Che farci se avete
trent’anni e, svoltando l’angolo della vostra strada, vi sentite sopraffatta
d’improvviso da un senso di felicità – una felicità assoluta – come se aveste
inghiottito un frammento luminoso di questo tardo sole pomeridiano, che vi arda
giù nel fondo, mitragliandovi di una piccola gragnola di raggi in ogni
particella, in ogni dito della mano e del piede?
(…)
Ma nel fondo di lei c’era
ancora quel punto luminoso e ardente: quella gragnuola di piccoli raggi che ne
sprizzava. Una cosa quasi insopportabile.
A malapena ardiva di
respirare, per tema che divampasse più alta, e tuttavia respirava tanto, tanto
profondo.
(…)
Andò
in salotto e accese il fuoco, poi, presi a uno a uno i cuscini che Mary aveva
disposto con tanta cura, li scaraventò sulle poltrone e sui divani.
Tutta
la differenza era qui: subito la stanza si mise a vivere. Mentre stava per
lanciare l’ultimo, si meravigliò di trovarsi all’improvviso a stringerlo a sé,
appassionatamente, appassionatamente. Ma questo non servì a estinguerlo quel
fuoco nel profondo. Anzi, al contrario.
Le
finestre del salotto si aprivano su una terrazza che dava sul giardino. Proprio
sul fondo, contro il muro, sorgeva un alto pero sottile nella più piena, ricca
fioritura; si ergeva perfetto, come fissato contro il cielo verde giada. Anche
a quella distanza, Bertha non poté a meno di sentire che esso non aveva neppure
un germoglio, neppure un petalo gualcito. Giù in basso, nell’aiola del
giardino, i tulipani rossi e gialli, tutti in fiore, parevano curvarsi sul
buio. Un gatto grigio, strascicando il ventre, sgusciava attraverso il prato e
uno nero, la sua ombra, gli si trascinava dietro.
Al
vederli, così assorti, Bertha fu presa da un brivido.
“Che
cosa da rabbrividire, i gatti!” balbettò, e si allontanò dalla finestra e prese
a passeggiare avanti e indietro.
Come
odoravano forte le giunchiglie nella calda stanza. Troppo forte? Oh, no. E
tuttavia, come sopraffatta, si buttò su un divano, premendosi le mani sugli
occhi.
“Sono
troppo felice… troppo felice!” mormorò. E le parve di vedere sulle proprie
palpebre il delizioso albero di pere coi bocci tutti aperti, quale un simbolo
della sua vita.
Davvero…
davvero… aveva tutto. Era giovane. Lei e Harry erano innamorati quanto e come
sempre, e procedevano insieme meravigliosamente ed erano davvero buoni amici.
Aveva una bambina stupenda. Preoccupazioni di denaro non ce n’erano. Avevano
quella casa di tutta soddisfazione, e il giardino. E amici – moderni, amici
eccitanti, scrittori e pittori e poeti e persone che si intendevano di problemi
sociali – proprio il genere di amici che desiderava. E poi c’erano i libri, e
c’era la musica, e lei si era trovata una meravigliosa piccola sarta, e
nell’estate sarebbero andati all’estero, e la nuova cuoca faceva le più
squisite omelettes…
“Sono
assurda. Assurda!”. Si levò a sedere, ma si sentì completamente stordita,
completamente ubriaca. Doveva essere la primavera.
Sì,
era la primavera.
(…)
“Il
suo stupendo albero di pere – albero di pere – albero di pere!”.
Bertha
letteralmente si precipitò all’ampia finestra.
“Oh,
e che cosa succederà adesso?” esclamò.
Ma
l’albero di pere era stupendo come sempre, e sempre carico di fiori e sempre
immoto.
Katherine
Mansfield Felicità in Tutti i
racconti I
Traduzione
di Giacomo Debenedetti
Adelphi
1978