Ero molto piccola, andavo alle elementari, seconda o terza non saprei, un tardo pomeriggio d’inverno ero rimasta incastrata su un esercizio di geometria che non riuscivo a capire. Il protagonista era un triangolo isoscele, ma avrebbe potuto anche essere una forma della sesta dimensione per quanto io non riuscissi a capirne l’essenza. Mia madre era in cucina con il fratellino nel seggiolone, artista della fuga, veniva tenuto fermo con una piccola cinghia. Sorrideva, mi sorrideva, io espressi a mia madre il mio dilemma, la mia incapacità di arrivare a capire il mistero del triangolo isoscele, lungo e allampanato, possedeva una grazia che, ai miei occhi bambini, il triangolo equilatero e lo scaleno non possedevano. Mia madre mi ascoltò e mi diede un consiglio: “Vai a fare una passeggiata e vedrai che quando torni, capirai”. Decisi di seguire il suo consiglio e mi offrii anche di andare al supermercato a comperare il latte. Quando fui davanti al banco refrigerato e presi in mano il cartone della Centrale del Latte, la forma di un triangolo equilatero si espanse nelle tre dimensioni e io vidi la differenza con lo scaleno e quello che mi interessava di più, il triangolo isoscele. Tornai a casa di corsa, dissi trafelata che avevo capito e che dovevo finire l’esercizio. E così feci, l’esercizio era finito in un attimo e tutta trionfante ero tornata in cucina a raccontare a mia madre e al fratellino, che mi ascoltava come fossi un oracolo, cosa avevo scoperto. Mia madre aveva un golfino turchese e quello di mio fratello era blu. Io indossavo un vestitino scozzese con il fondo grigio e le linee blu e arancioni. Fuori faceva freddo, ma era stato bello uscire, perché imparai quel giorno che se un’idea non ti arriva, se non capisci, ci sono due strade per sbloccare la situazione. Camminare è la prima, è come se i passi richiamassero il mondo a darci una risposta, come se le cose del mondo facessero a gare per venirci incontro e offrirci il metodo per svelare i loro misteri e le intuizioni, per acchiapparli mentre vagano nell’etere come farfalle. La seconda strada è quella del sonno, del riposino diurno, o dell’abbandono al mondo dei sogni notturni. Anche lì i misteri fluttuano, sebbene non rispondano alle leggi della veglia. Ma anche quel mondo esiste, quella dimensione così rarefatta ma, a volte, più concreta di questo mondo che definiamo reale.
La
terra inesplorata che chiamavamo infanzia
Mi vengono incontro piccoli angoli
ottusi e ridanciani, so che sto
sognando, perché cammino a testa
in giù e guardo la terra come fosse
un cielo e i miei piedi affondano
nelle nuvole soffici di quando
ero bambina, non so se schiuma
o panna montata. Tutte le geometrie
cadono nella loro forma e noi vediamo
un tulipano che custodisce al centro
un triangolo isoscele perfetto e altero,
stupito come lo ero io nella terra
inesplorata che chiamavamo infanzia.
È tempo di uscire a camminare adesso, un nuovo triangolo
sta aspettando di svelarmi il suo mistero.
Oggi è sabato 20 febbraio del secondo anno senza
Carnevale e questa Cronaca 349 è tutta angoli e poesia. La terra inesplorata che chiamavamo infanzia è inedita e l’ho
appena scritta.
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