mercoledì 9 gennaio 2013

Un frammento luminoso


Che farci se avete trent’anni e, svoltando l’angolo della vostra strada, vi sentite sopraffatta d’improvviso da un senso di felicità – una felicità assoluta – come se aveste inghiottito un frammento luminoso di questo tardo sole pomeridiano, che vi arda giù nel fondo, mitragliandovi di una piccola gragnola di raggi in ogni particella, in ogni dito della mano e del piede?

(…)

Ma nel fondo di lei c’era ancora quel punto luminoso e ardente: quella gragnuola di piccoli raggi che ne sprizzava. Una cosa quasi insopportabile.
A malapena ardiva di respirare, per tema che divampasse più alta, e tuttavia respirava tanto, tanto profondo.

(…)
        
Andò in salotto e accese il fuoco, poi, presi a uno a uno i cuscini che Mary aveva disposto con tanta cura, li scaraventò sulle poltrone e sui divani.
Tutta la differenza era qui: subito la stanza si mise a vivere. Mentre stava per lanciare l’ultimo, si meravigliò di trovarsi all’improvviso a stringerlo a sé, appassionatamente, appassionatamente. Ma questo non servì a estinguerlo quel fuoco nel profondo. Anzi, al contrario.
Le finestre del salotto si aprivano su una terrazza che dava sul giardino. Proprio sul fondo, contro il muro, sorgeva un alto pero sottile nella più piena, ricca fioritura; si ergeva perfetto, come fissato contro il cielo verde giada. Anche a quella distanza, Bertha non poté a meno di sentire che esso non aveva neppure un germoglio, neppure un petalo gualcito. Giù in basso, nell’aiola del giardino, i tulipani rossi e gialli, tutti in fiore, parevano curvarsi sul buio. Un gatto grigio, strascicando il ventre, sgusciava attraverso il prato e uno nero, la sua ombra, gli si trascinava dietro.
Al vederli, così assorti, Bertha fu presa da un brivido.
“Che cosa da rabbrividire, i gatti!” balbettò, e si allontanò dalla finestra e prese a passeggiare avanti e indietro.
Come odoravano forte le giunchiglie nella calda stanza. Troppo forte? Oh, no. E tuttavia, come sopraffatta, si buttò su un divano, premendosi le mani sugli occhi.
“Sono troppo felice… troppo felice!” mormorò. E le parve di vedere sulle proprie palpebre il delizioso albero di pere coi bocci tutti aperti, quale un simbolo della sua vita.
Davvero… davvero… aveva tutto. Era giovane. Lei e Harry erano innamorati quanto e come sempre, e procedevano insieme meravigliosamente ed erano davvero buoni amici. Aveva una bambina stupenda. Preoccupazioni di denaro non ce n’erano. Avevano quella casa di tutta soddisfazione, e il giardino. E amici – moderni, amici eccitanti, scrittori e pittori e poeti e persone che si intendevano di problemi sociali – proprio il genere di amici che desiderava. E poi c’erano i libri, e c’era la musica, e lei si era trovata una meravigliosa piccola sarta, e nell’estate sarebbero andati all’estero, e la nuova cuoca faceva le più squisite omelettes…
“Sono assurda. Assurda!”. Si levò a sedere, ma si sentì completamente stordita, completamente ubriaca. Doveva essere la primavera.
Sì, era la primavera.

(…)

“Il suo stupendo albero di pere – albero di pere – albero di pere!”.
Bertha letteralmente si precipitò all’ampia finestra.
“Oh, e che cosa succederà adesso?” esclamò.
Ma l’albero di pere era stupendo come sempre, e sempre carico di fiori e sempre immoto.

Katherine Mansfield Felicità in Tutti i racconti I
Traduzione di Giacomo Debenedetti
Adelphi 1978

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io adoro questo racconto marina bisogno