Visualizzazione post con etichetta inconscio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta inconscio. Mostra tutti i post

venerdì 22 gennaio 2016

Cercare l'iconografia interiore adatta alla propria vita

Il Libro rosso racconta come Jung è diventato Jung. Ciò che più ha toccato i lettori è stato il senso di assertività che comunica, incoraggiando ciascuno ad affrontare la propria esperienza, a scorgere il valore di questa impresa, a comprendere che per quanto folli possano essere sogni e fantasie rientrano comunque nel registro umano e c'è qualcun altro che ne ha avute di simili e si è preso la briga e ha avuto la pazienza di cercare di capirle. Ha dato ai lettori la sensazione di non essere soli. Quindi, a mio parere, il suo successo non riguarda né la psicologia di Jung né una sua particolare cosmologia. Il senso è che vale la pena appoggiarsi alla propria esperienza per spingersi più avanti in una qualsiasi iconografia interiore adatta alla propria vita.

frammento dell'intervista di Silvia Ronchey a Sonu Shamdasani
Repubblica 16 novembre 2015

C.G. Jung
Il Libro Rosso
Liber Novus
a cura di Sonu Shamdasani
traduzione di Anna Maria Massimello, Giulio Schiavoni e Giovanni Sorge
Bollati Boringhieri 2010


giovedì 24 settembre 2015

Per scrivere bisogna immergersi in uno stato di non-consapevolezza

E fu così che mi misi a scrivere romanzi: perché è ben strano ma la gente è
disposta a darti un’automobile se in cambio gli racconti una storia. E, cosa ancora più strana, non c’è niente di più piacevole al mondo che raccontare delle storie. È molto più divertente che recensire romanzi famosi. Eppure, se voglio ubbidire all'invito della vostra segretaria e parlarvi delle mie esperienze professionali come scrittrice di romanzi, devo raccontarvi la stranissima
esperienza che mi capitò in quanto scrittrice di romanzi. E per capirla dovete prima cercare di immaginarvi lo stato d’animo di un romanziere. Spero di non tradire alcun segreto professionale se vi dico che il più grande desiderio di un romanziere è di rimanere il più possibile in uno stato di non-consapevolezza. Il romanziere deve indursi uno stato di perpetuo letargo. Ha bisogno che la
vita proceda con la massima tranquillità e regolarità. Ha bisogno di vedere sempre le stesse facce, di leggere sempre gli stessi libri, di fare sempre le stesse cose giorno dopo giorno, mese dopo mese, mentre scrive, in modo che nulla spezzi l’illusione in cui vive: in modo che nulla turbi o interrompa le misteriose esplorazioni e perlustrazioni, i guizzi, gli scatti e le improvvise scoperte di quello spirito così timido ed elusivo che è l’immaginazione creativa. Credo che questo stato mentale sia uguale per gli uomini come per le donne. Comunque sia, vorrei che vi immaginaste una ragazza seduta con in mano una penna che per minuti, per ore anzi, non viene intinta nel calamaio.
L’immagine che mi viene in mente quando penso a questa ragazza è l’immagine di un pescatore che giace immerso nei sogni sulla riva di un lago profondo con la lenza protesa sull'acqua. La ragazza dunque lasciava scorrere incontrollata l’immaginazione dietro ogni roccia, dentro ogni fessura del mondo che giace sommerso nelle profondità del nostro essere inconscio. Ed ecco l’esperienza, l’esperienza che credo sia molto più comune tra le donne che scrivono che non tra gli uomini. La lenza le scorreva veloce tra le dita. L’immaginazione aveva preso slancio. Aveva toccato le pozze, le profondità, i luoghi oscuri dove stanno assopiti i pesci più grossi. A quel punto ci fu uno sconquasso. Ci fu un’esplosione. Schiuma e confusione ovunque. L’immaginazione era andata a
cozzare contro qualcosa di duro. La ragazza fu strappata al suo sogno. Era anzi precipitata in uno stato di angoscia acuta e dolorosa. Fuori di metafora, aveva pensato a qualcosa, qualcosa che riguardava il corpo, che riguardava le passioni, che era sconveniente per lei, come donna, esprimere.


Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941

a cura di Liliana Rampello
Il Saggiatore 2011


martedì 26 maggio 2015

Scrivere è scavare il mio pozzo di petrolio per estrarne tutto il contenuto

Una cosa, considerando il mio stato d'animo di ora, mi sembra incontestabile ed è che finalmente, scavando, sono arrivata a perforare il mio pozzo di petrolio  e non scriverò mai abbastanza in fretta, tanto da estrarne tutto il contenuto. Ho almeno sei racconti che premono per uscire e ho la sensazione, finalmente, di poter tradurre in parole tutti i miei pensieri. Restano nondimeno una quantità infinita di problemi; ma non ho mai sentito prima questa urgenza, questa frenesia. Credo di poter scrivere molto più in fretta: se è scrivere - questo improvviso balzo verso un pezzo di carta per annotare una frase, per battere e e ribattere a macchina - sperimentando, perché lo scrivere vero e proprio ora è come una larga pennellata, che perfeziono più tardi. 
E se diventassi un romanziere interessante - non dico grande - ma interessante? Stranamente, nonostante tutta la mia vanità, finora non ho avuto molta fiducia nei miei romanzi, né ho pensato che esprimessero me stessa.

Lunedì 20 aprile 1925

Virginia Woolf
Diari. 1925-1930
a cura di Bianca Tarozzi
BUR 2012


mercoledì 2 luglio 2014

Scrivere è nascondersi, smarrirsi fuori dal tempo

L'inconscio è fondamentale nella scrittura?
"Ne sono convinto".

È una relazione rischiosa?
"Scrivere è anche nascondersi. Julien Gracq ha detto che dentro a un libro che leggiamo ci sono le tracce di più testi fantasmi che sono stati rifiutati o scartati. Un buon critico si mette alla ricerca di quei fantasmi".

Viene in mente Flaubert.
"È un punto di svolta interessante per il nostro discorso. Penso allo straordinario controcanto alla sua opera che è l'Epistolario, in cui butta fuori tutto quello che viceversa nei romanzi trattiene. Lui paga qualsiasi parola scriva".

Nel senso?
"Deve costruire virgola per virgola il suo edificio letterario. Una fatica e una sofferenza terribile. È una figura cruciale della modernità. Un altro autore dell'800 che amo moltissimo è Balzac. Ma è uno scrittore diverso, meno problematico".

Più di superficie?
"Non proprio. C'è tutta una zona oscura che lievita nei suoi romanzi. Fa da sottofondo".

Cosa l'affascina del sottofondo?
"L'oscurità può diventare una risorsa narrativa. Non è un caso che mi sia laureato su Dino Campana. La sua follia mi incuriosiva. Impiegai alcuni strumenti analitici derivati, però, più da Jung che da Freud".

Una preferenza che giustificherebbe come?
"La psicoanalisi di Freud applicata alla letteratura mi risulta meccanica e prevedibile. Jung opera una discesa agli inferi. Provò a spiegare anche Joyce, che pure non amava la psicoanalisi".


(...)
Gli anni di Parma?
"Più esattamente gli anni in cui, durante la guerra, sfollammo nella campagna del parmense. Ricordo certe sere in cui un vecchio si fermava da noi, chiedendo alla mamma un piatto di minestra. In cambio adunava in una stalla noi bambini e quelli delle case coloniche vicine e raccontava delle storie meravigliose. Fu un'esperienza straordinaria che mi fece capire che la lettura anche quando è un fatto individuale, riflette un mondo di legami collettivi".

È il meccanismo dell'ascolto della fiaba.
"Quasi tutto parte da lì. È vero. Walter Benjamin disse che quando il narratore raccoglie attorno al fuoco un po' di gente produce una specie di miracolo. Ognuno di coloro che ascolta diventa lui stesso narratore. Si crea una catena emotiva fortissima".


Mi pare difficile che oggi si legga ancora in quel modo.
"Si pensi al Processo: un uomo passa quasi l'intera vita davanti a una porta, si sente dire che non può varcarla e poi scopre che quella è la sua porta. Nel racconto Nella colonia penale la scrittura stessa è una forma di tortura che pian piano incide sulla schiena del condannato la sentenza. Cosa c'è di più crudele?".

E Proust?
"È sufficiente seguire il destino dei personaggi della Recherche, vedere come sono spiati dal narratore, che non concede loro né tregua né clemenza, per capire che Proust ha bisogno di quel sentimento per raccontare che un certo mondo, il suo, era finito".


(...)
l mestiere del critico sta morendo?
"C'è sempre una certa enfasi quando si tirano fuori i certificati di morte. Anche del romanzo si diceva che fosse defunto".

E invece?
"È ancora qui".

Però nel Novecento accade qualcosa di decisivo.
"Saltano i tempi narrativi. L'ultimo romanzo in cui ancora il calendario funziona perfettamente è I Buddenbrook di Thomas Mann. Anche un romanzo complesso come I fratelli Karamazov, fatto di piani narrativi molteplici e complicati, è una specie di orologio perfettamente regolato. Se invece si va alla Recherche di Proust si nota che i tempi epici non sono più misurabili con strumenti oggettivi".

Non corrispondono alla vita biologica dei personaggi?
"Proust se ne disinteressa".

Perché il tempo narrativo deflagra?
"È difficile da spiegare. Certamente all'inizio del Novecento accade qualcosa nei vari ambiti: dall'arte figurativa, alla poesia alla musica, alla letteratura e naturalmente nella scienza, basti pensare alle rivoluzioni di Einstein".

E alla psicoanalisi.
"Ovviamente. Non c'è più un tempo oggettivo misurabile".

Tranne che in economia.
"Il tempo lì diventa ferreo. La letteratura e l'arte in genere si sottraggono a questa tirannia".

Meglio smarriti ma liberi?
"In un certo senso. Anche se lo "smarrimento" non è una condizione che viene scelta ma subita".

I quattro grandi dinamitardi della letteratura del Novecento sono considerati Proust, Musil, Kafka e Joyce. La convince?
"Direi di sì. Ci sono altri grandissimi come Faulkner per esempio, o Bulgakov. Ma la statura non è lo stessa di quelli che ha citato".

E tra questi lei predilige Proust.
"Non è un segreto. Ho scritto tantissimo su di lui. Ma ho anche letto moltissimo Kafka, che amo enormemente".

Proust e Kafka sono due mondi opposti.
"Senza dubbio. E tuttavia sia l'occhio dell'uno che dell'altro sono precisi e crudeli".

Crudeli?
"Quel modo di raccontare si chiude con la morte di Tolstoj. Per quanto raffinato, straordinario e in perfetta solitudine, Tolstoj è l'ultimo narratore della tribù. Poi tutto cambia. Il romanzo muta pelle. Va in mille pezzi".


frammenti della conversazione di Antonio Gnoli con Mario Lavagetto
Repubblica 16 marzo 2014

venerdì 7 settembre 2012

L'inconscio è eterna creatività di forme

L'inconscio è eterna creatività di forme.

Friedrich Nietzsche

La verità dell'esistenza

Nell'inconscio è custodita la verità dell'esistenza, nell'io e nella sua progettualità, l'illusione concessa all'individuo per vivere.

Umberto Galimberti

L'uomo è innanzitutto un ente che crede

L'uomo è innanzitutto un ente che crede.

Mary Douglas
antropologa