Quando mi
svegliai ero una foresta, non una foresta qualsiasi ma proprio quella che, in
sogno, mi accoglieva da anni e anni.
Alti pini marittimi si mescolavano alle betulle russe, le palme della Riviera chiacchieravano fitto fitto con gli oleandri, l’acero rosso con l’albero di fico e i cespugli di rose con se stessi, perché si sa, la rosa è un fiore molto riflessivo.
Più di tutto mi piaceva essere l’albero bellissimo che è un acero riccio e ha arricchito la mia vita e la mia collezione di foglie anno dopo anno.
Ma ero anche tutti gli altri alberi della via, anche quelli che sono stati espiantati e sono anche gli alti ippocastani dall’altro lato della strada e gli immensi abeti dell’Himalaya che ombreggiavano la casa nel bosco di Soliva e la grande quercia nel campo dietro la casa di mia nonna in Calabria.
Mi addormentai quel pomeriggio leggendo le poesie di Louise Glück e, forse, è questo il motivo per cui mentre dormivo in forma umana, la mia anima si staccò e divenne la foresta di tutte le foreste, di tutti gli alberi che avevo ammirato e amato, di tutti quelli che avevo solo letto o sognato.
Anche oggi è accaduta la stessa meraviglia, mi sono addormentata donna, con le poesie della Glück in mano e al risveglio ero una foresta.
È stato lungo il tempo per sentire bene il mio stesso respiro, lungo il tempo dove ho accettato che non ci fossero più foglie sui rami.
La foresta protegge i lunghi sonni invernali della mia specie e i sogni lievi ricoperti di neve. Ha molte voci questa foresta e molte ne arrivano in sogno.
Ora sono capace di riconoscere anche le voci di voi che leggete, perché diversi sono i vostri respiri e le pause, le sospensioni mentre gli occhi scorrono le parole una dopo l’altra e lasciano che ognuna diventi una scintilla in un luogo remoto dell’anima che si incendia e chiede a sua volta parola.
Non si fermano questi alberi che intessono la mia anima, non smettono le radici di farsi profonde e i rami di stirarsi verso il cielo per attirare almeno una piccola nuvola.
Sono leggendarie le conversazioni tra gli alberi e le nuvole, sono voci di baritoni e tenori che dalla terra si elevano verso il cielo dove le nuvole soprani e contralti rispondono senza fermarsi mai a lungo.
Eppure, quel legame nato dalle voci inudibili alle nostre limitate orecchie umane, fanno sì che le nuvole sappiano ritrovare sempre la strada di casa. E casa per loro significa l’angolo di cielo sopra il primo albero che le ha chiamate per nome.
La Cronaca di oggi 6 dicembre dell’anno senza Carnevale è la 273 e il libro di Louise Glück che mi ha fatto risvegliare foresta è L’iris selvatico, tradotto da Massimo Bacigalupo e appena ripubblicato da il Saggiatore. Come sono allegri gli alberi d’inverno: sognano l’estate e aspettano la primavera.
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