuno doveva svelare il nostro segreto. Non perché fossimo solo dei
bambini ci avrebbero tenuti lontani, ma perché la forza dell’amore che scorre
nelle vene della gioventù è l’unica forza in grado di sovvertire il mondo e l’ordine
costituito. I nostri destini erano già stati disegnati dalla famiglia, tu
saresti diventato medico come tuo padre, gli zii e i nonni. Io mi sarei sposata
con qualcuno che non avevo conosciuto da bambino e sarei andata a vivere in un
altro paese, dall’altro lato delle colline e avrei cresciuto figli che non
avrebbero avuto i tuoi occhi di verde e d’oro. Ci siamo baciati in ogni angolo
della tenuta, dietro ogni quercia, in ogni fienile. Non ci parlavamo quasi più
davanti alla famiglia, nessuna immaginava che eravamo pronti a sbocciare come i
papaveri nel grano maturo, che il tempo dovuto era in arrivo.
Con la prima fiamma
degli autunni
Accogliere
l’amore è soprattutto
un
esercizio dello sguardo, non
bisogna
avere fretta, il sangue
conosce
già la risposta e grida
alle
rose di avere pazienza, tanta
pazienza
quanto quella che abbiamo
avuto
noi, quando eravamo due
e
due dovevamo restare. Ma non era
possibile
restare divisi, abbiamo
scommesso,
abbiamo perduto,
ma
siamo rimasti con il grano e
i
papaveri, nel campo dopo
il
giardino e dopo l’estate, pronti
al
ritorno con la prima fiamma
degli
autunni e della stagione fredda.
Anche oggi non sono andata a cercare storie nuove, mi sono fermata sul limitare del mattino e ho aspettato che le storie si presentassero, in fila come brave formichine, ognuna con un seme diverso tra le zampe, per questa domenica 17 ottobre del secondo anno senza Carnevale e la sua Cronaca 588, che profuma di mele e legna che brucia. Anche la poesia è inedita, scritta per questa Cronaca.
1 commento:
La passion qui traverse les âges terrestres de ces deux amants par-delà les courses solaires de leur vie , a inspiré ces lignes belles comme ces pommes mûries au Jardin d'Eden. Lorsque les yeux de l'AUTRE sont un aimant dont la magie fait s'éloigner, vaincu, le Temps d'ici-bas, rien ne servirait de lutter contre le cours du Temps, car il s'est évanoui dans la rosée de lumière de leur Eternité.
Posta un commento