«Scrivere un romanzo significa
formulare una domanda complessa
nella forma più complessa
possibile.»
(...)
Lo sfondo del romanzo è la
guerra civile, ma il vero protagonista
non è lo zio franchista.
Il libro può essere letto come
un confronto intimo con sua
madre, con la casa di Ibahernando,
con la sua storia di
scrittore.
«Sì, vero, è mia madre la protagonista
segreta del romanzo. Per
la prima volta racconto anche il
nostro trasferimento dal piccolo
e avvolgente villaggio di Ibahernando
a Girona. E lo spaesamento
che mi ha accompagnato negli
anni di formazione. La scrittura è
stata una forma di risarcimento,
mi ha restituito quella protezione
che era venuta meno».
Qual è stata la reazione di
Blanca nello scoprire che lo zio
era in realtà un perdente?
«Forse lo sapeva già, istintivamente.
S’è divorata il libro per
tre volte di seguito, scoprendo cose
che lei stessa non sapeva».
E lei Cercas cosa ho scoperto
più di se stesso?
«Per tutta la vita ho creduto
che mia madre mi volesse come
Manuel Mena, l’Achille dell’Iliade
che trova in battaglia la morte
eroica. E alla fine ho capito che invece
mia madre mi voleva come
l’Achille dell’Odissea che pensa
sia preferibile conoscere la vecchiaia
essendo il servo di un servo
piuttosto che non conoscerla
essendo il sovrano delle ombre.
Questo mio romanzo è bellicosamente
antibellicista. Ma mia madre
è la più antibellicista di tutti,
avendo visto la guerra».
Lei scrive: sono diventato
scrittore per non essere scritto
da mia madre. Però poi…
«…scopro che alla fine sono stato
scritto da lei. Resta una grande
ambiguità, ma senza ambiguità
la letteratura non esiste. È stata
mia madre a farmi scrivere
questo libro? Non lo so. Probabilmente
sì. L’unica certezza è che
dopo averlo scritto mi sono sentito
meglio. Chi sono io, Javier Cercas?
Ora lo so un po’ di più».
Javier Cercas
frammenti dell'intervista di Simonetta Fiori su Repubblica di sabato 8 aprile 2017
2 settimane fa
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