Meglio contemplare la superficie o scendere in profondità? Superficie e profondità sono una diade magnifica per esplorare il mondo fuori e dentro di noi.
Ciò che pertiene alla superficie è vacuo, insignificante e frettoloso, il contrario di ciò che è profondo, cioè intenso, misterioso e complesso.
Non tutte le superfici hanno una profondità che corrisponde loro, mentre ogni profondità ha una superficie.
La superficie del mare sono le onde che diventano bianco-verdi quando si infrangono in una bella giornata di sole, la profondità è acqua su acqua e acqua, regno dei pesci, delle alghe e dell’inconscio.
Penetrare l’acqua non solo è semplice ma anche divertente, una volta entrati se ci lasciamo andare galleggiamo sulla superficie, ma con un guizzo possiamo diventare una sirena e scendere negli abissi trattenendo il fiato.
La superficie della pietra è pietra e anche la profondità è pietra, solida, immutata da millenni e penetrabile con molta fatica. Nessuno può tuffarsi in un sasso o in una montagna. Forse per questo raccogliamo pietre dai sentieri e le usiamo come ferma-carte, per ricordarci che ci sono cose che resistono alla nostra volontà e che per ancorare le parole alla carta, a volte l’inchiostro non basta.
La superficie dell’albero è la corteccia, sono i rami e pure le foglie. La profondità dell’albero è la linfa che scorre silenziosa, è la fotosintesi clorofilliana – alle elementari sono impazzita di gioia quando ho scoperto cosa facevano le foglie zitte, zitte – sono le radici che conversano con le foglie. Quindi la linfa è anche un messaggero tra il mondo di sotto, il mondo infero e quello celeste che bisbiglia alle foglie stesse.
La superficie del cielo è vasta quanto tutto il cielo, spesso è azzurra, ma se guardiamo bene, vediamo che le nuvole sono molte di più di quante non pensassimo. La profondità del cielo è duplice, verso il basso è la terra, verso l’alto sono le stelle.
La superficie dell’alfabeto è fatta di sillabe che corrono di continuo a diventare parole, la profondità dell’alfabeto sono le parole che ridiventano sillabe e poi guizzano nel significato.
La superficie della terra è la terra stessa, non c’è dubbio e la profondità della terra è anch’essa terra, se scaviamo diventa subito evidente.
La superficie del vento è l’aria e anche la profondità del vento è fatta d’aria ed è singolare che due dei principali elementi si somiglino così tanto.
La superficie della poesia è l’inchiostro con cui l’abbiamo scritta, la profondità della poesia è la metafora che svela significati poco comprensibili alla mente razionale. Meglio cedere all’incanto e sentire che quel linguaggio, quella voce arrivano dalla notte dei tempi che è lontana e antica quanto l’umanità.
Già che parliamo di notte esploriamone la superficie che è fatta di buio macchiato di luci dalle più svariate dimensioni. La profondità della notte è fatta prima di tutto di silenzio e poi di sonno e sogni.
Anche lo sguardo ha una superficie che è la percezione immediata di ciò che stiamo guardando, mentre la profondità dello sguardo è più ricca e profonda di un’occhiata, perché porta in sé la memoria di tutti gli sguardi che l’hanno preceduta.
Mi sta piacendo molto fantasticare intorno alla diade superficie-profondità. Poi mi ricordo che sto scrivendo la Cronaca 284 e che intorno alle 17, mentre ero in ufficio ho sentito il terremoto.
E mi viene in mente che il sangue di San Gennaro non si è liquefatto e poi una vignetta con un gruppetto di marziani tutti emozionati che dicono “Wow ragazzi, il 2020 sta finendo, adesso tocca a noi!”.
Appunto, quale altra afflizione ci vuole imporre il misterioso sceneggiatore di questo anno senza Carnevale, senza Pasqua, senza Natale e senza San Silvestro? Ma qualcuno glielo ha detto che una simile sequenza di disgrazie neanche in un film di fantascienza degli anni Cinquanta glielo avrebbero fatta passare? Qualcuno glielo ha detto? Ehi lassù mi sentite? No, pare che nessuno sia in ascolto.
Così torno a questo giovedì 17 dicembre dell’anno senza Carnevale e mi chiedo di cosa sia fatta la superficie di una Cronaca. Dei fatti minuti di questo giorno appena trascorso, del terremoto, del lavoro, del traffico impazzito, è facile rispondere a questa domanda.
E allora? Di cosa è fatta la profondità di questa Cronaca? Delle Cronache che l’hanno preceduta, è evidente, e delle immaginazioni intorno ai giorni che verranno.
Dunque una Cronaca è duplice come il cielo, anzi le somiglia proprio, i meteorologi e gli scrittori raccolgono indizi e fanno previsioni, scrivono scalette, ma poi le nuvole arrivano e piove, mentre la penna scrive di vento e cielo, quando invece, voleva solo scrivere di superficie e profondità.
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