Mentre si scrive non si pensa a nessuno in particolare, si scrive al buio, possibilmente sottovoce, a voce sempre più bassa, per quella che una volta era considerata l’anima degli uomini. Poi ci si accorge che nelle difficoltà delle rese stilistiche, nei dubbi e negli smarrimenti, a cui lo stile inevitabilmente approda, si cerca qualcuno, di cui si vorrebbe un assenso, un battito di ciglia, un cenno. Nel mio caso è Calvino, nella sua limpidezza, nella sua capacità d’essere semplice e cristallino. È dunque un morto a raccogliere la sparsa attenzione dei vivi. Ma a volte penso a lettori che conoscano « l’âge du fondamental», che abbiano conosciuto le delusioni e il crollo delle ideologie (la loro età non importa), che si regolino sul battito del sole, del cielo, del mare, sull’amore, sulla morte, su ciò che la vita ha di più primordiale, che abbiano conosciuto quel tanto che il vento porta via con la cenere degli astri.
Si scrive sul fondo di una prigione ideale, a cui si affacciano rari volti amici. Scrivere non è un colloquio, ma un soliloquio. Le ultime pagine di un testo di fantasia si scrivono quasi in ginocchio.
Si scrive sul fondo di una prigione ideale, a cui si affacciano rari volti amici. Scrivere non è un colloquio, ma un soliloquio. Le ultime pagine di un testo di fantasia si scrivono quasi in ginocchio.
Ancora Francesco Biamonti, da Scritti e parlati
Einaudi 2008
Einaudi 2008
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