giovedì 23 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/655. Imparare a chiamare la solitudine con un altro nome

 


Storie dell’Avvento/16. Il richiamo della foresta

 

Ecco, aveva finito di scrivere la terza storia di Natale e l’aveva mandata alla rivista. Decise di non tornare in città, di non andare a nessuno dei numerosi party natalizi dove l’avevano invitata. Di solito si divertiva, ma quell’anno stava apprezzando più che mai la solitudine. Si chiese se la mancanza di un compagno, di figli e nipoti la facesse soffrire. Sorrise, come se qualcuno potesse vederla. Quella solitudine l’aveva difesa ferocemente, anno dopo anno, era per lei l’unica condizione possibile per una vita creativa. Ogni tanto doveva sparire dal mondo, ritirarsi nelle sue stanze dell’immaginazione e stare a vedere cosa sarebbe accaduto. Era quello che stava facendo e ne era contenta. Si alzò, si stirò la schiena, l’alba stava arrivando con il suo passo di leopardo delle nevi. Sorrise di nuovo e la belva nella sua mente ruggì. Era proprio ora di andare a dormire. Fu un sonno bianco, senza immagini e senza sogni, riposante e breve. Quando si alzò era quasi mezzogiorno, decise di andare giù fino al lago prima di pranzare. Il sole faticava a oltrepassare la coltre di nuvole grigie e compatte che si stendevano a perdita d’occhio. Mentre era quasi arrivata nel suo angolo di osservazione, sentì una specie di ruggito, tre spari in rapida sequenza e poi un silenzio innaturale. Chi era l’idiota che era andato a caccia vicino a casa sua? Quando arrivò nella radura che aveva individuato senza fatica, il grande cervo bianco stava fronteggiando l’enorme orso bruno che, però, non osava attaccarlo. Accasciato sulla neve e ben visibile, perché vestito di pelli come un indiano, stava un uomo dalla corporatura imponente. Sembrava addormentato, ma avvicinandosi vide che una chiazza rossa di sangue si allargava all’altezza della sua testa. Dopo l’ennesimo bramito, il grande cervo si slanciò in una corsa a zig tra gli alberi inseguito dall’orso. Parker poté così avvicinarsi all’uomo, anche se era quasi certa che fosse morto. Il segno degli artigli dell’orso partiva dalla fronte in alto a destra, sopra la tempia, sfiorava il sopracciglio sinistro e arrivava sino all’orecchio. Era un segno superficiale che andava a sovrapporsi ad altre cicatrici anche più estese e profonde che l’uomo aveva sul viso. Era ancora abbastanza giovane, più giovane di quanto non lo fosse lei, forse. Gli strofinò il viso con una manciata di neve e l’uomo emise un lamento. Il sangue copioso era uscito dal cuoio capelluto e non si trovava certo in pericolo di vita. Prima che potessero aprire bocca, il grande cervo bianco era tornato al galoppo e li aveva affiancati. Li seguì sino alla casa, anche se Parker aveva quasi l’impressione che lui li stesse scortando per proteggerli. Dopo che lei ebbe aperto la porta di casa, non fece in tempo a voltarsi che il cervo era sparito, mentre un branco di lupi era appena uscito dalla foresta, ma non con l’intenzione di avvicinarsi a loro. Dovevano avere già mangiato perché i giovani lupi si rotolavano nella neve, si rincorrevano sotto lo sguardo delle due madri e i due maschi non si davano pena di rimetterli in fila. “Grazie per avermi salvato, io sono Jack, e voi siete?”. C’era qualcosa di antico in lui, forse il modo di parlare, le maniere un po’ affettate, chissà. “Io sono Parker, e non c’è di che, ma credo sia stato il cervo bianco a salvare entrambi”. Andò a prendere la cassetta del pronto soccorso, mai usata prima, e gli disinfettò e bendò la ferita. Aveva davvero un che di selvatico quel cacciatore che sembrava uscito da un racconto di Jack London. Anzi, assomigliava a Jack London, almeno così le sembrava, soprattutto per via dei riccioli che gli sfuggivano sulla fronte. “Sai che mi ricordi un altro Jack? Jack London per la precisione”.

Lui spalancò occhi e bocca: “Ma io mi chiamo Jack London. E non credo di avere il piacere di conoscervi Miss”. Ma come dannazione parlava quello zotico?

 

Ecco che è arrivato giovedì 23 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 655 è pronta a tornare nella foresta, dove vivono scrittori e immaginazioni.

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