giovedì 2 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/816. Ciò che chiamiamo pace ha solo il breve sollievo della tregua

 


 

Non volevo nomi per morti sconosciuti

eppure volevo che esistessero

volevo che una lingua anonima

– la mia –

parlasse di molte morti anonime.

Ciò che chiamiamo pace

ha solo il breve sollievo della tregua.

Se nome è anche raggiungere se stessi

nessuno di questi morti ha raggiunto il suo destino.

 

Non ci sono che luoghi, quelli di un’isola

da cui scrutare il Continente

– l’oriente – le sue guerre

la polvere che gettano a confondere

il verdetto: noi non siamo salvi

noi non salviamo

se non con un coraggio obliquo

con un gesto

di minima luce.

                                                                        

 

Considero Antonella Anedda una delle voci poetiche più significative del secondo dopo guerra e il suo libro Notti di pace occidentale (Donzelli, 1999) è quello che più amo. Mentre rileggo gli appunti che ho preso negli anni intorno a questa poetessa, noto che ho usato in modo automatico “secondo dopo guerra”, proprio come se scandire il tempo tra guerra e pace fosse in qualche modo normale. La mente umana ama esprimersi per diadi, coppie e binomi: guerra e pace; bianco e nero; vittime e carnefici; sole e luna; giorno e notte; proprio come se i forti contrasti contenessero l’unica verità plausibile e gli spazi intermedi, le sfumature tra i due estremi fossero poco interessanti o poco contassero.

Notti di pace occidentale è stato scritto tra il 1993 e il 1999 e raccoglie 48 poesie raggruppate in cinque sezioni. La prima sezione, quella eponima, è stata ispirata dalle guerre di fine Novecento, a partire dalla guerra del Golfo del 1991 sino alla dissoluzione della Jugoslavia e alla guerra del Kosovo. Tutto il libro di Anedda è un lungo brivido che evoca la solitudine del poeta che si rispecchia nella solitudine dei morti sconosciuti le cui immagini ci sfiorano da Internet, dalla televisione, dai giornali, oggi ancor più di allora.

“Ciò che chiamiamo pace / ha solo il breve sollievo della tregua”, scrive Anedda e rileggendo questi versi di potenza per me inaudita, i brevi decenni di pace nel territorio europeo, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono diventati un intermezzo felice in un mondo la cui storia è storie di guerre, sconfitte e vittorie, come se non ci fossero altre plausibili possibilità di esistere se non diventando vittima o carnefice. “Noi non siamo salvi”, scrive ancora la poetessa, non lo eravamo neanche durante gli anni di una pace illusoria dove non ci sono stati eserciti e battaglie a insanguinare la terra d’Europa, ma dove le logiche spietate e implacabili del Potere si sono comunque manifestate attraverso le regole dell’economia e ancor più della finanza globalizzate. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso 24 febbraio, mi chiedo perché questa guerra in particolare mi abbia colpito in maniera così profonda. Anche le altre guerre citate portarono sconvolgimenti emotivi nelle nostre vite a suo tempo, così come le guerre infinite che si combattono in ogni luogo della terra, ma perché proprio questa guerra ha avuto questo impatto così forte anche a livello di immaginario? Provo ad azzardare qualche spiegazione, con tutti i limiti di un punto di vista individuale di una donna di età ormai matura che appartiene alla generazione privilegiata dei baby boomers. Noi nati dopo il 1945 abbiamo ascoltato racconti di prima mano di chi la guerra l’aveva vissuta e subita. Racconti che possiamo ascoltare ancora dalla voce degli ottuagenari che all’epoca erano solo bambini. La Russia, che allora apparteneva all’Unione Sovietica, faceva parte della schiera dei buoni, di quelli che avevano contribuito a sconfiggere Hitler e il Nazismo, cioè l’incarnazione del Male Assoluto nella Storia. Uso volutamente tutte le maiuscole in questa frase perché anche quella guerra è stata qualcosa di assoluto, un momento che avrebbe dovuto sancire l’inizio di un’epoca definitiva di ragione e prosperità, come in parte è stato. Ma seguendo la logica binaria che tanto amiamo, i buoni si divisero in due blocchi antitetici che si sono schierati sui due lati d’Europa e sfidati, minacciati durante i lunghi anni della Guerra Fredda, la guerra non combattuta anche se, nei fatti, dichiarata, tra il mondo sovietico e quello occidentale protetto di nuovo dagli Stati Uniti e dalla Nato. Io non riesco a dimenticare tutti i giovani che sono caduti nelle guerre di tutti i tempi e ci penso ancora di più oggi che giovane non sono più. Ricordo lo sgomento e il dolore che provai quando andai a visitare per la prima volta Omaha e Utah Beach, le spiagge dello sbarco degli Alleati in Normandia. Ricordo la distesa infinita e semplice delle croci e delle stelle di Davide bianche su un’altura che si affaccia proprio su Omaha, le lapidi sono 9.387. Anche vicino a noi c’è un piccolo cimitero di guerra dove riposano i 417 caduti delle nazioni del Commonwealth che contribuirono alla liberazione di Milano, la nostra città che si è salvata dall’annientamento totale solo perché gli inglesi della RAF, capitanati dal comandante in capo Arthur Travers Harris, soprannominato Bomber Harris, decisero all’ultimo momento di andare a bombardare Dresda il 13 e 14 febbraio del 1945. La città venne rasa al suolo, le vittime furono all’incirca 235 mila e la Germania nazista subì un colpo fatale. Ma oggi è la Russia, in questa nuova guerra d’Ucraina, a essere il Paese aggressore, è come se il mondo si fosse rovesciato. E noi cittadini del quieto Occidente assistiamo impotenti a quanto accade. Impotenti e consapevoli, quasi all’improvviso, della fragilità di questo mondo globalizzato dove dipendiamo per il gas dalla Russia e per il grano dall’Ucraina. Difficile prevedere oggi cosa accadrà nei prossimi mesi e come e quando la guerra finirà. Potrebbe finire malissimo, con un conflitto nucleare? Purtroppo sì, la tremenda verità è questa. Ma cosa possiamo fare noi qui e ora? Poco, molto poco, possiamo cercare quei gesti di minima luce che Anedda evoca alla fine della poesia, possiamo continuare a vivere le nostre vite come meglio riusciamo, non farci sconfiggere dalla paura e dall’angoscia, continuare a vivere, studiare, lavorare e scrivere dando il nostro contributo quotidiano al benessere della nostra comunità di prossimità, perché è anche dai piccoli gesti e dal loro valore che il nostro contributo si allarga a macchia d’olio, consapevoli che il Male è insito nello spirito di noi umani e che il Bene è la lotta quotidiana che ciascuno di noi deve compiere, l’unica guerra accettabile da cui è impossibile prescindere.

All’inizio della sesta poesia del libro di Anedda leggiamo questi versi:

 

Non esiste innocenza in questa lingua

ascolta come si spezzano i discorsi

come anche qui sia guerra

diversa guerra

ma guerra – in un tempo assetato.

 

Per questo scrivo con riluttanza

con pochi sterpi di frase

stretti a una lingua usuale

quella di cui dispongo per chiamare

laggiù perfino il buio

che scuote le campane.

 

 

Non esiste innocenza nella lingua che usiamo, in quello che accade, ma esiste una forza che nasce dalla volontà di fare il bene comune, di costruire la pace, di sottrarre il futuro delle giovani generazioni alle logiche della guerra e alla sua devastazione. Con l’invasione dell’Ucraina, Putin si è avventato sul Ventunesimo Secolo come uno zombie sfuggito dal Ventesimo, da un’epoca che credevamo estinta, quella in cui i giovani vanno a morire in guerre comandate dai vecchi. Una sera recente in giugno, la mia amica Rossana, russa moscovita per parte di madre, mi ha raccontato di questa cugina con cui non è più in contatto, e che ha sposato un uomo ucraino. I due hanno una fattoria dove allevano mucche e i due figli maschi, ancora molto giovani, vivono, o meglio vivevano, uno a Kiev e uno a Mosca, rischiano cioè di trovarsi schierati a combattere l’uno contro l’altro. Come fermiamo la guerra allora? Continuando a credere nella forza della pace e della ragione, con l’unico mezzo non guerresco per trovare una mediazione accettabile, cioè la politica. E continuando a leggere e scrivere, poesia prima di tutto, ma anche narrativa e saggi, perché i libri, la parola scritta, ci aiutano a entrare in sintonia con gli altri da noi, a provare empatia, pietà e amore, anche per tutti quei nomi sconosciuti che tali resteranno.

 

Oggi è giovedì 2 giugno 2022 festa della Repubblica Italiana, terzo anno senza Carnevale e primo anno di guerra. Questa Cronaca 816 festeggia la nostra Repubblica e piange per questa guerra.

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