“Una porta si è chiusa.
Un’altra si è aperta.
Sei entrato nell’inverno
della tua vita”.
La vita narrata è quella
di Paul Auster che si racconta non pronunciando mai la parola “Io”.
Per frammenti, a volte
lunghi qualche pagina, a volte poche righe, lo scrittore ricompone in un
mosaico quello che della sua vita è rimasto nella memoria.
Testimone e attore di
avvenimenti, di casualità che lo hanno portato a essere Paul Auster, racconta
dell’infanzia illuminata dall’amore materno, dei giochi sfrenati con gli altri
bambini, dei cambiamenti di un corpo di cui conosce soprattutto le mani e i
piedi, rassegnato a non sapere mai davvero nulla del suo viso che solo gli
altri vedono in continuazione. Proprio il volto dello scrittore campeggia sulla
copertina della traduzione italiana, come sempre dell’eccellente Massimo
Bocchiola, un volto assorto, preso in chi sa quali pensieri, che si staglia su
uno sfondo nero, da cui emerge come una scultura antica dove la pietra
trasmette la consistenza della carne.
Un libro di frammenti e
più ancora di liste che ricompongono la figura di Auster uomo, perché non molto
viene detto dello scrittore, così come l’ebraismo che pur presente, non è uno
degli elementi fondanti di questo libro. Liste di cicatrici, di luoghi
visitati, di case abitate nel corso di tutta la vita, di viaggi, di donne
amate, di malattie, di piccoli piaceri del corpo, dei cibi e dei dolci, del
piacere del fumo e del buon vino, del camminare, del leggere, del tradurre gli
amati poeti francesi. Tra tutte due sono le donne che emergono, la madre non
bellissima ma carina e fascinosa, divisa da sempre in tre creature, oscillante tra l’estrema
sicurezza del fascino e il panico che la paralizza e le impedisce di vivere una
vita normale. Dopo la sua morte è Paul che conosce cosa siano gli attacchi di
panico, quasi fosse un modo per tenere in vita dentro di sé, colei che lo aveva
dato alla vita. L’altra è Siri Hustvedt, donna bellissima, “alcuni fra i luoghi
più belli del mondo si trovano sul corpo di tua moglie", e talentuosa,
scrittrice come lui, con la quale condivide, ancora con stupore la vita da
quasi trentadue anni, “il grande amore che ti tese un’imboscata quando meno te
lo aspettavi”. Una vita insieme lunga e piena di gioie e di dolori,
caratterizzata soprattutto dal loro incessante conversare. L’amore coniugale è
raccontato con delicatezza e passione, ancora grato al caso, non dimentichiamo
che Auster, in ogni suo libro è il cantore del caso, per averli fatti
incontrare. Lo stesso caso che in un giorno lontanissimo fa sì che un fulmine
colpisca l’amico con cui sta giocando e risparmi lui. Così in una sequenza di
eventi, di casualità, di scelte apparenti Auster uomo diventa Auster scrittore
ed è lo scrittore, sullo sfondo ma sempre presente, che rende grazie all’uomo
che lo ospita. Un uomo che riconosce l’inverno della vita ormai iniziato, un
uomo simile a tanti altri uomini della sua epoca e che in qualche modo li
rappresenta tutti. Un libro di poche reticenze e molto pudore che ci avvicina
allo scrittore più che all’uomo perché anche in questo libro è l’uomo a essere
creato dalle parole, perché senza parole che raccontano l’uomo, Paul Auster
sarebbe solo un’ombra nel teatro della vita.
E.P.
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