Ma i versi, ahimè, significano così poco, se scritti presto. Si dovrebbe aspettare a farne, raccogliere saggezza e dolcezza per una vita intera, una vita lunga, se possibile, per riuscire forse, alla fine, a scrivere dieci righe che sono buone.
Perché i versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza presto) - sono esperienze. Per un solo verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna sentire come volano gli uccelli, e sapere i movimenti con cui i piccoli fiori s'aprono al mattino. Bisogna poter ripensare a cammini in contrade sconosciute, a incontri inattesi, e ad addii che si vedevano da tanto in arrivo, a giorni dell’infanzia ancora inesplicati, ai genitori che dovevamo amareggiare quando ci portavano una gioia che non capivamo, (era una gioia per un altro...) a malattie infantili che cominciavano in modo così singolare con mutamenti tanto gravi e profondi, a giorni in stanze quiete e raccolte, e a mattini sul mare, al mare, ai mari, a notti di viaggio che frusciavano via alte e volavano con tutte le stelle - e non è ancora abbastanza, bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all'altra, di grida di donne con le doglie e di bianche, lievi puerpere addormentate che si chiudono. Ma occorre anche essere stati vicino a moribondi, essere stati seduti accanto a dei morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori che entrano a folate. E non basta neppure avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e attendere, bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, che in un'ora rarissima, s'alzi ed esca dal loro centro.
Rainer Maria Rilke
I quaderni di Malte Laurids Brigge
a cura e con un saggio di Giorgio Zampa
Adelphi 1992
2 settimane fa
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