... e anch'io penso oggi che felicità sia
una parola nuova e rivoluzionaria.
Ma cosa significa? Chiedo a Mira, albanese,
ex maestra elementare, da molti anni a Roma come babysitter e collaboratrice
domestica, se sia felice. “Stamattina sì”, mi dice sorridendo, “perché ho
dormito un’ora di più. Mi sentivo riposata e quindi felice, ho preso tutto alla
leggera. Altre volte sono in ansia per il ritardo dell’autobus, oggi no”...
E io, mi chiede, sono felice? No. Perché? Perché ho paura di non riuscire a
esserlo, mi frego da solo. Mi chiede comunque un esempio di felicità. Quando ho
visto per la prima e unica volta il famoso raggio verde del sole al tramonto,
che credevo ormai non esistesse. Dove? A Ostia. E mi viene in mente che, quando
prendo la Via del Mare verso Ostia, mi sento sempre bene. Forse felice.
(...)
Così eccomi a Ostia, quartiere balneare di Roma prossimo alla foce del Tevere e
all'aeroporto di Fiumicino. È sabato, la luce è perfetta e cammino sul
lungomare di ponente, quello più povero, dove si vede ancora il mare. Al
ritorno mi fermo a un panificio aperto giorno e notte. È un punto di
riferimento non solo per il pane fresco e le pizze calde, ma anche per mangiare
altre cose.
Il proprietario, Piero Morelli, già presidente dei panificatori di Roma, mi
fermò un giorno per parlare di libri, poi mi mostrò il suo studio, una specie
di piccolo museo del pane...
“Io sono felice perché ho i miei anticorpi, Radio Tre la mattina, i libri, le
tue Panchine, Ceronetti, Cioran, mio figlio dietro al banco del
panificio che ha l’insegna col nome di mio padre, classe 1909, che dormiva sui
sacchi di farina di Piazza Venezia di fianco alla chiesa della Madonna di
Loreto, protettrice dei fornai di Roma”. (Intanto annoto: è la durata che fa la
felicità, il senso narrativo della propria esistenza, antidoto alla logica
della precarietà? Interiorizzare già da giovanissimi la paura di non trovare un
lavoro mi sembra un’infelicità recente e crudele, chi l’ha creata? Ai miei
tempi non avevo un soldo, ma sarei scappato chissà dove pur di non avere un
lavoro fisso).
(...)
Ci sono tanti mondi dentro il mondo.
(...)
Valeria, avvocato: “Ci si sente
felici quando, dopo una perdita o un’interruzione, c’è un recupero dello stato
precedente, con una consapevolezza che prima non si aveva, perché si era nello
stato naturale, quello senza il senso della perdita. La politica, il mondo di
cui parlano i giornali, crea turbamento, ma non influisce sulla nostra felicità
di fondo”.
(...)
Il cielo comincia a tingersi di viola e arancio. Mi ha raggiunto un amico
poeta, Sergio, ex aviatore che abita qui a fianco (“Sei felice?” “Sì, perché
uso lo stratagemma di avere desideri minimi, evitando quelli irraggiungibili”).
Nel via vai incontra un ex collega romagnolo, Giulio, pilota ex cassintegrato
Alitalia che ora vola sui jumbo cargo di una compagnia con sede a Malpensa. La
felicità, dice, è entrare in un panificio a Ostia e trovare un amico fraterno.
(...)
La felicità è qualcosa che ti attraversa come un fantasma, che non potrai mai
prendere né possedere, come la memoria del mondo, qualcosa di cui puoi solo
fare parte.
frammenti dell'articolo
uscito su Venerdì di Repubblica del
18/4/2014) che si può leggere per intero sul blog di Beppe Sebaste
1 commento:
Un'indagine interessante, una domanda scomoda, a cui, francamente, risponderei in maniera diversa a seconda dei giorni: sì, no, mai, forse. E comunque non me l'ha mai chiesto nessuno. Chissà chi avrà questo ardire.
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