Che rapporto c'è tra memoria e archeologia?
"Strettissimo, anche se la memoria può diventare una deformazione mentale. O meglio qualcosa che serve a giustificare le nostre azioni, quando sappiamo che non sempre possiamo giustificarle. È a quel punto che le narrazioni prendono il sopravvento, le parole volano e si romanzano".
Lei invece non ha mai pensato al romanzo?
"Amo leggerli, non potrei mai scriverli. Non ho fantasia né immaginazione. Scrivo libri su mondi e cose concrete. L'ultimo è dedicato ai mosaici. Ho scritto sui metalli e sulla pittura murale, mi sono occupata della storia del restauro archeologico. Sebbene per lungo tempo abbia sognato a colori, non c'è tra le mie fortune la capacità di trasformare tutto questo in un racconto".
In fondo anche il nostro inconscio può esser visto come uno scavo archeologico.
"È quello che pensava Freud. Ma c'è una differenza. Scavando nell'inconscio non sempre si trova quello che si cerca. Con i nostri strumenti non arriveremo mai fino in fondo alla nostra coscienza. Ci possono casualmente riuscire i poeti".
In che modo?
"Essi riempiono la nostra assenza, la nostra povertà e dimenticanza. Poeti come Celan - che fu per un breve periodo amico di Roman - o come Rimbaud o Dino Campana, testimoniano di sé e del disagio per non aver saputo reggere la vita, le avversità. Quando qualcosa si rompe nella loro esistenza ci accorgiamo che da quelle ferite possono uscire perle di poesia. La cosa strana è che non sempre questi versi si capiscono, ma il loro mistero ci può arricchire egualmente.
frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Licia Borrelli Vlad
Repubblica 5 febbraio 2017
2 settimane fa
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