domenica 23 febbraio 2014

Ho tenuto un diario, tutti i giorni, per quarant'anni

«Ho tenuto un diario, tutti i giorni, per quarant'anni. Da quando ero un ragazzino fino a oggi. E non penso affatto che sia un’abitudine antiquata, obsoleta. Al contrario, credo che oggi sempre più gente affidi i propri pensieri quotidiani a un quaderno, anche se non è necessariamente di carta e non è necessariamente un giornalino segreto, privato, ma pubblico come lo sono Facebook, Twitter, i social network insomma».
Ma adesso anche i pensieri privati di Hanif Kureishi sono diventati un “diario pubblico”: li ha acquistati per centomila sterline, centoventimila euro, la British Library, l’eminente biblioteca nazionale britannica, uno dei custodi di libri, documenti e manoscritti più prestigiosi del mondo. Da qualche parte nel ventre di questa futuristica balena di pietre rosse, come caduta dal cielo fra le vecchie casette vittoriane del centro di Londra, tra Bloomsbury, il quartiere di Virginia Woolf, e la stazione ferroviaria di King’s Cross, in qualche sala o seminterrato, fra la sua collezione sterminata di centocinquanta milioni di volumi, riviste e artefatti risalenti fino al Trecento avanti Cristo, ora ci sono solerti bibliotecari che stanno leggendo, ordinando e sistemando l’archivio personale dell’autore de Il Budda delle periferie, di My Beautiful Laundrette e del recente L'ultima parola (ispirato da V.S. Naipaul, il suo padre letterario). È come una consacrazione per lo scrittore, sceneggiatore e commediografo anglo- pachistano che vent’anni or sono entrò come una furia nella casta wasp della narrativa inglese, aprendo la strada a una narrativa più etnica, globale, ricca, che dopo di lui non è più stata la stessa. «Lì dentro ci sono i manoscritti di tutte le mie opere, bozze di altre che non ho mai completato, lettere, appunti, fotografie, agende di appuntamenti e naturalmente c’è il mio diario, un journal che ho tenuto fino a pochi mesi fa», racconta lo scrittore davanti alla British Library. «Mi fa piacere che restino a Londra, perché questa, a dispetto delle origini asiatiche della mia famiglia, è la mia casa, il luogo che più amo».

È un ritorno a casa anche per un’altra ragione: in questo tempio della lettura lei ebbe il suo primo impiego, non è vero?

«Avevo vent’anni, studiavo all’università e per guadagnare qualche soldo lavoravo alla British Library, che non era ancora questa in cui ora riposano i miei scritti ma una serie di edifici più piccoli, sparsi per la città, comunque in possesso di un’aura che per me aveva un’attrazione speciale. Era come per un bambino goloso di cioccolata ritrovarsi in una pasticceria».

incipit dell'intervista di Enrico Franceschini a Hanif Kureishi
Repubblica domenica 16 febbraio 2014

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