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sabato 18 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/832. Il mondo esiste, e non ha bisogno di me

 



Continua la pigra deriva estiva e io leggo poesia, scrivo e fantastico sdraiata in spiaggia. Il resto del tempo lo trascorro a nuotare, a chiacchierare con i vicini di ombrellone e passeggiare in pineta L’estate è ormai arrivata, mi sono così allontanata dalla vita cittadina e respirare salsedine e resina mi ritempra e mi riempie di gioia. In questa vita beata continuo a leggere Alfonso Brezmes Quando non ci sono e le sue parole sono un balsamo.

 

 

 

Microcosmo

 

Sto seduto qui.

Mormora un fiume

che non raggiunge lo sguardo.

Presto farà notte

e verranno gli animali

con i loro occhi come ferite,

soffierà il vento,

cadrà qualche stella,

e il mondo avrà compiuto

un altro giro perfetto

su se stesso.

Sto seduto qui.

Tutto è così semplice.

Il mondo esiste,

e non ha bisogno di me.

 

 

 

Oggi è sabato 18 giugno del terzo anno senza Carnevale e la città mai più silenziosa mi stava aspettando. Sono così contenta di essere qui com’ero contenta di essere al mare ancora stamattina e questa Cronaca 832, in realtà, sta ancora sguazzando tra le onde.

venerdì 17 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/831. Attraversare volando le frontiere incerte della poesia

 

 


 

Quando scopro un poeta per me nuovo e sconosciuto è sempre una festa. Ho iniziato a leggere durante questa pigra vacanza marina Alfonso Brezmes Quando non ci sono tradotto da Mirta Amanda Barbonetti per Einaudi. Sento molto la sua poesia e questo mi fa vibrare e mi mette allegria.

 

Ecco qualche piccolo assaggio della sue poesia che sto centellinando.

 

 

Vite parallele

 

Tu sulla linea 3,

che leggi Plutarco;

io sulla linea 5,

che faccio l’amore con te,

mentre fingo

di scrivere questa poesia.

 

Finzioni

 

 

Dimmi che questo è solo un sogno

o tutt’al più un altro racconto di Borges,

che i sentieri che percorre l’amore

sono labirinti che si biforcano

e si perdono, si biforcano

e si perdono, e che il tuo ricordo

è solo un uccello che attraversa

volando

le frontiere incerte della poesia.

Un universo in più

tra i mille universi possibili.

Un’ultima

e dolce

e superba

metafora dell’oblio.

 

 

Perduti

 

To celebrate this night we found each other,

let’s get lost, oh, let’s get lost…

Chet Baker

 

Rimani qui,

dove tutto è possibile.

Non aver paura,

anche se tutto è buio.

La realtà è qui.

Perché ci sarà sempre qualcuno

che tornerà ad aprire questo libro

e arriverà a questa pagina,

e nel pronunciare i nostri nomi

ci ritroverà.

 

 

Oggi è venerdì 17 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 831 ascolta Chet Baker e canticchia a mezza voce.

giovedì 16 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/830. Era qualcuno che aveva conosciuto in albergo o che aveva già incontrato?


 


 

Oggi lettori e scrittori festeggiano una giornata speciale il Bloomsday, nato per ricordare la giornata del 16 giugno 1904, unico giorno del romanzo Ulisse di James Joyce.

Mi casca quindi a fagiolo il libro di Federico Pace che mi è molto piaciuto. Ecco l’incipit del capitolo dedicato all’incontra tra i duo giovani James e Nora.

 

“Quando la gemma esce dalla dormienza

 

Dublino conservava, in un’unica dimensione, la solitudine di molti. Aveva tenuto a lungo le persone ostinatamente separate nelle minute stanze delle proprie abitazioni, poi aveva cominciato a divertirsi, permettendo a quelle stesse persone di tuffarsi nel fervente andirivieni di chi si affretta ad attraversare gli incroci. Faceva sì che percepissero una libertà nuova, ma non sembrava voler concedere loro, fino in fondo, la possibilità di riscattarsi davvero. La città quasi traeva un piacere crudele a farle avvicinare, sfiorare, a permettere che si scambiassero uno sguardo, per poi separarle di nuovo. Per lo più, in quei giorni, la città metteva in scena un rimescolare apparente che in realtà lasciava, al termine di ogni giorno, le cose immutate. Così come erano state fino ad allora. Eppure le aspettative continuavano a covare seguendo strade che nessuno prevedeva. Eppure l’inestinguibile forza di un desiderio permaneva anche a cospetto del volto scaltro del disincanto. Era il 10 giugno del 1904 e Nora Barnacle era alle prese con il progredire dei compiti che scandivano l’orario del lavoro in albergo. Le stanze da rimettere in ordine, i letti sfatti, le lenzuola pulite con il loro profumo. I saluti nei corridoi dei clienti che nel giro di pochi minuti sarebbero partiti. Più tardi i piatti da servire ai tavoli. I boccali di birra. Era una bella giornata e neppure i rimproveri per qualche piccola imprecisione e le raccomandazioni su tutto quello che andava ancora terminato avevano diminuito la vitalità sotterranea che aveva cominciato a provare. Neppure la fine del turno di lavoro l’aveva trovata sfinita. Anzi, proprio in quel momento in cui i compiti dell’impiego e del dovere erano terminati, quando la pianura del tempo si era fatta più distesa, proprio allora, la febbre di vita era cresciuta, alimentata dalla leggerezza irripetibile dell’aria di quel mese. Con lo sguardo andava alle insegne dei negozi: JOHN MORTON, HARRIS, RACINE, YEATS & SON. Le lettere in oro che componevano i nomi e i cognomi dei proprietari di quelle aziende splendevano più che negli altri giorni sopra lo sfondo nero e lucido. Prorompeva, da dietro e dal centro della strada, lo sferragliare del tram a contatto con l’acciaio delle rotaie. Annunciava l’arrivo di inaspettate novità. Qualcosa di imperscrutabile le faceva sorgere un sorriso sulle labbra. A cosa pensava? Forse, con precisione, non lo sapeva neppure lei. Non c’era niente di definito a prendere forma nella mente, era più uno stato d’animo. Un modo di guardare alle cose che, inspiegabilmente, dopo tanti giorni, aveva mutato direzione. Quasi come una gemma che rompe la dormienza sullo stelo. Un principio di fioritura. Le piaceva camminare per le strade. Guardare le donne con le velette che nascondevano solo in parte il volto, gli uomini con i loro abiti scuri, i colletti inamidati delle camicie, le mani in tasca, fermi agli angoli. Le carrozze, i cavalli. Le piaceva confondersi tra la folla. Entrare in quel flusso di persone le offriva la possibilità, o almeno l’illusione, di far parte di un destino più ampio. Poi, tra la gente, aveva visto quel giovane. Sembrava stesse guardando proprio lei. Nella polifonica moltitudine di persone che vociavano su Nassau Street, sembrava che lui avesse messo a fuoco il volto di lei. Era qualcuno che aveva conosciuto in albergo o che aveva già incontrato?”.

 

Dalla mia pigrizia marina saluto questo 16 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 830 che passeggia da sola per le vie di Dublino.

mercoledì 15 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/829. Si sentiva il respiro, l’andirivieni eterno e interrogativo delle onde

 


 

Continuo la mia vita marina, dove immergermi nel mare è sempre la gioia più grande. Forse ancora più grande dell’immergermi in un libro che mi piace molto. La processione è il titolo del capitolo dedicato a Simone Weil:

 

Dopo la fatica, il disincanto e la paura. Dopo il dolore e la ferita. Solo dopo tutto questo può arrivare all’improvviso il sollievo. Non è la luce del mattino, non è il vento che soffia sulle coste esposte del mare, non è il tempo del riposo. Non è il tuffo con cui riusciamo a gettarci da una roccia di un’ansa nascosta, non è il bacio di chi ci ha aspettato ancora, non è la corsa delle nuvole lontane che finiscono per dissolversi nella loro fuga verso il precipizio dell’orizzonte. Non è la pioggia che arriva nel pomeriggio, non è la luce della sera. Le barche erano tutte a riva, simili a grandi baccelli di un frutto sconosciuto deposto da chissà quale dio. L’arco dell’insenatura terminava proprio laggiù, sulla punta estrema, dove il faro con la sua luce

intermittente segnava i battiti della notte. Gli uomini si sono sempre adoperati per tenersi in contatto e dialogare. Per soccorrersi e aiutarsi. Anche quando sono stati costretti a rimanere lontani. Gli uomini hanno sempre trovato il modo di scambiare almeno un segnale con chi cerca un approdo, tra chi è andato al largo a pescare e chi, da terra, può soltanto dire: Guarda sono qui, devi rientrare da questa parte. La piccola comunità era tutta sul ciglio della spiaggia. Sospinta in quella striscia di terra, incerta fra l’attrazione esercitata dal mare maestoso e l’apparente protezione delle case edificate con pazienza sulla terra. Una comunità raccolta e ammutolita. Si sentiva il respiro, l’andirivieni eterno e interrogativo delle onde.

 

Oggi ho salutato anche Giorgia ed Enrico che sono ritornati a casa e mi muovo in questo piccolo mondo che ha le sue regole e i suoi rituali che mi si confanno, perché avevo davvero bisogno di staccare dalla vita cittadina, anche se è vero che non lasciamo mai davvero noi stessi da un’altra parte. La parte di me che sta sempre con me è soprattutto la lettrice, non riesco proprio a immaginarmi senza almeno un libro con me, e non c’è ebook che tenga, i libri veri sono quelli di carta. Così mi avvio verso la fine del libro di Federico Pace, mentre questa Cronaca 829, come al solito, non vuole uscire dall’acqua.

Oggi è mercoledì 15 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

martedì 14 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/828. La luce del sole che alle prime ore del mattino balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane

 

Continua la lettura spiaggiata del libro La più bella estate e anziché iniziare con le mie impressioni, inizio con un brano di Amoz Oz tratto da Lo stesso mare che Federico Pace ha messo in esergo:

 

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

 

Un battito d’ali è il capitolo dedicato a Vladimir Nabokov e inizia così:

 

C’è un tempo della vita, e una stagione dell’anno, in cui tutti gli abbozzi della nostra esistenza sembra che vogliano, e possano, realizzarsi. In quel periodo, in quella stagione effimera, riusciamo a intravedere i vascelli delle nostre infinite esistenze possibili mentre se ne stanno schierati nel blu dell’orizzonte estivo. Al chiuso della nostra stanza, vediamo le prue di quelle imbarcazioni pronte a salpare, quando, ancora sdraiati nel letto, intuiamo la luce del sole che, alle prime ore del mattino, balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane. Con addosso il leggero velo del sonno, ne immaginiamo le traiettorie, le infinite avventure. Rimaniamo a guardare, con gli occhi dell’immaginazione, tutte le peripezie che si andranno compiendo. Le terre in cui giungeremo, le persone che avremo l’opportunità di avvicinare e che ci toccheranno nel profondo. Le cose sconosciute che avremo tra le mani. E di quelle prospettive, prima di scendere le scale della casa in cui ci troviamo in quel tempo della nostra

vita, sembriamo nutrirci e abbeverarci come di un alimento e un nettare prelibato. Non sappiamo ancora, e non possiamo nemmeno intuire, che ne sarà di quei vascelli schierati laggiù dove la terra si congiunge con il cielo. All’alba di un mattino di luglio del 1910, Vladimir Nabokov, non appena intravide attraverso le fenditure delle persiane un luminoso e vivace raggio di luce, invece di andare dove tutti lo aspettavano per la colazione, eccitato dal pensiero di ciò che lo aspettava fuori di casa, lontano dalla routine dell’abitazione familiare, scavalcò la finestra della sua stanza e sparì.

Leggo in spiaggia, faccio lungo passeggiate su e giù per il paesello che mi ospita, respiro il profumo della pineta, nuoto moltissimo, chiacchiero con i vicini di ombrellone e poi ho pranzato con le amiche e gli amici in partenza in un posticino delizioso, che si chiama Angolo 74,  che ci ha servito pesce freschissimo e c’era il vento e c’era il sole e l’estate era già iniziata.

 

Oggi è martedì 14 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e con questa Cronaca 828 vivo nella mia bolla di mondo e riesco a essere gioiosa, non mi stancherei mai del mare, non mi stanco mai del mare.

lunedì 13 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/827. La più bella estate è quella che sta arrivando

 

 


 

Viaggio sempre con almeno tre libri e per questa breve vacanza abruzzese, uno dei tre è La più bella estate. Storie di una stagione in cui tutto è possibile (Einaudi 2022) di Federico Pace che già mi piaceva per i suoi libri precedenti e con questo si conferma come un cantastorie di pregio. Lui ha questa capacità di infilarsi nelle pieghe della Storia, delle vite di personaggi eminenti e di tirare fuori sempre qualcosa di importante, di unico, un’epifania che illumina quella vita e quella persona e ce la presente nella sua umanità e ricchezza e paura e gioia.

Questo è l’incipit del libro che mi ha tenuto compagnia in spiaggia almeno per oggi:

 

La persistenza del desiderio

Dalla finestra si vedono le chiome degli alti pini, poi alcuni scogli e infine il mare. Sono i primi giorni d’estate. Dagli inneschi luminosi fino al dissolversi autunnale, il tempo della sua evoluzione si ripete ogni anno. Nel suo svolgersi pare accadere ogni cosa. Le stelle cadenti, il volo fragile delle farfalle, l’apparire ad altezze mesosferiche delle nubi nottilucenti, l’ostinata fioritura delle gemme. Seppure conosciamo le spiegazioni scientifiche dei fenomeni a cui assistiamo, quando ne facciamo l’esperienza diretta, quelle indicazioni non sembrano esaurirne il significato, piuttosto ne aumentano il mistero. Sempre rimane qualcosa di inaccessibile. Nonostante il rumore assordante e la sua veste consumata di rito collettivo, l’estate è sempre qualcosa di vivo e personale. Di intimo e struggente. Al suo approssimarsi, si sente, prima in maniera incomprensibile, e poi più urgente e chiara, la spinta del ricordo e della promessa. Ciò che è stato e ciò che sarà. Si sente di nuovo il bisogno di mettere in moto qualcosa che ci riguarda davvero. Riaprire il discorso che a un certo punto, senza esserne consapevoli, avevamo lasciato interrotto. Un tuffo in acqua, lo sfiorarsi delle labbra, le notti che si dissolvono nel giorno senza alcuna cesura. Ciò che accade d’estate è caratterizzato da una singolare unicità e il ricordo ci insegue con un’insistenza abbacinante.

 

Con questa Cronaca 827 avida di storie, prendo commiato da questo lunedì 13 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

domenica 12 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/826. La prevalenza del bianco tra mille colori

 


 

Oggi è stata una giornata davvero speciale ed emozionante, iniziata con il matrimonio di Giorgia ed Enrico e terminata con una lunga passeggiata a piedi nudi sulla battigia a parlare di romanzi e scrittori. La sposa era bellissima e lo sposo pure, splendevano nella magnifica giornata estiva in un luogo incantato, circondati dalla bellezza del paesaggio abruzzese, colline, colline e il mare sullo sfondo. Kristine ha officiato la cerimonia e quando gli sposi hanno letto le promesse, confesso che anche il mio cuore di pietra si è smosso e mi sono commossa, come non mi succedeva al matrimonio di mio fratello e come non mi succede di solito ai matrimoni. Alla cerimonia è seguito un pranzo nuziale perfetto, con ogni ben di dio di cibo e bevande e tra mille chiacchiere, giochi, divertimenti. E così è passata questa giornata magnifica, terminata con la performance di Luca, una dei testimoni della sposa, che ha scritto e recitato due poesie erotiche scritte per l’occasione. L’unico momento di solitudine che mi sono concessa in questa giornata di riti collettivi, è stata a bordo piscina, quando mi sono messa a contemplare il paesaggio intorno e il cielo contornato dalle palme che lo inquadravano, verde su azzurro intenso, scintillii dell’acqua battuta dai raggi del sole che raggiungevano comunque il mio sguardo, le chiacchiere degli invitati che arrivavano come un’eco lontana. Ogni tanto mi fermavo a guardare i bei vestiti delle signore dai colori che coprivano davvero tutta la gamma dell’arcobaleno, lavanda, rosso, rosa, fucsia, bianco, avorio, blu, arancione, blu china, verde, verde chiarissimo, oro, giallo, azzurro, avorio sfumato di rosa e ancora lavanda. E la sposa in bianco che è il classico colore da matrimonio in un abito incantevole con lo strascico e un enorme bouquet di rose bianche. È proprio vero, più si invecchia più si apprezzano i riti e le consuetudini della tradizione, almeno così è per me.

Oggi è domenica 12 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 826 ha gli occhi colmi di bellezza e il pancino satollo di torta nuziale, una squisita millefoglie con la crema pasticcera e le gocce di cioccolato.

sabato 11 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/825. Una lingua millenaria che solo gli alberi conoscono

 


 

I viaggi lenti sono i miei preferiti, i viaggi in treno soprattutto, perché posso guardare il mutare del paesaggio, fantasticare, dormire, leggere e contare le stazioni che mancano all’arrivo. È stato un viaggio lento quello odierno in compagnia di Elisabetta e Roberta e la meta era una regione remota dell’Italia centrale a me sconosciuta, gli Abruzzi che al plurale mi piace di più. Siamo partite all’inizio del pomeriggio e arrivate in tarda serata. Poi abbiamo depositato i bagagli in albergo e raggiunto le amiche e gli amici per bere qualcosa. Il profumo del mare si mescolava con quello della pineta che separa il lungomare dalla strada principale che attraversa il paese. Gli invitati del Nord erano arrivati tutti, c’era un’allegria diffusa e quando i quasi sposi sono arrivati, abbiamo notato subito che lei sprizzava gioia come una ragazzina. Abbiamo tirato tardi ridendo e scherzando e poi siamo tornati in albergo. Dal balconcino della mia camera vedo le colline illuminate, l’aria è sempre profumata e il paesaggio mi ricorda quello calabrese della mia infanzia. Si sta bene sul balconcino, così prendo uno dei quattro libri che mi accompagnano in questo viaggio e leggo una poesia, quella sulla copertina della raccolta Quando non ci sono:

 

Vogliamo imparare in due giorni

una lingua millenaria

che solo gli alberi conoscono:

lasciarsi cullare dall’aria,

mentre le foglie dicono me ne vado

e le radici resto qui.

 

 

Una giornata lunga e bella questo sabato 11 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa breve Cronaca 825 si accontenta di tutta la bellezza che abbiamo condiviso.

venerdì 10 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/824. Appunti per un romanzo. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla

 



 

“Mi piace! Un personaggio che è troppo nevrotico per funzionare nella vita ma che funziona solo nell’arte. Appunti per un romanzo. Inizio possibile. Rifkin conduceva una frammentaria, disarticolata, esistenza. Era arrivato da tempo a questa conclusione: tutti conosciamo la stessa verità. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla. Soltanto la sua prosa era serena, quella prosa che in più di un’occasione gli aveva salvato la vita”.

 


Sto rivedendo a caso i film di Woody Allen, uno dei mie registi preferiti. È amaro, filosofico, ironico, antipatico, divertente e commovente. Per ora ho rivisto Match Point e Harry a pezzi, la citazione di apertura è la sua scena finale. Allen conosce molto bene le nevrosi dell’artista e la letteratura e gli scrittori sono parte fondamentale del suo bagaglio. Forse anche per questo mi piacciono così tanto i suoi film. I mie preferiti Hannah e le sue sorelle, Manhattan e Un’altra donna, me li terrò per ultimi come faccio sempre. In queste giornate luminose e ormai estive, sto continuando a leggere i diari di Virginia Woolf, Federico Pace, Borges e Laura Boella, di cui poi scriverò. Stasera sono poi andata a mangiare una pizza con Alex, Monica, Franco e Manuela, una coppia di vecchi amici con cui per anni abbiamo trascorsi dei bellissimi giorni di Ferragosto. Mancava un quarto d’ora alle 22 e la luce era ancora alta, le rondini sfrecciavano nel cielo e sentivo l’estate scorrermi nelle vene. Così chiudo questa Cronaca 824 di venerdì 10 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra con le citazioni che Pace ha messo in esergo al suo libro La più bella estate:

 

Shall I compare thee to a summer’s day?

William Shakespeare

 

I say Live, Live because of the sun,

the dream, the excitable gift.

Anne Sexton

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

Amos Oz

 

 

 

William Shakespeare, I sonetti, a cura di Lucia Folena, Einaudi, Torino 2021; Anne Sexton, Complete Poems, Ecco Press, New York 1999; Amos Oz, Lo stesso mare, Feltrinelli, Milano 2000.

giovedì 9 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/823. La parola semplice, della stessa materia della luce

 


  

Oggi giornata di lavoro durissimo, intenso e divertente e poi a fine pomeriggio incontro alla Libreria delle Donne per programmare gli incontri futuri. Ci sono tanti libri interessanti, documentari e persone da incontrare e scoprire. Però oggi è anche uscito un prezioso libro Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace ricco di riflessioni e poesie dedicate a questo tema imprescindibile per educarci a vivere in un mondo senza conflitti. Che è un intento utopistico, lo so bene, ma senza l’orizzonte dell’utopia, come scriveva Eduardo Galeano, è difficile continuare a camminare. Nel libro c’è anche la mia poesia Trittico degli alberi e della pace che ho già postato nelle Cronache, così scelgo la poesia di Lorenzo Gobbi:

 

 

La gioia è un turbine di quiete

 

Ho imparato, Layla, quanto

è giusto stendere la mano

al disperdersi dei passeri

per fame – senza foga di nutrire,

di salvare. Impazzirei se non sognassi

un dio che è pane.

Penso che sia stata pronunciata

la parola semplice, la sola

che ci ascolti intimamente

senza dire, della stessa materia

della luce.

Purifica il dolore... a me

non sembra: direi che c’è un bisogno

indiscutibile di gioia

com’è forse nella vita oscura

dei diamanti – gioia pura,

grazia illimitata perché a volte

l’opera si compia.

È bene liberare, Layla,

assolvere nel gesto e nella voce,

aspergere col sangue se bisogna –

il proprio, il solo. Se no, perché

parlare?

Quando si spezza la canna incrinata

e il lume che vacilla cede

tutto alla durezza della notte,

senti a poco a poco come

un fremito nel buio e nella terra:

un saluto che si colma, un abbraccio

caldo che ridona vita appena può.

 

 

Con un canto di speranza si chiude questo giovedì 9 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 823, semplice, pura, luminosa.

mercoledì 8 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/822. Nel vago confine immaginario dello specchio vive la luce

 

 


 

Ho scoperto da poco un pittore che non conoscevo, così sono andata a Palazzo Reale a vedere Joaquin Sorolla. Pittore di luce con i cari amici Grazia e Danilo. Sorolla è stato un pittore famosissimo in vita, che è stata piuttosto breve, ha ottenuto riconoscimenti e venduto moltissimi quadri, un destino d’artista opposto a quello di Van Gogh in definitiva. La mostra non è molto grande ma vale la pena vederla perché davvero i suoi quadri sprigionano luce.

Credo lo si possa definire un pittore post-impressionista e, come mi faceva notare Danilo, grande appassionato ed esperto d’arte, mentre lui continuava a procedere in una tradizione, Picasso dipingeva Les damoiselles d’Avignon, ma a ciascuno il proprio destino e la propria maestria. Dopo la mostra sono andata con il nipotine Marco a cena dall’amico regista Luciano, gran bella serata anche questa. C’era anche la sua amica Nicola Eugenia, e abbiamo ben mangiato e bevuto e parlato moltissimo di cinema, politica, letteratura e vacanze. Luciano ha un carattere magnifico è curioso di tutto e si muove nella vita con la stessa vitalità di un ragazzo. Chissà se invecchiare bene è questione di geni, carattere o fortuna o di tutte le cose messe insieme. Comunque ho continuato a leggere Borges nei vari viaggi in metro, per cui anche oggi ecco una sua poesia tratta da Storia della notte:

 

 

Lo specchio

 

Da bambino, temevo che lo specchio

mostrasse un volto altrui o una cieca

maschera impersonale che celasse

oscure atrocità. Temevo inoltre

che il silenzioso tempo dello specchio

deragliasse dal corso quotidiano

delle ore dell’uomo e che ospitasse

nel suo vago confine immaginario

forme e colori nuovi, esseri ignoti.

(Non lo dissi a nessuno; il bimbo è timido).

Oggi, io temo che lo specchio colga

il volto autentico della mia anima,

segnata dalle ombre e dalle colpe,

quello che vede Dio. E forse gli uomini.

 

 


Ora è tardissimo, il calendario sta per girare pagina, sono gli ultimi minuti di mercoledì 8 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e insieme alla Cronaca 822 sto vivendo come se niente fosse

martedì 7 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/821. I vascelli delle nostre infinite esistenze possibili se ne stanno schierati nel blu dell’orizzonte estivo

 



 

Oggi è stato un giorno lacustre, iniziato con un feroce temporale e continuate nella dolcezza del Lago Maggiore. Non avevo voglia di gironzolare al mercato, così sono partita un po’ più tardi, ho pranzato nel solito ristorantino in piazze, ho fatto una passeggiata e poi una sosta in Feltrinelli dove ho comprato il nuovo libro di Federico Pace La più bella estate. Storie di una stagione in cui tutto è possibile e ho iniziato subito a leggerlo sul treno del ritorno. Così per contentezza e pigrizia ne copio un brano:

 

 

Un battito d’ali

C’è un tempo della vita, e una stagione dell’anno, in cui tutti gli abbozzi della nostra esistenza sembra che vogliano, e possano, realizzarsi. In quel periodo, in quella stagione effimera, riusciamo a intravedere i vascelli delle nostre infinite esistenze possibili mentre se ne stanno schierati nel blu dell’orizzonte estivo. Al chiuso della nostra stanza, vediamo le prue di quelle imbarcazioni pronte a salpare, quando, ancora sdraiati nel letto, intuiamo la luce del sole che, alle prime ore del mattino, balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane. Con addosso il leggero velo del sonno, ne immaginiamo le traiettorie, le infinite avventure. Rimaniamo a guardare, con gli occhi dell’immaginazione, tutte le peripezie che si andranno compiendo. Le terre in cui giungeremo, le persone che avremo l’opportunità di avvicinare e che ci toccheranno nel profondo. Le cose sconosciute che avremo tra le mani. E di quelle prospettive, prima di scendere le scale della casa in cui ci troviamo in quel tempo della nostra vita, sembriamo nutrirci e abbeverarci come di un alimento e un nettare prelibato. Non sappiamo ancora, e non possiamo nemmeno intuire, che ne sarà di quei vascelli schierati laggiù dove la terra si congiunge con il cielo”.

 

 

All’arrivo non sono tornata subito a casa, sono andata con un gruppo di vecchi colleghi a prendere un aperitivo al bistro del Piccolo Teatro e poi sono tornata a casa in tram. Anche oggi è stata una giornata gioiosa e lieve, come se il bello e il buono del mondo fossero tutti qui, nella mia città. Oggi è martedì 7 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 821 è contenta quanto me.  

domenica 5 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/819. La vertigine di ciò che negli specchi si moltiplica

 

 


È domenica mattina, non posso indugiare oltre, salto giù dal letto e vado a fare una passeggiata prima che il resto della città entri in movimento. Come ogni domenica tutto sembra sospeso, l’aria è luminosa e fresca, mi fermo su una panchina a leggere Borges.

 

L’attesa

 

Prima che il frettoloso campanello

squilli e ti aprano e tu entri, oh attesa

dall’ansia, l’universo dovrà già

aver compiuto un’infinita serie

di atti concreti. Non potrà nessuno

calcolarne la cifra, la vertigine

di ciò che negli specchi si moltiplica,

di ombre che si allungano e ritornano,

di passi che divergono e convergono.

La sabbia non saprebbe enumerarli.

(Nel petto l’orologio del mio sangue

batte il trepido tempo dell’attesa).

 

Prima che tu arrivi,

un monaco deve sognare un’ancora,

una tigre morire a Sumatra,

nove uomini morire nel Borneo.

 

 

Mi piace questo libro Storia della notte che non conoscevo, rileggo la poesia e penso che la utilizzerò per scrivere la nuova Cronaca. Il resto della giornata è trascorso a svuotare, pulire e sistemare tutti i mobili della cucina, ma proprio a fondo. E anche a scegliere cosa tenere e cosa buttare della collezione di bottiglie di vetro di vario colore e di boccette. Ci sono oggetti che non so più perché avevo conservato. Ci sono oggetti che hanno smesso di parlarmi e così continuo a scegliere cosa tenere e cosa buttare o regalare. La magica arte del riordino non mi appartiene, la mia arte è piuttosto quella del rigattiere, ma un rigattiere che sta imparando a regalare anche le cose che ama. Oggi è domenica 5 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 819 ha deciso di impadronirsi di qualche oggetto che ho scartato e mi guarda feroce se le dico che bisogna lasciar andare le cose.

sabato 4 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/818. Io voglio ricordare quel bacio con cui tu mi baciavi in Islanda

 

 


In questo lento arrivo dell’estate, intervallato da piogge e ripensamenti, ho gironzolato per i Navigli con il nipote Marco e sono tornata a pranzare, dopo qualche anno, all’Osteria del Binari che non ha perso una virgola del suo fascino inizio Novecento. Dopo un’eccellente cotoletta alla milanese, beatamente spaparanzati sotto il pergolato del giardino estivo, siamo andati a gironzolare al Libraccio di via Corsico; prima tra i i libri d’arte e teatro e poi nel negozio piccolo dove vendono tutto a 2 euro. Ho non ho potuto fare a meno di pensare alla fatica improba che ogni libro costa al suo autore e alla fine ingloriosa di essere messo in vendita a 2 euro. Si trovano sempre anche libri di autori bravi e noti, mescolati a libri improbabili che pure, ai loro tempi, avevano avuto un certo successo. Mi sono chiesta allora, per l’ennesima volta, quale demone tenga inchiodate alcune persone, qualche centinaia di migliaia da che esiste la scrittura, a uno scrittoio, come se la scrittura fosse la cosa più importante della vita. Ma la questione è che per i bacati che amano scrivere più di ogni altra cosa al mondo, nessun’altra cosa al mondo vale quanto la scrittura, lo scrivere libri, ancor meglio se poi si riesca a pubblicarli. Borges aveva una fede cieca e assoluta nella scrittura e questo suo amore è stato largamente ricambiato. Lui è riuscita a mescolare storie impossibili con profili di gente incredibile e da questi strani miscugli ne è sempre scaturita grande poesia.

 

GUNNAR THORGILSSON

(1816-1879)

La memoria del tempo

è gremita di spade e di vascelli

e polvere di imperi

e mormorio di esametri

e alti cavalli pronti per la guerra

e caos di grida e Shakespeare.

Io voglio ricordare quel bacio

con cui tu mi baciavi in Islanda.

 

 

Di cosa altro abbiamo bisogno in una giornata come questa? Di nulla e così prendiamo commiato per andare avanti a leggere Storia della notte di J.L. Borges. Oggi è sabato 4 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 818 ricorda Shakespeare e i baci di Giulietta.

giovedì 2 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/816. Ciò che chiamiamo pace ha solo il breve sollievo della tregua

 


 

Non volevo nomi per morti sconosciuti

eppure volevo che esistessero

volevo che una lingua anonima

– la mia –

parlasse di molte morti anonime.

Ciò che chiamiamo pace

ha solo il breve sollievo della tregua.

Se nome è anche raggiungere se stessi

nessuno di questi morti ha raggiunto il suo destino.

 

Non ci sono che luoghi, quelli di un’isola

da cui scrutare il Continente

– l’oriente – le sue guerre

la polvere che gettano a confondere

il verdetto: noi non siamo salvi

noi non salviamo

se non con un coraggio obliquo

con un gesto

di minima luce.

                                                                        

 

Considero Antonella Anedda una delle voci poetiche più significative del secondo dopo guerra e il suo libro Notti di pace occidentale (Donzelli, 1999) è quello che più amo. Mentre rileggo gli appunti che ho preso negli anni intorno a questa poetessa, noto che ho usato in modo automatico “secondo dopo guerra”, proprio come se scandire il tempo tra guerra e pace fosse in qualche modo normale. La mente umana ama esprimersi per diadi, coppie e binomi: guerra e pace; bianco e nero; vittime e carnefici; sole e luna; giorno e notte; proprio come se i forti contrasti contenessero l’unica verità plausibile e gli spazi intermedi, le sfumature tra i due estremi fossero poco interessanti o poco contassero.

Notti di pace occidentale è stato scritto tra il 1993 e il 1999 e raccoglie 48 poesie raggruppate in cinque sezioni. La prima sezione, quella eponima, è stata ispirata dalle guerre di fine Novecento, a partire dalla guerra del Golfo del 1991 sino alla dissoluzione della Jugoslavia e alla guerra del Kosovo. Tutto il libro di Anedda è un lungo brivido che evoca la solitudine del poeta che si rispecchia nella solitudine dei morti sconosciuti le cui immagini ci sfiorano da Internet, dalla televisione, dai giornali, oggi ancor più di allora.

“Ciò che chiamiamo pace / ha solo il breve sollievo della tregua”, scrive Anedda e rileggendo questi versi di potenza per me inaudita, i brevi decenni di pace nel territorio europeo, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono diventati un intermezzo felice in un mondo la cui storia è storie di guerre, sconfitte e vittorie, come se non ci fossero altre plausibili possibilità di esistere se non diventando vittima o carnefice. “Noi non siamo salvi”, scrive ancora la poetessa, non lo eravamo neanche durante gli anni di una pace illusoria dove non ci sono stati eserciti e battaglie a insanguinare la terra d’Europa, ma dove le logiche spietate e implacabili del Potere si sono comunque manifestate attraverso le regole dell’economia e ancor più della finanza globalizzate. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso 24 febbraio, mi chiedo perché questa guerra in particolare mi abbia colpito in maniera così profonda. Anche le altre guerre citate portarono sconvolgimenti emotivi nelle nostre vite a suo tempo, così come le guerre infinite che si combattono in ogni luogo della terra, ma perché proprio questa guerra ha avuto questo impatto così forte anche a livello di immaginario? Provo ad azzardare qualche spiegazione, con tutti i limiti di un punto di vista individuale di una donna di età ormai matura che appartiene alla generazione privilegiata dei baby boomers. Noi nati dopo il 1945 abbiamo ascoltato racconti di prima mano di chi la guerra l’aveva vissuta e subita. Racconti che possiamo ascoltare ancora dalla voce degli ottuagenari che all’epoca erano solo bambini. La Russia, che allora apparteneva all’Unione Sovietica, faceva parte della schiera dei buoni, di quelli che avevano contribuito a sconfiggere Hitler e il Nazismo, cioè l’incarnazione del Male Assoluto nella Storia. Uso volutamente tutte le maiuscole in questa frase perché anche quella guerra è stata qualcosa di assoluto, un momento che avrebbe dovuto sancire l’inizio di un’epoca definitiva di ragione e prosperità, come in parte è stato. Ma seguendo la logica binaria che tanto amiamo, i buoni si divisero in due blocchi antitetici che si sono schierati sui due lati d’Europa e sfidati, minacciati durante i lunghi anni della Guerra Fredda, la guerra non combattuta anche se, nei fatti, dichiarata, tra il mondo sovietico e quello occidentale protetto di nuovo dagli Stati Uniti e dalla Nato. Io non riesco a dimenticare tutti i giovani che sono caduti nelle guerre di tutti i tempi e ci penso ancora di più oggi che giovane non sono più. Ricordo lo sgomento e il dolore che provai quando andai a visitare per la prima volta Omaha e Utah Beach, le spiagge dello sbarco degli Alleati in Normandia. Ricordo la distesa infinita e semplice delle croci e delle stelle di Davide bianche su un’altura che si affaccia proprio su Omaha, le lapidi sono 9.387. Anche vicino a noi c’è un piccolo cimitero di guerra dove riposano i 417 caduti delle nazioni del Commonwealth che contribuirono alla liberazione di Milano, la nostra città che si è salvata dall’annientamento totale solo perché gli inglesi della RAF, capitanati dal comandante in capo Arthur Travers Harris, soprannominato Bomber Harris, decisero all’ultimo momento di andare a bombardare Dresda il 13 e 14 febbraio del 1945. La città venne rasa al suolo, le vittime furono all’incirca 235 mila e la Germania nazista subì un colpo fatale. Ma oggi è la Russia, in questa nuova guerra d’Ucraina, a essere il Paese aggressore, è come se il mondo si fosse rovesciato. E noi cittadini del quieto Occidente assistiamo impotenti a quanto accade. Impotenti e consapevoli, quasi all’improvviso, della fragilità di questo mondo globalizzato dove dipendiamo per il gas dalla Russia e per il grano dall’Ucraina. Difficile prevedere oggi cosa accadrà nei prossimi mesi e come e quando la guerra finirà. Potrebbe finire malissimo, con un conflitto nucleare? Purtroppo sì, la tremenda verità è questa. Ma cosa possiamo fare noi qui e ora? Poco, molto poco, possiamo cercare quei gesti di minima luce che Anedda evoca alla fine della poesia, possiamo continuare a vivere le nostre vite come meglio riusciamo, non farci sconfiggere dalla paura e dall’angoscia, continuare a vivere, studiare, lavorare e scrivere dando il nostro contributo quotidiano al benessere della nostra comunità di prossimità, perché è anche dai piccoli gesti e dal loro valore che il nostro contributo si allarga a macchia d’olio, consapevoli che il Male è insito nello spirito di noi umani e che il Bene è la lotta quotidiana che ciascuno di noi deve compiere, l’unica guerra accettabile da cui è impossibile prescindere.

All’inizio della sesta poesia del libro di Anedda leggiamo questi versi:

 

Non esiste innocenza in questa lingua

ascolta come si spezzano i discorsi

come anche qui sia guerra

diversa guerra

ma guerra – in un tempo assetato.

 

Per questo scrivo con riluttanza

con pochi sterpi di frase

stretti a una lingua usuale

quella di cui dispongo per chiamare

laggiù perfino il buio

che scuote le campane.

 

 

Non esiste innocenza nella lingua che usiamo, in quello che accade, ma esiste una forza che nasce dalla volontà di fare il bene comune, di costruire la pace, di sottrarre il futuro delle giovani generazioni alle logiche della guerra e alla sua devastazione. Con l’invasione dell’Ucraina, Putin si è avventato sul Ventunesimo Secolo come uno zombie sfuggito dal Ventesimo, da un’epoca che credevamo estinta, quella in cui i giovani vanno a morire in guerre comandate dai vecchi. Una sera recente in giugno, la mia amica Rossana, russa moscovita per parte di madre, mi ha raccontato di questa cugina con cui non è più in contatto, e che ha sposato un uomo ucraino. I due hanno una fattoria dove allevano mucche e i due figli maschi, ancora molto giovani, vivono, o meglio vivevano, uno a Kiev e uno a Mosca, rischiano cioè di trovarsi schierati a combattere l’uno contro l’altro. Come fermiamo la guerra allora? Continuando a credere nella forza della pace e della ragione, con l’unico mezzo non guerresco per trovare una mediazione accettabile, cioè la politica. E continuando a leggere e scrivere, poesia prima di tutto, ma anche narrativa e saggi, perché i libri, la parola scritta, ci aiutano a entrare in sintonia con gli altri da noi, a provare empatia, pietà e amore, anche per tutti quei nomi sconosciuti che tali resteranno.

 

Oggi è giovedì 2 giugno 2022 festa della Repubblica Italiana, terzo anno senza Carnevale e primo anno di guerra. Questa Cronaca 816 festeggia la nostra Repubblica e piange per questa guerra.