Il mare
Alle volte penso che se avessi avuto il coraggio di salire fino in cima alla collina, non sarei poi scappato di casa. La notte di San Giovanni doveva esser passata da poco, perché già diverse volte ci eravamo messi per la strada del vallone e salivamo fino ai nocciòli a cercare il letto dei falò. Sapevamo che in cima ce n'erano di larghi come un prato. Ma un giorno Gosto si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito così in alto che di lassù vedeva il mare.
Noi il vallone ci portava dentro una vigna quasi piana, chiusa intorno dai càrpini. Che cosa facessimo là fino a sera, non so. Guardavamo le punte degli alberi. Io dicevo a Gosto che al mare non accendono falò, perché il mare è pianura, e disteso sull'erba mi annoiavo a guardare le nuvole. C'erano anche dei grilli in quella vigna, e avrei voluto essere uno di loro per restarci la notte e trovarmici al mattino con la prima luce quando il sole è ancora freddo. Il sole da noi spunta dietro le colline basse, dove il nonno di Gosto aveva visto da ragazzo il mare.
Che il mare fosse da quella parte, l'avevo detto io a Gosto. I giorni di temporale, era là che si apriva lo slargo e il sole tornava a battere come sopra un gran campo di fiori, mentre da noi sgocciolava ancora. Io il mare l'ho sempre immaginato come un cielo sereno visto dietro dell'acqua. Lo stradone che scende verso quelle colline non è una strada di campagna; porta fuori della valle, in una pianura che scende sempre, che ha degli alberi che sembrano giardini. Già alla svolta, dopo lo sbocco nel vallone, dopo il ponte di ferro, c'è la casetta della Piana che ha un balcone di gerani. Laggiù non ci sono più vigne né boschi né stalle; di carretti tirati dai buoi non ne salgono di là; salgono invece i biroccini a tutta corsa e comitive coi parasoli.
Cesare Pavese
Feria d'agosto
Einaudi 1946
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