Leggere per Virginia Woolf è una questione di relazione e di amore, è un incontro, una conversazione, un dialogo, si fa in due, e ci si sceglie, anche tra vivi e morti, perché l’arte è presenza al presente. Ancor prima dell’amico Forster, e sua maestra in questo caso, lei tiene libri e autori tutti insieme in cerchio nella sua mente («è un unico cervello, dopotutto, la letteratura») e con loro chiacchiera al di là del tempo e dello spazio, costruendo immaginarie contemporaneità e geografie personali. Seduta alla sua particolare «tavola rotonda», traccia e rintraccia la tradizione della scrittura poetica e romanzesca calandola e trovandola nella vita quotidiana, rompendo ogni barriera, confine, frontiera, tra i generi letterari, tra alto e basso, maggiori e minori, mediocri o comuni, classici e contemporanei, epoche e cronologie. I suoi occhi corrono da una pagina all'altra, la penna fra le dita per questa o quella annotazione, cercando di mantenere separate, nella sua giornata, le ore della lettura da quelle della scrittura, perché, sebbene in modo diverso, sia le une sia le altre sono appassionate e travolgenti. Certo, la vera gioia è scrivere, ma i libri degli altri sono una diversa avventura, fatta di emozioni così forti che non sempre si può leggere il Lear di Shakespeare, o lasciarsi sopraffare dalla noia di un pedante, o andare in cerca di «qualcosa di severo»: conta eccome il nostro umore, e il corpo deve essere pronto, perché leggere è anche un vigoroso esercizio fisico, i muscoli del cervello si devono mettere al lavoro per fabbricare l’autore, immaginarlo con precisione, situarlo, metterlo a fuoco, vederlo e guardarlo infine con umana simpatia. I libri ci leggono, lo sa bene lei, che li scrive per afferrare «la mela sul ramo», l’emozione notturna e impalpabile delle falene, seduta su una poltrona sfondata, con un cartone sulle ginocchia, in stanze sui cui tavoli si ammucchiano, in disordine, libri su libri, promessa di futura felicità. In fondo lei non smetterà mai di essere la «bambina ignorante» che legge nella sua stanza al 22 di Hyde Park Gate, e poi la ragazzina che scorrazza libera tra gli scaffali dell’imponente biblioteca paterna, e poi ancora l’adulta che saccheggia quelle pubbliche, celebrandone la funzione democratica, perché sono le «sale di lettura per il lettore comune».11 Col tempo ha imparato a riconoscere, incuneato nella profondità della lingua inglese, il baluginare di un brillìo, il significato più antico della parola reader: «interprete dei sogni». (E non sorprenda l’affinità con Proust – il più vicino a lei e non a caso il più amato fra i suoi contemporanei – che, nella Fuggitiva, ragionando sul ricordo e sul sogno, scriverà «s’indovina leggendo, si crea».)12 Di fatto con i libri ci si espone al cambiamento, si rischiano tranquillità e abitudini, mentre leggo, dirà nella sua Lettera a un giovane amico poeta, «mi trovo – leggere, lo sai, è come aprire una porta a un’orda di ribelli che ci accerchiano e ci attaccano da tutte le parti – colpita, agitata, graffiata, denudata, buttata per aria, sicché la vita sembra splendermi accanto».
Proprio la vita, sempre imprevedibile, irrompe in queste attività della mente e mette tutto in subbuglio, scompiglia i fogli anche del suo diario, tanto che possiamo trovare una stupefacente lista di intenzioni di lettura, o gli appunti sparsi per un nuovo romanzo, fianco a fianco, mescolati alla lista della spesa e alla prima stesura di un articolo, o alle annotazioni, accurate e articolate, per una più lunga recensione. C’è serietà, gioia, ironia, fatica e tanto lavoro, basta prendere un esempio a caso, davvero a caso, lunedì 8 agosto 1922: «Ora che devo leggere? Un po’ di Omero: una tragedia greca: un po’ di Platone: Zimmern: Sheppard, come libro di testo: la vita di Bentley: fatto sul serio, questo dovrebbe bastare. Ma quale tragedia greca? e quanto Omero, e quale Platone? Poi c’è l’antologia. Tutto da concludersi con l’Odissea, per via degli elisabettiani. E debbo leggere un pochino di Ibsen per compararlo a Euripide – Racine a Sofocle – forse Marlowe a Eschilo. Suona molto erudito; ma realmente potrebbe divertirmi; e se no, nessun bisogno di continuare»
Liliana Rampello
Autobiografia di una lettrice in
Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941
Il Saggiatore 2011
Proprio la vita, sempre imprevedibile, irrompe in queste attività della mente e mette tutto in subbuglio, scompiglia i fogli anche del suo diario, tanto che possiamo trovare una stupefacente lista di intenzioni di lettura, o gli appunti sparsi per un nuovo romanzo, fianco a fianco, mescolati alla lista della spesa e alla prima stesura di un articolo, o alle annotazioni, accurate e articolate, per una più lunga recensione. C’è serietà, gioia, ironia, fatica e tanto lavoro, basta prendere un esempio a caso, davvero a caso, lunedì 8 agosto 1922: «Ora che devo leggere? Un po’ di Omero: una tragedia greca: un po’ di Platone: Zimmern: Sheppard, come libro di testo: la vita di Bentley: fatto sul serio, questo dovrebbe bastare. Ma quale tragedia greca? e quanto Omero, e quale Platone? Poi c’è l’antologia. Tutto da concludersi con l’Odissea, per via degli elisabettiani. E debbo leggere un pochino di Ibsen per compararlo a Euripide – Racine a Sofocle – forse Marlowe a Eschilo. Suona molto erudito; ma realmente potrebbe divertirmi; e se no, nessun bisogno di continuare»
Liliana Rampello
Autobiografia di una lettrice in
Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941
Il Saggiatore 2011
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