Mentre tutti gli altri tacevano, Lino si schiarì la voce e iniziò a raccontare la sua storia:
“Si chiamava Brenda Newland nelle sue fantasticherie giovanili, quando ancora correva libera e selvaggia, prima delle scuole commerciali. Se i suoi genitori si fossero sposati sarebbe cresciuta nel Donegal avendo il nome giusto. Se non si fossero sposati si sarebbe chiamata Lucia di nome, come sua nonna materna, e Terranova di cognome, come sua madre che di nome faceva Antonia. I suoi genitori scherzavano sempre sulla singolare coincidenza dei loro cognomi e pensavano che questo fosse uno dei segni che avrebbe reso eterno il loro amore.
In realtà nessuno l’aveva mai chiamata Brenda e, come accade spesso nei piccoli paesi, presero a chiamarla con un nomignolo, lo stesso che nonna usava quando era bambina e quindi la chiamava Bimba.
Si era arresa al nome e anche lei come i genitori, sperava che quel nome fosse un segno della fortuna che un giorno l’avrebbe portata lontano da lì. Ma lì, il paesello, era scritto nel destino e se sua madre non fosse andata in gita a Firenze non avrebbe mai neanche incontrato quel bel giovane moro e con gli occhi azzurri che studiava arte a Dublino e stava facendo il Gran Tour d’Italia con il suo più caro amico.
Tempo un mese, Colin e Antonia scapparono insieme e andarono a vivere nella casa disabitata dei nonni paterni di lei. Si sposarono, facendo felici le loro madri, perché Antonia era incinta, lo era rimasta subito incinta, la prima volta che avevano fatto l’amore. Come accade quando ci si sposa sulla scia di una passione selvaggia, sopiti i sensi e annoiati entrambi dalla vita di provincia nel paesello toscano, i due si lasciarono e divorziarono perché anche in Italia ormai il divorzio era consentito. L’unica a risentirne fu la bambina, che non vide più il padre se non per poche settimane per poche estati e poi mai più, quando lui si risposò per la terza volta ed ebbe nuovi figli.
Anche Antonia si era risposata e aveva avuto un’altra figlia dal secondo matrimonio e non aveva abbastanza energie per stare dietro a quella ragazzina cocciuta e ribelle. Istinto e sete di libertà non l’avevano certo aiutata a raggiungere degli obiettivi, in verità perché di obiettivi non ne aveva. Così, quando nel capoluogo aprirono il primo centro commerciale con un immenso iper-mercato si candidò per l’assunzione e venne assunta come cassiera.
Avete presente cosa significhi fare la cassiera otto ore al giorno? Bimba lo sapeva, pur non essendo brillante, non era certo una stupida e negli anni aveva preso l’abitudine di imparare a memoria il prezzo di ogni prodotto venduto, abilità che le valse un altro nomignolo, perché i colleghi presero a chiamarla prima “prezzo netto” e poi “codice a barre”.
Mentre sapeva tutto dei prodotti venduti, non si era mai interessata alle persone che sfilavano davanti a lei, giorno dopo giorno.
Fino a “quel “giorno, il giorno in cui si rese conto che memorizzava anche le composizioni delle varie spese e che era in grado di riconoscere le famiglie e i singoli da quello che compravano.
E riusciva a capire anche quando i figli crescevano, se qualcuno aveva avuto un aumento di stipendio, se un matrimonio si era concluso, se qualcuno si era fatto la nuova amante.
Così, una sera, quando era tornata a casa, aveva iniziato a redigere una schedario dei suoi clienti, perché aveva anche capito che alla gente piaceva tornare sempre alla stessa cassa, anche se lei si limitava a salutare e ringraziare e sorrideva poco. Forse l’apprezzavano perché quando mancavano le etichette col prezzo, lei lo sapeva sempre e nessuno era costretto a fare le corse a cercarlo o a lasciare l’acquisto alla cassa per non perdere tempo.
Poi nell’iper-mercato iniziarono a vendere anche i libri, e lei si incuriosì. Non aveva finito le scuole superiori e a stento le medie. Ma leggere le piaceva e scoprì che le dava anche un grande senso di sollievo, perché i libri e le storie narrate, erano l’unico elemento di diversità nelle sue giornate che si dipanavano come l’Autostrada del Sole nella tratta finale verso Reggio Calabria prima che la finissero. Non c’erano uscite, non c’erano cartelli e non potevi fare altro che andare avanti. Cominciò con letture avvincenti e molto popololari: Liala, Sveva Casati Modignani, Maria Venturi. E poi Isabel Allende che era diventata famosissima dopo il film tratto dalla Casa degli spiriti.
E tutto andava bene e non cambiava, sino a quando una cliente lasciò alla cassa Capricci del destino di Karen Blixen perché non aveva abbastanza soldi. Non conosceva quella scrittrice, così spinta dalla curiosità e dalla poca voglia di andare a riportare il libro al suo posto nello scaffale, lo comprò per sé.
Bum! Rimase folgorata da quelle storie, da quella lingua così diversa da quella che conosceva. Un racconto in particolare l’aveva colpita, Il pranzo di Babette da cui era stato tratto anche un film che pure non conosceva. Dopo avere finito il libro andò a cercare in biblioteca altri libri della Blixen e anche il film che aveva ricevuto dopo un paio di settimane perché stava alla Biblioteca Centrale del capoluogo.
Il film ebbe lo stesso effetto sconvolgente del libro e un’idea insolita, che già le si era affacciata nella testa, prese ancor più corpo. Mancavano più di due mesi al Natale e quindi aveva tutto il tempo di pianificare una strategia. Prima di tutto andò a cercare nel suo schedario quante persone sole ci fossero. Ce ne erano moltissime, ma lei doveva scegliere, così lo fece tra quelli che compravano frutta e verdura, perché dalle sue parti era sicuro che tutti fossero carnivori. Ne scelse dieci, perché di più al suo tavolo da pranzo non poteva ospitarne. E una volta in postazione non le fu difficil,e in tre o quattro giorni, individuarli tutti. Erano sette donne e tre uomini, tutti suoi coetanei, cioè ormai sopra la cinquantina, o anche qualcuno sopra i sessanta.
Iniziò a sorridere, a fare chiacchiere e la gente ne era felice. Tempo un mese ed era riuscita a invitarli tutti al pranzo di Natale che stava organizzando “per pochi amici” come le piaceva dire.
Lei che non
aveva più coltivato né l’amicizia, né l’amore si sentiva in quei giorni più
ricca della Regina d’Inghilterra.
Il Natale arrivò, e fu una giornata lieta, coronata dal buon cibo e dal buon vino. Salame di cinghiale, porcini sott’olio, prosciutto crudo da tagliare al coltello, lardo di Colonnata, una giardiniera fatta in casa, lasagne al forno, spaghetti con i broccoli, le acciughe e il pane secco, cappone arrosto, patate riso e cozze, vitello arrosto, patate al forno, panettone, cantucci, pandoro, i ricciarelli e il panforte di Siena, i torroncini morbidi siciliani, la cioccolata, le arance e i mandarini, la frutta candita, le noci e le mandorle, il chianti, il vin santo e il moscato. E quando avevano finito di mangiare erano quasi le quattro del pomeriggio e così decisero di giocare a tombola.
Dei dieci convitati nessuno era timido, erano brave persone come lei, lavoravano o avevano lavorato, qualcuno aveva dei figli che vivevano lontano, qualcuno era arrivato da altre regioni, ma nessuno aveva intenzione di andarsene. Avevano messo tutti le radici, come si suol dire, e il cibo buono, il vino, il focolare accesso e il profumo di legna e agrumi nell’aria, li aveva imbozzolati nello spirito natalizio. Bimba allora aveva svelato come le fosse venuto in mente di organizzare quel pranzo di Natale e tutti rimasero colpiti dalla sua ingegnosità e dalla generosità che aveva dimostrato, perché aveva comprato lei la maggior parte delle cibarie e del vino e, soprattutto, aveva passato la Vigilia in cucina a spignattare.
Erano tutti così felici di quella giornata che decisero di replicare per la notte di San Silvestro, su cui non c’è molto da dire perché finì col somigliare al Natale, fatto salvo che si misero a ballare e si baciarono sotto il vischio e poi mangiarono anche il cotechino con le lenticchie.
Avevano già fatto qualche programma per le vacanze di Pasqua e per quelle estive, si sentivano vivi come non gli capitava da anni e pensavano che Bimba fosse un incrocio tra un genio e una fata benevola.
Peccato che il nuovo anno che era appena iniziato fosse il 2020”.
Lino tacque,
gli altri aspettavano, Chino gli chiese di continuare e anche Geppo.
Ma il
vecchio non li stava ascoltando perché si era incantato a guardare i cuccioli
che giocavano e il loro piccolo fuoco che scaldava quella strana grotta.
- Non lo so cosa è successo dopo. Bimba è sparita e non conosco i nomi dei suoi amici, come faccio a raccontarvi cosa è successo dopo?
Oggi è domenica 20 dicembre dell’anno senza Carnevale, questa è la Cronaca 287 ed è pure la seconda parte del mio racconto di Natale che non è ancora finito.
Nessun commento:
Posta un commento