La bellezza non è un'ospite d'eccezione. Abita da sempre nel nostro cervello: parola di Jean-Pierre Changeux, maestro delle neuroscienze cresciuto in quella fabbrica di mitici ricercatori come Jacques Monod e Francois Jacob che è l'Institut Pasteur e autore del saggio cult L'uomo neuronale. Da anni il grande scienziato dedica un'illuminante passione ai rapporti tra la creazione-percezione artistica e i complessi meccanismi cerebrali che impegnano dieci miliardi di cellule, divisi tra il lobo destro (che consente la visione) e quello sinistro (che permette il linguaggio). Sulla neuroestetica ha scritto Ragione e piacere e, recentemente, Il bello, il buono, il vero (per Raffaello Cortina Editore) in cui con sapienza encliclopedica mette a confronto scienza, filosofia, arte, letteratura, religione.
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Professor Changeux, perché siamo attratti da un'opera d'arte, ci piace, ne riconosciamo l'importanza?
Perché l'artista ha sviluppato un processo di empatia on chi osserva la sa creazione. L'empatia è riconoscere gli stati mentali dell'altro: devo capire se l'altra persona è felice o infelice.....
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Braque diceva "Amo la regola che corregge l'emozione". Pierre Boulez ha sostenuto il contrario. Con chi si trova d'accordo?
(Sorride). E' importante che ci siano sia la regola che l'emozione. Ci sono artisti più emotivi e altri più razionali. Per me la giusta definizione di opera d'arte è data dall'armonia tra ragione ed emozioni.
frammenti dell'intervista di Massimo Di Forti a Jean-Pierre Changeux
Il Messaggero giovedì 1 maggio 2014
2 settimane fa
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