“Una cosa che mi piace di te, Alvaro, è che sei affidabile come un cucù svizzero. Sapevo che saresti arrivato da me oggi proprio a quest’ora e sei arrivato. Che grande soddisfazione non sbagliarmi mai. Certo che per essere uno scrittore riservi poche sorprese. Magari va meglio nei libri, ma nella vita sei proprio prevedibile”.
Erano
trent’anni che conoscevo Lucente e da trent’anni lei mi faceva sempre la
battuta sul mio essere un cucù svizzero. A volte con qualche piccola variante e
così anziché un cucù ero una banca, sempre svizzera, l’apoteosi dell’ordine e
della noia. Ma anche a ma piaceva che i nostri incontri cominciassero sempre
allo stesso modo. E di anno in anno cercavo di memorizzare un paio di buone
storie e se non mi era successo niente di speciale, cosa molto frequente nella
vita degli scrittori, ecco che avevo una buona scusa per inventarmi una storia,
pensata apposto per Lucente e Adelina che erano due ragazze dell’anteguerra e
credevano ancora nell’amore e nel romanticismo.
“Vi
ho mai raccontato della prima volta che Ilona mi ha notato? È successo molto
prima che nel libro che poi ho scritto. Ero in una milonga di Buenos Aires con
Abdul Bashur e lei era seduta dall’altro lato della pista con una sua amica
altrettanto bella. Era impossibile non notarle, due bionde naturali in mezzo a
tutte belle donne dai capelli color notte e dagli occhi di pece. Lei e Ilana,
non ridete era il vero nome della sua amica, continuavano a fissarci aspettando
che andassimo a invitarle. Ma nessuno si muoveva e allora sono state le ragazze
a venire a prenderci. Se non le avessimo seguite gli altri milengueros ci avrebbero ricoperti di insulti, così nonostante
fossimo entrambi arrugginiti, siamo scesi in pista. E la magia della milonga si
è rinnovata una volta di più. Siamo partiti con il Libertango di Piazzolla e
non abbiamo smesso per quasi due ore. Ilana e Bashur sono andati via prima di
noi e Ilona aveva ancora voglia di ballare, così ha accettato l’invito di un
tipo corpulento con dei baffi sottili che gli tagliavano in due la faccia. Quando
la sua mano è scesa troppo sotto la vita, lei gli ha pestato un piede con un
tacco a stiletto che avrebbe ammazzato un toro. Lui non ha proferito parola, ha
iniziato a sudare e senza emettere un solo suono, se ne è tornato al suo
tavolo. Ilona è andata a prendere il suo scialle nero ricamato di tralci di
rose rosse che sembravano vere e mi ha fatto cenno di seguirla. Ma io ho
esitato un attimo di troppo e quando sono arrivato in strada lei era già andata
via. Poi ci siamo ritrovati, ma questo già lo sapete”.
“E
dove sarebbe la storia?” chiese Lucente.
“La
storia non è capitata a me ma a Bashur. Quando ha preso una stanza in un
alberghetto con Ilana, quasi subito hanno bussato alla porta. Lui temeva che
fosse un altro uomo che li aveva inseguiti. Invece erano due amiche di Ilana
cui lei aveva telefonato. Bashur mi disse che quella notte aveva spalancato le
porte del Paradiso, e che tutto gli angeli erano biondi dalla testa ai piedi”. Mi
fermai a ripensare alla faccia del mio amico e ricordai che l’estasi esiste
anche in questa vita e che lui ne era la prova.
“Quello
che Bashur non mi confessò se non anni dopo, è che nel cuore della notte arrivò
anche Ilona nella stanza d’albergo e sfrattò una delle ragazze per prendere il
suo posto. Immaginai che non sarebbe stata una buona idea mettermi in
competizione con lui e, infatti, non ci siamo mai invischiati in storie con le
stesse donne, proprio per non rischiare confronti”.
Lucente
e Adelina sorridevano, ognuna persa nei suoi ricordi, poi la veggente si alzò a
prendere il bollitore che aveva fischiato e versò l’acqua nelle tre tazze. Mentre
io aspettavo che il mio tè raffreddasse un po’, lei buttò via l’acqua quasi
subito e iniziò a scrutare nel fondo della tazza come se ci fosse qualcosa da
leggere. Mi fece cenno di avvicinarmi e quello che vidi rimase un episodio
senza precedenti e senza seguito. Le foglioline del tè si muovevano in vortici
sul fondo della tazza e sulle pareti e ogni tanto formavano figure che lei
descriveva con poche parole. “Il falcone, la donna di fuoco. Il fiume verde, l’uomo
di paglia. Gli alberi non camminano coi piedi ma con le radici. Le nuvole
cantano ma noi non riconosciamo la loro lingua e pensiamo che sia il vento.
Ilona arriva con la pioggia. Maqroll sta tornando. Tu li aspetterai entrambi
alle foci del Rio Blanco”.
“Cosa
aspetti Mutis a scrivere un altro romanzo per noi? Queste sono le storie che ti
stanno cercando”.
Continuai
a sorseggiare il mio tè mentre Lucente era andata a guardare fuori dalla
finestra sul retro. Anche lei dava sulla vallata e le piantagioni. C’era un vento
molto forte, un falcone che volava basso e un incendio sul crinale del fiume
che si era fermato perché non c’era altra erba secca da divorare. Erano
immagini di cui avevo già scritto e ora Lucente mi dava indicazioni perché io
le scrivessi ancora. Sentivo la punta delle dita in fiamme, dovevo tornare alla
locanda a scrivere. Adelina si alzò senza bisogno che glielo chiedessi e ce ne
andammo, non prima di avere promesso a Lucente che saremmo tornati l’indomani.
Che
volete se a settembre continuo a pensare di essere con Mutis a guardare una
piantagione di caffè? Oggi è martedì 7 settembre del secondo anno senza
Carnevale e la Cronaca 548 sta ancora ballando il tango.
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