Il mondo non è chiaro e conchiuso, il tempo gocciola via seguendo un proprio ritmo. La scrittura è, allora, l'unico modo per mettere in ordine il caos che danza dentro e fuori di noi.
"L'imparziale realismo psicologico" che McEwan attribuisce alla scrittrice che Briony diventerà, è la cifra della sua stessa scrittura, e che scrittura!
Nella ricchezza di dettagli e riflessioni che attraversano anche questo romanzo, questo scrittore straordinario crea un mondo plausibile dove viviamo la vita e le emozioni dei suoi personaggi.
E.P.
§§§§§
Briony sedette a terra con la schiena appoggiata a uno degli armadi a muro dei giocattoli e si fece aria con le pagine della commedia. Il silenzio in casa era assoluto: non una voce, un rumore di passi, uno sgocciolio dentro le tubazioni; una mosca imprigionata tra i vetri di una finestra a ghigliottina aperta aveva abbandonato la propria battaglia, e fuori il liquido canto degli uccelli era evaporato nella calura. Allungò le gambe davanti a sé e si concentrò sulle pieghe del vestito di mussola bianca e sulle sue amate grinze di pelle intorno alle ginocchia. Doveva cambiarsi d’abito quella mattina. Pensò che avrebbe dovuto badare di più al proprio aspetto, come Lola. Non farlo era da bambini. Che fatica, però. Il silenzio le fischiava nelle orecchie e la vista le si alterò un poco: si vedeva le mani in grembo insolitamente grandi e al tempo stesso distanti, come se le guardasse da molto lontano. Alzò una mano flettendo le dita e si chiese, come già le era capitato di fare altre volte, come fosse entrata in possesso di quella cosa, quella specie di morsa, di ragno carnoso al suo completo servizio. Che avesse un barlume di vita propria? Piegò un dito e tornò a distenderlo. Il mistero era sigillato nell'attimo prima del movimento, l’istante che separava la quiete dal moto, quando l’intenzione raggiungeva il suo effetto. Era come il frangersi di un’onda. Se fosse riuscita a tenersi sulla cresta, pensava, non era escluso che avrebbe scoperto il proprio segreto, quella parte di se responsabile del fenomeno. Si portò l’indice vicino alla faccia e prese a fissarlo, ordinandogli di muoversi. Il dito restava fermo, perché lei stava solo fingendo, non faceva sul serio, e perché volerlo muovere, o essere sul punto di muoverlo, non era la stessa cosa che muoverlo per davvero. E quando alla fine lo piegò, il gesto parve partire dal dito stesso, non da un punto ignoto della sua mente. Quando sapeva di doversi muovere? Quand’era che lei lo muoveva? Era impossibile cogliersi di sorpresa. Esistevano soltanto il prima e il dopo. Non c’erano segni di cuciture, linee di giunzione, eppure sapeva che al di là del tessuto liscio che la foderava si trovava la vera se stessa - la sua anima forse? - alla quale spettava la decisione di smettere di fingere, per dare l’ordine definitivo. Quei pensieri le risultavano familiari e rassicuranti quanto la precisa configurazione delle sue ginocchia con la loro perfetta ma opposta, reversibile simmetria. Un secondo pensiero faceva immancabilmente seguito al primo, ogni mistero generava mistero; chissà se anche gli altri erano vivi quanto lo era lei. Per esempio, sua sorella era altrettanto importante per se stessa, si giudicava altrettanto preziosa? Essere Cecilia era un’esperienza forte quanto essere Briony? Anche sua sorella possedeva una vera se stessa nascosta sotto la cresta di un’onda, e passava del tempo a pensarci, tenendosi un dito davanti alla faccia? Era così per tutti gli altri, compresi suo padre, Betty, Hardman? Se la risposta era sì, allora il mondo, la società doveva essere complicata in modo insostenibile, con i suoi due miliardi di voci, e coi pensieri di tutti allo stesso livello e le pretese di una vita altrettanto intensa da parte di tutti, e con l’unanime convinzione di essere unici, quando nessuno lo era. Uno poteva annegare in tanta irrilevanza. Ma se la risposta era no, allora Briony si ritrovava circondata da macchine, intelligenti e gradevoli a vedersi, ma prive del genio intimo che lei si sentiva dentro. L’idea era lugubre e malinconica, oltre che improbabile. Perché, sebbene la cosa offendesse il suo senso dell’ordine, doveva ammettere che c’erano enormi probabilità che anche tutti gli altri avessero
pensieri simili ai suoi. Lo sapeva, ma solo in termini di sterile teoria; non lo sentiva davvero. Anche le prove offendevano il suo senso dell’ordine. Il mondo conchiuso che aveva disegnato con la chiarezza di parole perfette era stato snaturato dagli scarabocchi di altre menti, di altri bisogni; e perfino il tempo, così facile da segmentare sulla pagina in atti e in scene, nella realtà gocciolava via a poco a poco in modo incontrollabile.
Ian McEwan
Espiazione
Einaudi 2002
Nessun commento:
Posta un commento