L’uomo era anziano, spettinato e indossava una giubba rossa scolorita. Stava seduto sul bordo del marciapiede e quasi non si accorse dello strano personaggio allampanato che portava una giubba patchwork ancora più stinta della sua.
Si guardarono senza dire niente, e poi Chino tirò fuori da una tasca una bottiglietta mignon di cognac e la porse al vecchio.
- No, grazie, non bevo. Ma è stato un gesto gentile il suo.
- Si figuri, un gesto poco costoso… in una sera umida come questa un po’ di alcol aiuta a scaldarsi. Anche lei ha perso il lavoro, vedo…
Entrambi si girarono a guardare il maestoso ingresso del teatro dove non era accesa neanche una piccola luce.
- Venga... signor? Io mi chiamo Chino adesso. Non uso più il mio nome intero da quando ho perso il lavoro.
Il vecchio lo guardò e tirò un sospiro, gli mancava l’aria nei polmoni e sembrava che stesse per scoppiare a piangere.
- E io sono Lino. Bella coppia stasera, facciamo anche rima. Senta, che ne dice se entriamo nel Teatro del Mondo e cerchiamo di scaldarci?
Entrambi, Chino e Lino, si alzarono e si diressero verso l’ingresso principale. Le porte si lasciarono scostare senza far rumore e, benchè non riscaldato, l’atrio era di certo meglio della strada dove non passava nessuno.
Oltrepassarono la biglietteria, sbirciarono negli specchi ossidati e polverosi, andarono nel retro del bar e trovarono, incredibile a dirsi, montagne di pacchetti di patatine, cracker, noccioline salate, bottigliette d’acqua e lattine di Coca-Cola.
Tutto quel cibo contribuì ad allentare la tensione, anche perché nel grande frigorifero c’erano salami, salmone, burro e senape. E nella dispensa pacchetti di pan carré che sarebbe stato bello riscaldare, ma la corrente elettrica proprio non c’era.
Passarono nel retropalco dove trovarono le pile delle mascherine di sala e così ebbero anche un po’ di luce.
- Ma secondo te, Chino – erano passati al tu che era molto più pratico per fare conversazione – secondo te, è meglio stare in platea, in un palchetto, sul palco o nella buca dell’orchestra?
- Penso sia meglio la buca dell’orchestra, laggiù non arrivano gli spifferi e staremo più caldi. E per questo mi è venuta un’idea, aspetta solo un momento.
L’allampanato giovane, perché tale era Chino, si avventò come uno scoiattolo sui festoni di velluto che decoravano i palchi. Era velluto pregiato e insieme alla carta dei manifesti e dei programmi, avrebbe permesso loro di realizzare dei giacigli confortevoli per la notte.
Quando ebbero portato il velluto e la carta nella buca, dal buio sgorgò un singhiozzo, così si avvicinarono per capire chi ci fosse nascosto laggiù.
Avvolta in un mantello, che un tempo era stato turchino, una giovane donna decisamente incinta, li guardava con gli occhi spalancati. Teneva in braccio un gattino tigrato e un bastardino che agitava la coda come un pendolo.
Non le chiesero nulla, non era ancora il momento, ma le porsero un sacchetto di patatine e una Coca-Cola, aveva di certo bisogno di riempirsi la pancia e reidratarsi.
- Anche per i cuccioli per favore, sono affamati e io ho finito le scorte – chiese la ragazza.
Chino non sapeva bene cosa dargli da mangiare, ci pensò qualche istante e poi sbriciolò in uno dei piattini che aveva prelevato al bar, pan carré, salmone e un po’ d’acqua. Al profumo del cibo che subito si diffuse, gli animaletti corsero a rifocillarsi.
- Se guardate nell’angolo opposto, vedrete che c’è un cerchio di pietre, il mio compagno è riuscito a metterlo insieme prendendo oggetti di scena, il magazzino del teatro è pieno di vestiti, ma non avevamo pensato di andare a cercare il bar, per questo lui è uscito a cercare un po’ di legna e di cibo
Chino, che si era ripreso grazie al cibo e alle bevande, corse verso il magazzino a cercare un’ascia, doveva essercene almeno una vera tra gli attrezzi dei falegnami. E così fu. Si diresse allora in platea e iniziò a fare a pezzi l’ultima fila di poltrone. Sedili e schienali sarebbero serviti per fare le loro cucce, ma i fiancali e i braccioli sarebbero stati perfetti per il fuoco.
Mentre si ingegnavano, Lino e Chino, tornò nel teatro anche il compagno della ragazza. Era parecchio più anziano di lei, aveva la barba e lo sguardo buono. Si chiamava Geppo e guardava la giovane compagna come se stesse assistendo a un miracolo. Lei si chiamava Miren, i due nuovi amici lo scoprirono con sgomento, anche se avevano già capito che pure lei non era una sconosciuta.
Con il fuoco acceso, le pance piene, gli animali rifocillati, i quattro se ne stavano in silenzio a guardare il fuoco. Una delle attività preferite dagli esseri umani.
Fu Lino a parlare:
- Che ne dite se vi racconto una storia? È una storia che inizia nella notte dei tempi e si rinnova ogni qual volta qualcuno chiede di poterla ascoltare.
- Parla, buon uomo, abbiamo proprio bisogno di una buona storia per affrontare anche questa notte – disse Geppo.
E Lino iniziò a raccontare, continuando a guardare il fuoco e a decifrare i movimenti delle figure che danzavano nel centro.
Oggi è
sabato 19 dicembre dell’anno senza Carnevale e questa Cronaca 286 è la prima
parte della mia storia di Natale. Non c’è nulla che non sia decifrabile, ma
Lino è da giorni che mi tira per la manica e poi si sono aggiunti gli altri tre
e stamattina ho visto il grande Teatro del Mondo, chiuso, abbandonato e senza
luci. Non potevo non scriverci qualcosa intorno
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