Ma i colori, quelli no, non sono cambiati.
I colori nel sud hanno una sola dimensione, schiacciati dalla luce e dall’estate, senza sfondo. I casali, i tetti, i maggesi, le chiome delle querce e degli ulivi, i campi di granturco con le pannocchie pendule tra le foglie, il greto argilloso dei torrenti in secca, le spiagge bianche che orlano le costiere.
Colore puro, cotto dal sole. E le strade di terra che viaggiano in mezzo al colore. Il celeste delle finestre chiuse sui muri ocra non intonacati. Il verde brillante dei castagni, il giallo dei covoni, il blu del mare. Perfino il mare, d’estate, sembra immobile, laccato, senza respiro.
La natura, sotto la luce del sud, ferma l’attimo e lo rende eterno nella sua silenziosa fissità.
Il silenzio ha i suoi rumori. Il martelletto delle cicale è uno di quelli. Quando sotto la calura la cicala arresta per un attimo il suo canto, il silenzio s’interrompe.
Un altro rumore del silenzio è l’abbaiare dei cani nella notte. Tu ti svegli quando tacciono e la luce della luna arriva con le sue ombre di tenerezza fino al tuo letto. Ti riaddormenti quando i cani riprendono ad abbaiare e il silenzio riempie di nuovo la notte sonora.
Dormono le cime dei monti
e le vallate intorno,
i declivi e i burroni.
Dormono i rettili, quanti nella specie
la nera terra ne alleva,
le fiere di selva, le varie forme di api,
i mostri nel fondo cupo del mare.
Dormono le generazioni
degli uccelli dalle lunghe ali.
Così vorrei che ogni sera un canto come questo cullasse il mio riposo e quello delle creature che abitano nella mia mente e nel mio cuore.
Questo brano è una citazione del libro autobiografico di Eugenio Scalfari L’uomo che non credeva in Dio (Einaudi 2008). La poesia è il Notturno di Alcmane nella bellissima traduzione di Salvatore Quasimodo.
Ho letto il libro oggi d’un fiato, senza mai chiuderlo e senza avere mai alzato gli occhi dalla pagina. A volte mentre cerchiamo nella natura una corrispondenza al nostro stato d’animo, la risposta arriva da un libro e dal ricordo di qualcun altro. Un ricordo che mi è così familiare perché quella di Scalfari è anche la mia memoria della Calabria. Il libro è pieno di sottolineature e note ai margini. Lo riporrò nello scaffale dei libri da tenere e da rileggere. Ora me ne sto quieta ad ascoltare le cicale e a rammemorare le estati della mia infanzia.
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