Un romanziere, riflettiamo, per forza deve costruire la sua
struttura a partire da dei materiali assai deperibili che all'inizio conferiscono
realtà alla struttura, ma alla fine l’appesantiscono di robaccia. Appena
riapriamo un’altra volta ancora Jane Eyre, non riusciamo a soffocare il
sospetto che troveremo antiquato, vittoriano e obsoleto il mondo della sua
immaginazione, esattamente come la canonica nella brughiera, un posto
frequentato soltanto dai curiosi, custodito soltanto dai devoti. Apriamo dunque
Jane Eyre e basteranno due pagine a scacciare ogni sospetto.
«A destra mi impedivano la vista i panneggi di tende
scarlatte, a sinistra c’erano i vetri chiari delle finestre che mi
proteggevano, ma non mi separavano dalla triste giornata di novembre. A
intervalli, mentre sfogliavo le pagine del libro, mi fermavo a guardare
l’aspetto di quel pomeriggio invernale. Lontano, si offriva un pallido vuoto di
nuvole e nebbia; vicino, uno scenario di prati umidi e cespugli battuti dalla
tempesta, con la pioggia incessante selvaggiamente trasportata da una lunga,
lamentevole raffica».
Non c’è niente qui che sia più deperibile
della brughiera, o più soggetto alla moda della «lunga, lamentevole raffica».
Né di breve durata l’intensità. Prorompe da tutto il volume, senza darci il
tempo di pensare, senza farci alzare gli occhi dalla pagina. Tanto intensa è la
nostra immersione che se qualcuno si muove nella stanza in cui stiamo il
movimento sembra aver luogo non qui, ma nello Yorkshire. La scrittrice ci tiene
per mano, ci forza al suo percorso, ci fa vedere ciò che vede lei, non ci lascia
neppure per un momento, non ci permette di dimenticarci di lei. Alla fine ci
ritroviamo totalmente imbevuti del genio, della veemenza, dell’indignazione di
Charlotte Brontë. Nel frattempo facce notevoli, figure dal forte profilo e dal
tratto aspro ci sono balenate davanti, ma è con i suoi occhi che le abbiamo
viste. Una volta scomparsa lei, le cerchiamo invano. Pensate a Rochester e sarà
attraverso Jane Eyre. Pensate alla brughiera ed ecco di nuovo Jane Eyre.
Pensate al salotto perfino, ai «tappeti bianchi su cui sembravano poggiare
brillanti ghirlande di fiori», al «caminetto in pallido marmo pario» col suo
vaso di cristallo di Boemia «rosso rubino» e «alla mescolanza in genere di neve
e di fuoco» – che cos'è tutto ciò, se non Jane Eyre?
tratto da «Jane Eyre
and Wuthering Heights», The Common Reader: First Series, The Hogarth Press,
London 1925
Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941
a cura di Liliana Rampello
Il Saggiatore 2011
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