“Corridoio degli arrivi, crisi, estate dura”. Cocci e Frammenti, la tua ultima silloge, apre così. Nella tua poesia c’è un’abitudine alla frantumazione e, nello stesso tempo, un’attenzione ai resti. Resti di stelle, resti di parole, resti animali e umani. Dalle terre emerse sono rimasti cocci e frammenti? Che cosa vuol rappresentare la tua poesia oggi?
Spero proprio che non siano rimasti soltanto cocci e frammenti, anche se ogni tanto posso avere la tentazione di temerlo. Il fatto è che i “Cocci e frammenti” sono solo una piccola parte del lavoro recente, successivo a “Corpo stellare” e non ancora concluso. Appartengono a quella famiglia di testi che in me registrano qualche aspetto più materico, e talvolta più greve, della realtà. Di solito, questa modalità riesce poi a dialogare con l’altra, di natura diversa e meno implicata con la materia; chissà se anche stavolta sarà possibile.
Come hai iniziato a conoscere la poesia?
Ho iniziato da ragazzo, un po’ grazie alla scuola, ma soprattutto grazie alle poesie di Dylan Thomas, che è stato credo il primo autore che ho letto per conto mio. Accanto a lui imparavo a conoscere un pochino Leopardi, Baudelaire, Pascoli e Montale. Poi è venuto il resto, adagio adagio. Ma il punto di partenza credo sia stato quello, insieme a qualche disavventura personale che mi ha spinto, in qualche modo misterioso, verso la poesia.
incipit dell'intervista di Maria Zanolli a Fabio Pusterla apparsa il 12 aprile 2013 su Nuovi Argomenti
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