Avevo uno specchio
Dove
ciò che vedevo non era più me stesso
Ma
palpebre chiuse su braci
Un
mondo rosa e profondo
Occorre
che io lo spezzi
Prima
che mi nasconda l’aria
Oh
questo fuoco che ancora una volta corre all’aurora
Nato
dal sonno dell’orizzonte
E
sui vetri questa saliva di gelo
Il
fuoco che avvampa perché le montagne sono sdraiate
Perché
hanno chiuso gli occhi
Nell’azzurro
del sonno un fuoco si accende
Montagne
che sognano
Innamorate
Passerò la notte in questa barca.
Nessuna lanterna né a prua né a poppa.
Nulla se non qualche stella nella
madreperla dell’acqua e il moto assopito della corrente. Arriverò a una
riva incerta, segnalata dai radi gridi dei primi uccelli, spaventati.
Anime sottratte al mondo perché sperare
in un simile accesso? Ci sono forse delle specie di gridi sconosciuti, uno
sguardo che nulla ferma, che nulla può stremare – qualcosa che va oltre ogni
sapere, ogni immaginazione, ogni desiderio?
Con questi lunghi grandi freddi,
nella terra diventata come pietra, i futuri fiori nelle loro capsule, nei
loro astucci.
Uccelli accostati alle case.
Cascata
nera sospesa
Cosa
misteriosa, equina
Piumaggio
Cosa
da torcere
Bruciante
vicinissimo a noi
Vello,
tizzone, torcia rovesciata
Fiamma
della notte nel giorno
Ferro
nel nostro cuore.
Questa
poesia di Philippe Jaccottet, con traduzione di Antonella Anedda è
tratta dal volume
I Poeti della malinconia, a cura di Biancamaria Frabotta,
Donzelli, 2001
I Poeti della malinconia, a cura di Biancamaria Frabotta,
Donzelli, 2001
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