Com'è scrivere un romanzo?
L'inizio: Una cavalcata nel bosco a primavera.
La parte centrale: Il deserto del Gobi.
La fine: Una notte d'amore,
Ora sono nel deserto del Gobi
Edith Wharton
dal diario del 1934 mentre scriveva Bucanieri
Elena Petrassi: Una città è un sogno di cemento e pietra sognato da centinaia di anni: io sono il sogno. Milano parla, io racconto Milano e il mondo visto e immaginato da questo sogno. Raccolgo frammenti dal mondo e dai libri e li trascrivo.
Com'è scrivere un romanzo?
L'inizio: Una cavalcata nel bosco a primavera.
La parte centrale: Il deserto del Gobi.
La fine: Una notte d'amore,
Ora sono nel deserto del Gobi
Edith Wharton
dal diario del 1934 mentre scriveva Bucanieri
Ieri abbiamo costeggiato un fiume e, anche se eravamo sempre a nord, c'erano luci che non avevo mai visto. Non che prima non esistessero, ma ero io che non le guardavo. Di solito in questa stagione sono a caccia, seguo piste, ho gli occhi fissi sui sentieri e sulle orme degli animali, è possibile che mi sia imbattuto in spettacoli del genere senza notarli e penso che devo essermi perso un'immensità di cose. Eppure mi concedo il tempo di ascoltare i lupi e contemplare il blu della notte, e quando non sono troppo in alto conto i riflessi incandescenti delle lucciole come fossero altrettanti astri preziosi e ridicoli. È per quei momenti che vivo qui, solo che il mondo è troppo grande perché si possa vedere tutto. È anche la sua bellezza. Se conoscessi tutto non avrei più sorprese, non avrei l'impressione che la luce dia al fiume riflessi arcobaleno, è una luce che sembra un gioco di prestigio. La vedi? Chiedo ad Aru, e lui dice di sì.
Sandrine Collette
Eravamo Lupi
traduzione di Marina Perseli
edizioni e/o 2024
IL SUD
Il vento cala di intensità, la foresta si quieta. È stata solo una buriana passeggera. Ma è bastata a pulire la mente.
Comincio a mettere in bella gli appunti di questa storia. Scrivo velocemente. È da qualche anno che sento di dover fare in fretta. La rapidità con cui si stratificano le mie agende annuali mi obbliga a fare i conti col tempo che mi resta e a lavorare più sodo. Scrivere - l'ho imparato - è anche un trucco per vivere più intensamente, vuotare il sacco e abbassare il livello dell'ansia.
"Lascia passare il vento tra le righe" raccomanda la giovane siriana di nome Europa nel mio libro sul mito fondativo del Continente. Stavolta il vento tuona, sconvolge la parola, fa tremare le righe. Mi obbliga ad aggrapparmi a frasi solide e brevi.
Comincio a vedere più chiaro. A trovare appigli fermi nella tempesta degli eventi e a collegare tra loro fatti trascurati dalle cronache.
Paolo Rumiz
Verranno di notte
Lo spettro della barbarie in Europa
Feltrinelli maggio 2024
(pag. 142)
Una giornata di maggio piovosa e buia, mentre fuori piove finisco di rileggere l'autobiografia di Janet Frame, ne copio dei passi relativi al periodo in cui andò a vivere in campagna nel Suffolk.
"Adesso pensavo di vivere la vera vita di una scrittrice, i miei due libri di racconti erano stati pubblicati e Giardini profumati per i ciechi lo sarebbe stato a breve; inoltre nel periodo trascorso a Grove Hill Road avevo avvertito un impercettibile spostamento della mia vita verso un mondo letterario in cui disponevo davanti a me tutto ciò che vedevo e sentivo, la gente che incontravo sull’autobus, per strada, nelle stazioni ferroviarie, e nel posto dove abitavo, mentre io sceglievo, fra i tesori sparsi, frammenti e momenti che si combinassero per formare il disegno di un romanzo, di una poesia o di un racconto. Niente era inutile. Avevo imparato a essere una cittadina della Città degli Specchi. L’unico motivo per continuare questa autobiografia è che, per quanto abbia usato, inventato, mescolato, rimodellato, cambiato, aggiunto, sottratto da tutte le mie esperienze, non ho mai scritto direttamente della mia vita e dei miei sentimenti. Senza dubbio mi sono mescolata ad altri personaggi che sono a loro volta il prodotto del noto e dell’ignoto, del reale e dell’immaginario; ho creato “esseri”, ma non ho mai scritto del mio essere. Perché? Perché se compio il pericoloso viaggio verso la Città degli Specchi dove tutto quello che ho conosciuto, visto o sognato è immerso nella luce di un altro mondo, a che serve tornare solo con uno specchio pieno di me? O, in verità, di altri che esistono benissimo nella comune luce del giorno? Il sé deve essere il contenitore dei tesori della Città degli Specchi, l’Inviato, per così dire, e quando viene il momento di catalogare quei tesori per dare loro una forma di parole, deve essere il sé a lavorare, a portare il peso, a scegliere, a sistemare e lucidare. E quando il lavoro è concluso e ci si deve rassegnare al non essere, il sé può prendersi una vacanza, anche soltanto per reintrecciare il paniere usato, in attesa della prossima visita alla Città degli Specchi. Sono questi i processi della narrativa. “Mettere giù tutto così come accade” non è narrativa: deve esserci il viaggio, fatto da soli, il cambiamento della luce concentrata sul materiale, la disponibilità dello stesso autore a vivere in quella luce, in quella città di riflessi governata da leggi, materiali e moneta diversi. Scrivere un romanzo non è soltanto andare a fare acquisti oltre frontiera in una terra irreale: sono ore e anni passati nelle fabbriche, nelle strade, nelle cattedrali dell’immaginazione per apprendere il funzionamento speciale della Città degli Specchi, i suoi cieli e il suo spazio, il suo sistema planetario, senza fermarsi a pensare che ci si potrebbe ritrovare senza casa al mondo, falliti, abbandonati dall’Inviato".
Janet Frame
Un angelo alla mia tavola
traduzione di Lidia Conetti Zazo
Neri Pozza Editore 2010
(Quando l’autunno è passato e le foglie sono cadute dagli alberi e solo gli scuri sempreverdi conservano la loro chioma che è al tempo stesso riparo e ostacolo al passaggio della luce, ci accorgiamo di non essere mai stati soli nella foresta. Emergono le forme delle case, la gente che vive la propria vita quotidiana; c’è una nuova prospettiva delle distanze, la scoperta di orizzonti che non si sarebbero mai potuti scorgere in primavera e in estate, ma solo immaginare durante l’autunno. Guarda quegli alti camini che si alzano da fuochi che non sapevamo fossero mai stati accesi, eppure ardono, alimentati in segreto! Guarda i sentieri appena rivelati! Adesso, guardando più chiaramente attraverso questo e quell’altro mondo e le sue stagioni, vengo anch’io guardata più chiaramente. L’ambiente che mi circonda ha perso il suo travestimento; io stessa ho perso il mio. C’è persino la possibilità di nidi, nuovi o abbandonati, sul mio albero!)
Janet Frame
Un angelo alla mia tavola
traduzione di Lidia Conetti Zazo
Neri Pozza Editore 2010