Quanto
era piccola l’isola, piccola come una mano stretta a pugno, come un fiore non
ancora sbocciato, come una tazzina da caffè vuota, quanto era piccola l’isola
dove ero appena sbarcata?
Sapevo
da anni che un giorno sarei ritornata, lo sapevo dal giorno stesso in cui ero
stata costretta ad allontanarmi. Quanto è lungo un anno? Tanto o poco, uno dopo
l’altro erano passati gli anni, ed erano quaranta, tanti quanto la traversata
del deserto. L’isola non era mai veramente uscita dal mio orizzonte, la vedevo
apparire e sparire al centro del lago d’Orta, appariva e spariva in qualunque
mare io stessi nuotando, ma sapevo che non ci sarei mai arrivata all’epoca, non
in barca e non a nuoto, non nel tempo in cui più avevo desiderato di poterci andare.
La prima volta che mi ci sono trovata è stato per caso, un’estate di tanti
anni, tanti fa dove ho letto in sequenza e con la voracità tipica della
giovinezza Anais Nin, Marie Cardinal, Virginia Woolf, Simone de Beauvoir, Hermann
Hesse, Manuel Scorza, Gabriel Garcia Marquez, Roland Barthes, J. L. Borges,
Thomas Mann, Franz Kafka, Albert Camus, Jean-Paul Sartre, Marcel Proust, Henry
James, Jules Verne, Primo Levi, Luigi Pirandello, Dino Buzzati, John Steinbeck,
George Orwell. E ho capito, ammirando l’arcipelago intorno a me, che quelle
isole volevo esplorarle tutte e che un giorno avrei trovato la mia isola.
Ora
che sono arrivata, scopro di conoscerla come la mia casa, questa piccola isola,
ma di non conoscerla davvero fino in fondo. Perché è impossibile conoscere
qualcuno o qualcosa fino in fondo. E l’isola muta di continuo il suo profilo,
si confonde nella nebbia dell’alba, mi acceca nel riverbero del sole che
tramonta. Ci sono raggi verdi che attraversano il fitto bosco e colpiscono
questa casa, che è la casa di tutte le case, di tutti i libri e di tutte le
librerie. Conosco la fonte di quest’isola, perché per quarant’anni mi ci sono
dissetata, conosco la biblioteca, perché ho portato libri in questo luogo per
poter preparare il mio ritorno, sempre divisa tra l’altra vita e questa vita monastica
che tanto mi aveva attirato sin dall’infanzia. Amare il mondo rinchiuso tra
pareti, cercare ristoro nei paesaggi intorno, camminare a piedi, viaggiare, ma
poi sempre ritornare tra queste mura, ai quaderni e ai libri.
Conversazione con un’isola
L’isola
era sempre uguale, mi
pareva,
forse mi stava aspettando,
forse
si era dimenticata di me. Io
di
certo non di quel luogo protetto
cui
davo del tu. Perché rispondono
le
isole, anche nella distanza, ho
sempre
saputo che questo tavolo,
la
penna e il taccuino, mi stavano
aspettando.
Mi ha salutato la mia
isola,
io le ho risposto in questa
assenza
di riferimenti tangibili,
cose
e promesse. Qui dovevo
arrivare,
qui resto.
Non
è distante dalla terraferma questa piccola isola, ma ora voglio solo stare in
questa luce, in questo silenzio che nutrono le parole che arriveranno. È miele
questo silenzio e le parole sono le api operose che si preparano per la
stagione fredda che già si annuncia mattina dopo mattina.
Oggi
è venerdì 3 settembre 2021, il secondo anno senza Carnevale, il secondo anno
incerto, vago, difficile e questa è la Cronaca 544, monastica e insulare.
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