Post Scriptum
Il nuotatore deve entrare nell'acqua
il più dolcemente possibile, come una
lontra che abbandoni la tana...
Sergente Lehay, L'arte del nuoto nello stile di Eton, 1828
da Charles Sprawson, L'ombra del massaggiatore nero
Sul mare la cerimonia del nuoto ha inizio il mattino presto, quando ancora non c'è nessuno. C'è silenzio, e il mare è intatto e immobile ad aspettarmi.
È necessario guardare lungamente il mare. Una forma di meditazione che aiuta a staccarsi da sé: una dimensione senza corpo, senza tempo, fatta solo di sensi. Il respiro comincia a farsi profondo, le narici annusano, e i rumori del mare fanno rallentare il sangue,
Bisogna prepararsi scrupolosamente. Bisogna guardare, pensare, respirare.
Intanto i gabbiani sorvolano la superficie, decidono di lanciarsi verso l'alto. Posso provare a seguirli, ma preferisco l'isolamento del cormorano che, dopo la pesca, se ne sta laggiù sugli scogli, fermo ad ali aperte per farle asciugare, e fissa l'orizzonte.
Mi domando se il blu marino, così intenso, a volte tanto blu da incantare, sia opera del cielo, di quella sostanza azzurra che vi si riflette. Questa prevalenza di blu commuove: tutto dorme nel blu, fatto d'aria e d'acqua, di cieli e di mare; il blu è ovunque, un colore che dovrebbe essere freddo, eppure ha il potere di rasserenare. Mi domando come mai, stando dentro l'acqua, la trasparenza nasconda - tra lampi di luce - sfumature verdi, gialle e brune. E perda quella pennellata di blu corposo, compatto.
Se mi capita di entrare in acqua per prima, inizia quello stato di euforia che è solo di alcune mattine magiche. Entro con la delicatezza di che non vuole turbare lo stato perfetto di un mare morbido, senza onde. Lo saluto, sorrido mentre saggio la consistenza del liquido salino, ne misuro la temperatura. Adoro nuotare al largo, nell'acqua fredda.
Galleggio brevemente, supina, gli occhi in su, verso quel tetto senza confini, appena maculato da riccioli bianchi di cotone, soffici, immateriali, Scie di aerei in transito sono corsie che delimitano il mio nuoto a dorso, il preferito, tutto sguardi, tutto cielo. Se guardo i fondali, a volte mi capita di vedere sottili teorie di bollicine argentee (pare mercurio) che si liberano dalla sabbia e risalgono in superficie. È il respiro del mare, mi dico. Perché il mare respira e non è difficile sentirlo.
L'impermanenza dell'acqua - penso mentre sono immersa - che non conosce angoli o spigoli. Che non ha forma, che permette al corpo di farsi largo, di entrare, di percorrerla lasciando impresso uno spazio senza spazio, una nicchia senza contorni: il corpo sta in acqua e si muove senza mai incontrare resistenza.
Scivola, si sposta, e l'acqua lo abbraccia, lo sostiene, lo accompagna. Non lo abbandona: l'errare acquatico è talmente singolare che ogni volta pare simulare una nuova nascita. Forse è per questo che - stando immersi nel mare - si prova una felicità semplice, ancestrale, istintiva. Si può arrivare persino a provare l'estasi di sentirsi acqua nell'acqua.
Mentre mi muovo con la leggerezza inconsistente di una medusa, posso sentire l'acqua sulla pelle, sul viso, sulle mani, tra le dita: il mare respira, ride, parla. Il fondale pare il manto pezzato di una mucca: macchie nere irregolari risaltano sulla sabbia chiara. La profondità mi mette paura, dà le vertigini; chiudo gli occhi per non vedere e mi sento invadere da una corrente che mi avvolge e mi sospinge delicatamente. È questa la sobria ebbrezza della vita? È qui la felicità del vivere? È in questo stato di beatitudine che posso abbandonare i sì e i no già detti, o che ancora devo dire, la sequenza dei desideri senza fine e senza inizio? È qui che posso ancorarmi, mettere radici e fissare per sempre uno stato di assenza di gravità? Nuotare e camminare, nuotare e volare, volare e nuotare, una medesima emozione: non ho altri desideri.
È in questi momenti che prendo coscienza di uno stato di grazia indicibile. Sono senza età, senza nome, non ho identità. Non conosco passato né futuro. Solo il qui e ora di puro movimento, muscoli e pulsazioni, respiro. Posso sentire tutto come se mai avessi avuto questa capacità di percezione assoluta, al massimo grado: accarezzo la superficie, spingo porzioni d'acqua dietro di me come fossi remo, ascolto suoni e battiti, sibili e sfrigolii sott'acqua dove pare persino che gli elementi primari. vento, aria e fuoco, combattano l'uno contro l'altro, assaporo l'umore salino che brucia la gola, osservo le piccole colonie di pesci che si aprono al mio passaggio e mi sfiorano, trattengono nel naso profumi e odori familiari, fatti di molecole diverse, vivide e a volte nauseanti.
Lascio che un minuscolo ippocampo arrotoli la sua coda a riccio sulle falangi del mio mignolo e si lasci portare. Dove andiamo? Vuoi seguirmi? Vuoi che impari la tua danza? Vorresti insegnarmi a respirare sott'acqua senza polmoni?
Valentina Fortichiari
La cerimonia del nuoto
Bompiani 2018
Sottoscrivo parola dopo parola questo brano tratto dal libro di Valentina Fortichiari. Un libro che mi ha coinvolto ed entusiasmato e fatto voglia di andare al mare. Magari nella Baia del Silenzio di Sestri Levante dove ho vissuto molti momenti come quelli descritti in questo libro, in particolare ne voglio ricordare due: un mattino soleggiato di un lontanissimo novembre dove, seduta sulla spiaggia, leggevo i diari di Anais Nin e prendevo appunti sul mio quaderno di sottile carta gialla rilegato in rosso e nero; e poi una mattina luminosissima e fresca di un luglio un po' meno lontano dove, prima delle sette, ho nuotato a lungo da sola. Non c'era nessun altro che nuotava, il mare era appena increspato da piccole e rade onde. Un altro momento di perfezione cui si aggiunse, sempre durante quella vacanza, il pigro galleggiare meridiano accanto alla boa, mentre ascoltavo le cicale e guardavo le nuvole.
Oggi il libro sarà presentato a Milano: