giovedì 11 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/95: poesia degli alberi nei secoli e nel cielo


L’albero fissava il cielo con le sue mille e mille foglie che erano occhi, che erano mani.

Con le sue mani foglie l’albero accarezzava l’aria, solleticava il vento, l’albero rideva, contento.

L’albero accoglieva tra i rami folti un nido di passeri e i molti cinguettii solleticavano le sue foglie che erano orecchie.

Il profumo della pioggia che si stacca dalle nuvole, l’albero lo usmava con le sue mille e mille foglie.

Il suono della pioggia che cadeva raddoppiava il piacere dell’albero incantato. Sempre le mille e mille foglie gli trasmettevano il dolce suono.

Solo un senso le foglie non potevano agire direttamente. Il sapore della terra, il ferro, l’erba, l’acqua piovana.

Erano le radici che assaggiavano ogni materia. Era un lavoro lento, perché la terra custodiva il sapore del vento e quello delle nuvole.

E nel buio del sottosuolo ogni aroma si trasformava nella linfa che arrivava su, su, lassù sino alla foglia più in alto, la vedetta che per prima sapeva quale nuvola si sarebbe offerta per lasciar cadere al suolo le sue gocce di pioggia.

Un albero è un universo compiuto che tende i suoi rami negli altri universi.

Un albero ama tutti gli elementi perché non li teme.

L’acqua lo disseta, l’aria lo accarezza, la terra lo nutre e il fuoco, allora? Il fuoco distrugge.

Così sembra se ci fermiamo agli effetti immediati dell’opera scintillante del fuoco che danza con l’aria che lo alimenta. Terra e acqua possono fermarlo. Ma l’albero non chiede a nessun altro elemento di mutare la propria natura in favore della sua.

Se il fuoco arriva e né l’acqua né l’uomo possono fermarlo, l’albero fa fuggire le creature del cielo che vivono tra i rami e quelle della terra che strisciano sulla corteccia.

Poi si abbandona alla fame del fuoco e diventa tizzone ardente e dopo ancora cenere spenta.

Le radici profonde hanno memoria del verde delle foglie, del legno forte dei rami e dell’irruenza del fuoco. A volte le radici iniziano a tessere e nuovi germogli sbucano dal profondo e le generazioni future avranno un nuovo bosco e non solo il suo racconto.

Gli alberi e gli umani hanno una storia millenaria di reciproca dipendenza.

Un albero sa sempre quando sta arrivando la sua ultima ora in quella forma.

Patisce il taglio dell’ascia, grida sotto la pialla, ma si piega.

Vedi questa libreria che ho costruito con le mie mani?

Avevo due frassini nel giardino della mia vecchia casa. Ho deciso di lasciarne uno a custodire il luogo e l’altro l’ho portato con me tagliato nelle assi che ho lavorato, piallato, levigato, inchiodato e incastrato.

In questi scaffali arriveranno libri dalle mie vite passate. Qui, nella Casa delle Stelle, resterà tutto ciò che ha dato un senso alla mia vita. E ora puoi scriverla questa storia di libri, oceani e stelle.


L’architetto finisce di raccontarmi la sua storia e me le regala. Così la trascrivo e ogni tanto alzo lo sguardo e lo vedo, mentre il mosaico si allarga e illumina la stanza.

Questo nuovo giorno sembra uguale al vecchio, piove ancora e tira vento. Non c’è più traccia dei mesi di giugno luminosi della mia giovinezza.

Fai quel che puoi con il tempo che hai – mi dice l’architetto senza voltarsi. Anche lui mi legge nel pensiero come fa la sacerdotessa.

Non mi pongo altre domande. Sorrido e giro pagina. Quante cose ancora da leggere e scrivere sugli alberi, veri sovrani del mondo.



Poesia degli alberi nei secoli e nel cielo

Non è la terra l’amante del cielo,
e il cielo non è l’amante della terra.
Sono gli alberi che amano nel
tempo, sono gli alberi che portano
il canto da un lato all’altro del
mondo e tutto intorno l’aria si
rallegra e scivola tra le foglie,
mentre la pioggia appesa alle
tue ciglia, nasconde le lacrime
che gioia e inaspettato hanno
creato proprio per te.


Questa poesie inedita l’ho scritta per questa Cronaca 95

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