Tempo
di bilanci e di cambiamenti. Pochi mesi fa ha
lasciato Arad, la città nel deserto, dove tutti i giorni
all'alba faceva una passeggiata tra i sassi e le
sabbie e si è trasferito nella mondana ed effimera Tel
Aviv. Così può stare vicino ai suoi quattro nipoti. Dal
grande, luminoso soggiorno della nuova casa,
in cima a un anonimo edificio di dodici piani, si
intravede il mare.
(…)
Perché ha deciso di diventare invece uno scrittore?
«Non
l’ho deciso. Fin da quando avevo cinque anni,
l’unica cosa che sapevo fare era narrare storie; ed
era anche l’unico modo per far la corte alla ragazze.
Probabilmente questa è anche la ragione per cui
continuo a scrivere».
Lei dice che il compromesso, in politica e anche nella quotidianità familiare, è la chiave per vivere decentemente. Però la sua scrittura è radicale. Usa le parole in una maniera spesso brutale. Nella scrittura non esiste alcun limite?
«C’è
un limite, dato dalla lingua. Ci sono cose percui la lingua non è adeguata. La
settimana scorsa, per
due giorni ho cercato la parola giusta per nominare
un
profumo. Ma nessuna lingua comprende tutta
la gamma di profumi. Quindi, alla fine ho adottato un
compromesso, ho usato una parola che non
corrispondeva
esattamente alla mia sensazione».
Una volta disse che quando descrive un protagonista, ne condivide tutto: gioie, dolori, rabbie. Non ha mai paura di esprimere certi pensieri o sentimenti?
«No.
Ma ho sempre paura di non essere preciso a
sufficienza. E confesso che non sono capace di scrivere
di persone che odio. Però vorrei raccontarle una
storiella. Cinquant'anni fa, in Michael mio
raccontavo la vita di una donna in
prima persona, come
se io fossi questa donna. Avevo 24 anni e
pensavo di sapere tutto delle donne. Oggi non avrei
osato fare una cosa simile. Oggi avrei detto alla
protagonista Hannah Gonen: mi dispiace, questa
cosa non la posso scrivere. Lei mi avrebbe risposto:
sta zitto e scrivi. Le avrei detto: decido io, dato
che sei tu la protagonista di un mio libro e non io
il protagonista del tuo libro. Lei avrebbe risposto: sei
tu lo scrittore, e allora tuo compito è narrare le
mie sensazioni ed emozioni. Le avrei detto: insisto, io non lo
posso fare, rivolgiti a qualcun altro»
frammenti dell'intervista di Wlodek Goldkorn ad Amos Oz
Repubblica di oggi martedì 15 aprile 2014
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