Convalescenza di fine inverno
(a conclusione dei lavori di ristrutturazione)
Spiace lo squallore di questo paesaggio.
È quasi primavera.
L’albero trattiene ancora le gemme.
Il cielo trattiene una pioggia battente.
Le finestre chiuse trattengono
il caldo dentro le stanze.
Fuori da queste quattro cose
c’è uno spazio freddo
con sempre meno luce e senza vento.
La casa – sono sola –
mi cederebbe tutte le sue stanze,
è la stagione che si allarga
ma sono io che non le voglio, non le accetto.
È forse la stanchezza della malattia
che mi fa stare in guardia,
sebbene far la guardia sia per niente
visto che i buoi sono scappati
col carro pieno della roba mia.
Ma gli occhi, che mi restano fedeli,
continuano a inviarmi questi esterni,
stanze vuote, piene di spazio per l’ospitalità.
L’ospitalità mi chiede almeno un ospite
io sono invece un’altra stanza vuota
accanto a quella nuova appena sistemata.
Si chiamino ancora i muratori
che facciano a me controsoffittatura,
pavimento e diano il bianco
– almeno due mani, per favore –
adesso che si va nella stagione bella,
alle orme interne, vuote,
di stomaco, fegato, cuore, budella.
2 settimane fa
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