Una domenica mattina ventosa e fredda, un giorno di pioggia in una Milano che sembrava Trieste. Poi il calore di una bella casa piena d’amore, libri, colori e belle fotografie. Le ore sono passate parlando e ascoltando di libri non ancora finiti, ma che lo saranno. Profumi di altri luoghi e di altri tempi si sono mescolati: un sugo di zucchine e pomodorini, un tè allo zafferano, l’Iran e Cuba evocati da immagini e racconti. Lo spirito di Hemingway che aleggiava intorno a noi chine sui quaderni.
Poi
è uscito il sole, e la giornata è diventata calda e luminosa, l’ultimo colpo di
coda dell’estate, mentre le parole nuove si affiancavano accanto a quelle già
scritte e le intenzioni di futuri racconti prendevano posto nelle pagine via
via sempre meno bianche.
Uno spazio vuoto per
le nostre parole
Mi
dico “scrivi” quando anche
la
pioggia gioca a nascondino
con
le nostre intenzioni. Scrivo
per
non distrarmi, scrivo per
tenere
ferma l’ombra anche
quando
siamo in volo, scrivo
per
imitare l’onda e rispondere
alla
sabbia che parla per conchiglie
e
stelle marine ancora addormentate.
Dal
cielo si specchiano quelle che
non
toccheranno mai il mare e
sono
invidiose delle sorelle che
ci
vivono nel mezzo. Scrivo anche
per
il giardino, perché non dimentichi
lo
splendore delle rose nella
loro
ultima fioritura e custodisca
questo
spazio vuoto come se fosse
un
sacrario per il loro profumo e
le
nostre parole.
Ecco
che è passata un’altra bella giornata di fine estate che ho condiviso con
Elisabetta, Simone e Giorgia, Rita e Ilaria, Martina, Roberta e Francesca.
Ricorderemo, un giorno ricorderemo come sarà stata la luce di queste ore di
domenica 19 settembre del secondo anno senza Carnevale e della sua Cronaca 560,
ventosa, arruffata e pensierosa, come le rose che non possono sapere ancora che
la stagione è quasi finita.
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