Dove scrivi? Hai orari precisi?
Non riesco a scrivere ovunque. Di solito scrivo a casa. Adesso sto a Roma e mi trovo bene, ho un appartamento luminoso, silenzioso, con un bel panorama. Anche se ho un terrazzo non lo uso, scrivo al chiuso o mi distraggo. Ogni tanto invece vado in biblioteca, soprattutto perché la passeggiata che faccio per arrivarci mi è utile per staccare mentalmente. Grazie a Sara, una mia amica, ho scoperto una biblioteca strepitosa a Roma, il Centro Studi Americani di palazzo Mattei, un posto davvero fantastico per scrivere.
Fai preproduzione o scrivi di getto?
Scrivo, scrivo, scrivo, scrivo. Non ho formule. Inizio subito, vado avanti, il percorso di ogni libro è del tutto singolare e non esiste una ricetta buona in ogni caso. Quindi scrivo. Scrivo e scopro tutto solo tramite il processo di scrittura. Faccio moltissime stesure, e capita che lavorando così ci metta anche molto tempo a trovare il vero punto d’ingresso del romanzo. A volte riscrivo lo stesso paragrafo venti volte per trovare il tono e la postura giusta del brano. Poi però c’è un momento in cui trovi il passo, la struttura inizia ad apparirti chiara in mente, senti la velocità e allora procedi spedita.
Quante riscritture fai? Tendi giù a buttare giù prima tutto o cesellare passo passo?
Come ho detto riscrivo molto. In italiano scrivo a mano, mi piace quando, dopo aver accumulato un po’ di materiale, lo ricopio al computer, lo stampo e vedo cosa è venuto fuori. Lo rileggo, faccio mille appunti ai margini che portano di solito a buttare via oltre la metà del testo, poi di nuovo torno al quaderno a mano. Il fatto è che in italiano, se uso la tastiera, non riesco ad ‘ascoltare’ le parole; al di là di ciò, il risultato dello scrivere a mano è un’esperienza più intima e più diretta. A ripensarci, per i miei libri in inglese non l’ho fatto mai, è proprio un diverso processo, un diverso approccio al testo.
frammenti dell'intervista di Vanni Santoni a Jhumpa Lahiri
dal blog minima&moralia del 24 giugno 2015
2 settimane fa
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