Sapevo che dovevo scrivere un romanzo. Ma sembrava cosa impossibile da fare quando fin lì avevo cercato con grande difficoltà di scrivere dei paragrafi che fossero il distillato di quello che costituiva un romanzo. Ora diventava necessario scrivere racconti più lunghi, come ti alleneresti per una gara più lunga. Nel romanzo che avevo scritto prima, quello che era andato perso nella borsa rubata alla Gare de Lyon, avevo ancora il facile lirismo dell’adolescenza, che era deperibile e ingannevole quanto lo era la giovinezza. Sapevo che era probabilmente una buona cosa che fosse andato perduto, ma sapevo anche che dovevo scrivere un romanzo. Lo avrei rimandato finché non avessi potuto evitare di farlo. Potessi andare al diavolo se ne avessi scritto uno, perché quella era la cosa che avrei dovuto fare per poter mangiare regolarmente. Quando avessi dovuto scriverlo, allora sarebbe stata l’unica cosa da fare, e non ci sarebbe stata altra scelta. Lasciamo che la pressione aumenti. Nel frattempo avrei scritto un racconto lungo su una qualsiasi cosa che conoscessi meglio delle altre. A quel punto avevo pagato il conto ed ero uscito e avevo girato a destra e attraversato rue de Rennes così che non sarei andato ai Deux-Magots a bere un caffè e stavo risalendo rue Bonaparte nel suo percorso più breve verso casa.
Che cosa conoscevo meglio che non avessi già scritto e perduto? Che cosa conoscevo davvero e mi stava a cuore più di tutto? Non c’era scelta. C’era solo da scegliere le strade che ti riportassero più in fretta possibile là, là dove lavoravi. Procedetti sulla Bonaparte fino alla Guynemer poi verso rue d'Assas attraverso rue Notre-Dame-des-Champs fino alla Closerie des Lilas.
Mi sedetti in un angolo con la luce del pomeriggio che mi arrivava da dietro le spalle e scrissi sul quaderno. Il cameriere mi porto un café crème e io ne bevvi metà quando si raffreddò e lo lasciai sul tavolo mentre scrivevo.
Ernest Hemingway
Festa mobile
traduzione di Luigi Lunari
edizione restaurata
Oscar Mondadori giugno 2011
2 settimane fa
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