domenica 26 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/567. Una foglia si stacca e cade, danza e cade, cade senza cadere

 



Il giorno era una notte d’inchiostro, nessuna luce ha interrotto il grigio uniforme del cielo, un cielo senza alfabeto, una pagina scritta senza una penna ma solo con il ricordo delle nuvole già sparite. Non c’è differenza tra questo giorno e la notte che è stata, non c’è differenza tra questo giorno e la notte che sarà. Noi siamo presi nel mezzo, incerti viaggiatori del tempo, presi in trappola tra il desiderio di andare e quello di restare. Sulla tavola del mattino è rimasta una tazza di latte, un pezzo di pane di ieri, il caffè che continua a fumare, come fosse un piccolo vulcano domestico. C’è qualcosa di chiaro e terribile nei primi giorni d’autunno, quando strappiamo significato ai minimi gesti, agli oggetti che erano muti nel loro quieto stare. In tutto questo silenzio anche noi siamo privi di voce, ci nascondiamo negli angoli e aspettiamo che una voce ci inciti a muoverci, che una voce cara dica il nostro nome. Ma come i giocattoli abbandonati di una fiaba, potremo muoverci solo quando qualcuno ci cercherà, quando uno sguardo, quello sguardo, arriverà ai nostri occhi, alle nostre orbite vuote, senza luce, senza ricordo. Ci specchieremo l’uno nell’altro, generazione dopo generazione, riconosceremo le mani del nonno materno nelle nostre stesse mani, la bocca di nostra madre nella nostra bocca, il naso volitivo di nostro padre, la mitezza dello sguardo di nostra nonna paterna. Come potremo essere noi se sempre siamo prima di tutto il ricordo di altri, di quegli altri sconosciuti che ci hanno preceduto? L’eredità non è un bene passeggero che le generazioni si trasmettono, non sono la terra e le case. Anche se avremo dissodato gli stessi campi dei nostri avi, anche se avremo spazzato lo stesso pavimento di pietra e lavato i panni nella stessa fontana, quelli saranno stati solo gesti. L’eredità è nell’oscuro luogo dove i nostri geni hanno mescolato tutto ciò che è stato prima di noi. Potremo essere liberi se avremo accettato questa eredità, solo se ci inginocchieremo ai secoli e ai millenni, e con il capo chino, allora potremo dire “Io sono, e sono anche un altro, e sono anche tutti gli altri”. Allora il respiro potrà placarsi e accordarsi al respiro di questo mondo tragico e bello in ogni sua manifestazione. Anche nella fatica, nella solitudine, nell’esilio, quei luoghi lontani, quelle mani che non abbiamo conosciuto, parleranno in noi e per noi. Non abbiamo confini nel tempo, non ne ce ne sono mai stati e mai ce ne saranno. Potremo porgere una mano verso il domani che arriva e con una piccola torsione continuare a tenere tutti gli ieri che si incolonnano, formiche del tempo e andranno a formare quella muraglia che ancora non abbiamo imparato a scalare.

 

Nell’ombra delle nostre parole


Nel giardino possiamo

assistere alla caduta delle

mele, riempire il nostro

cestino e respirare l’aroma

rosso che chiama ancora

l’ombra dei fiori che erano

e non saranno mai più.

Sarà questa la nostra

partenza sfolgorante verso

il pomeriggio che ci

sta già chiamando. Allora

metteremo sul tavolo

quelle mele, sposteremo

la tazza vuota e accenderemo

il fuoco e lasceremo che

tra le scintille sprizzino anche

questi versi necessari, dove

la mente può passeggiare

come se fosse all’ombra

del meleto la scorsa primavera.

Noi abbiamo veduto, per questo

possiamo ricordare. Una foglia

si stacca e cade, danza e cade,

cade senza cadere, danza

senza un solo suono se

non quello che si muove

nell’ombra delle nostre parole.

 

 

Siamo prigionieri della pioggia oggi, domenica 26 settembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 567 è rotonda e rossa come una mela appena raccolta. La metto sul tavolo, non nel cestino, ma accanto, per vedere in quanto tempo sarà dentro senza che io l’abbia più toccata.

L’immagine di oggi è La direzione del vento di Andrey Remnev.

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