lunedì 4 luglio 2016

La pazienza e la fatica necessarie per scrivere un romanzo

Non ho mai pensato che nei romanzi la lingua dovesse essere il risciò di sua maestà la narrazione, ma in passato mi è capitato di credere il contrario. Con sempre maggior frequenza i giornalisti culturali esaltano i romanzi in cui la "neutralità" (oserei dire l'imparzialità) della lingua rende la narrazione agevole e non pesante, scorrevole e non ostica, neanche la letteratura fosse una branca dell'economia dove ottimizzare il noto risultasse più importante di perdersi nell'ignoto allo scopo di risalire dal pozzo stringendo in bocca uno strano oggetto (perfino brutto o mostruoso) che l'umanità vede per la prima volta.
Io, al contrario degli ottimizzatori, credo che la letteratura abbia semmai più a che fare con la fisica teorica e con la stregoneria, con le Scritture (di cui molto spesso è la parodia, come sapeva bene Philip Dick) e con gli orologi guasti le cui lancette ferme segnano (per eccesso di spreco e di idiozia) almeno una volta al giorno l'ora di Dio.
Scoprire una verità nascosta (risalire dal pozzo con quell'oggetto) è tra le più belle ricompense che si possono ottenere grazie alla pazienza e alla fatica così spesso necessarie per scrivere un romanzo. Magari l'oggetto è inservibile. Magari è trascurabile e non rappresenterà mai una delle architravi su cui si reggerà la civiltà di domani, ma solo un fregio. E però quell'oggetto ha per me lo stesso un valore inestimabile. Ho parlato di "oggetti" ma forse sarebbe più calzante l'ipotesi di specie viventi, perché questo in un certo senso sono i romanzi. Specie viventi che ne contengono mille altre.

Nicola Lagioia
La lingua
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016

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