Come impariamo a dare i nomi alle cose? Ascoltiamo, impariamo a parlare, poi impariamo l’alfabeto. Riconosciamo le singole lettere, le sillabe, poi le parole intere.
Il mondo di ciascuno è meno vasto del mondo intero, le
parole che utilizziamo sono solo una minima parte di quelle che conosciamo e di
quelle che compongono il nostro vocabolario.
Più vasto è il linguaggio più vasto sarà il mondo e più
leggeremo e faremo nuove esperienze, più il vocabolario sarà ricco e la lingua
guizzerà nell’incendio della nostra immaginazione.
La poesia è spesso l’innesco del nostro incendio
interiore, di questo fuoco che non brucia e che riscalda la nostra anima
errabonda.
Il
duro tempo della semina
Per me stessa e per il nulla che
ci circonda, perché il nulla sia
capace di ascoltare la nostra voce
umana, perché il suo orecchio sia
un campo arato e le nostre parole
i semi che da quel nulla faranno
germinare ciò che ancora non è, ciò
che sempre resterà.
Per voi che camminate sotto un cielo
di stelle mute, per voi che combattete
il vento e date voce a queste nuvole
indecise tra la pioggia e la fuga, perché
gli elementi aprano le vostre mani e
facciano sì che nessun seme resti
attaccato e raggiunga il fecondo nulla
annunciato.
Per noi che conosciamo il tempo duro
della semina e in questo inverno di
poche parole, scaviamo la roccia a mani
nude e gridiamo alla luce che la luce
non basta, che i sensi si riposano meglio
dove riposa l’ombra, dove le parole
sciolgono il nodo e fioriscono.
Leggere prima e scrivere poi, coltivare questi due doni,
coltivare questi due talenti non solo per se stessi, non solo in se stessi. Avere
cura dell’altro, degli altri che vivono in noi, avere cura degli altri che sono
altro da noi, che non sono noi.
Lasciare che le parole siano carezze, lasciare che le
parole siano mani che asciugano le lacrime e credere nell’usignolo che canta sul
melograno ogni notte e fa fiorire i suoi fiori rossi. Credere anche che l’usignolo
ceda il canto all’allodola che annuncia la nuova alba. Intrecciare il nostro
canto con i fiori rossi e poi con i rossi melograni. Accettare che ogni
stagione è data e che non siamo noi a scegliere lo smalto azzurro del cielo
primaverile e quello bianco del nostro cielo invernale.
Finisce una giornata dove il tema della cura dell’altro è
stato centrale, una giornata dove ho immaginato il cielo, anziché guardarlo.
Oggi è mercoledì 10 febbraio del secondo anno senza
Carnevale e questa Cronaca 339 va per il mondo con la poesia inedita Il duro tempo della semina che ho
scritto questa sera.
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