Visualizzazione post con etichetta Virginia Woolf. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Virginia Woolf. Mostra tutti i post

sabato 28 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/811. Chiamo lingua questo destino della forma, l’azzurro dei suoi segni

 

  


Oggi a Milano soffiava un ventaccio anomalo che sembrava la Bora triestina, forse è così che la città mai più silenziosa protesta perché non ha il mare. Era talmente forte questo vento che faticavo a tenere gli occhi aperti, e così sono uscita per andare a passeggio e poi fermarmi a leggere in qualche baretto del quartiere e me ne sono tornata a casa senza neanche avere fatto la spesa, perché era quasi impossibile stare all’aperto. Così me ne sono tornata a casa, ma ero contenta lo stesso perché sto leggendo i Diari di Virginia Woolf, il primo volume per la precisione, e quando leggo VW sono sempre felice anche se per ora non è successo ancora niente di rilievo. La seconda contentezza di questo sabato e che ho buttato via ancora un po’ di vecchie carte ormai inutili, la terza contentezza è che ho deciso di rivedere i tre film di Millennium, la saga originale di Lisbeth Salander, che mi piace molto. Perché mi piace molto? Perché Lisbeth è una che non si arrende mai e poi mai, un’anima solitaria avanza nella vita come una nave rompi-ghiaccio. E poi scelgo un’altra poesia di Antonella Anedda:

 

a Franco Scataglini

 

Anche per me la Russia

Era lunarità dolente

- tundra senza alture –

cupole radenti

al deserto dei prati.

 

Anch’io sono uno scriba

con un tavolo breve che si piega

la schiena indifesa – la cera rappresa tra le dita.

 

Chiamo lingua questo destino della forma

l’azzurro dei suoi segni, il foglio

come luna tra le foglie.

 

Nel vetro di un vagone

vedo me stessa buia

venire col suo pegno

di ombra e di paura

fino allo spazio ardente

del nome che si perde.

 

 

Ecco che ora posso salutare questo sabato 28 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e la sua Cronaca 811, azzurra e ventosa.

venerdì 25 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/719. Stazioni di arrivo e stazioni di partenza



 

"Questa non è casa tua, spostati, mi dai fastidio”. Questa mattina mi sono svegliata con queste parole in testa e negli occhi le prime immagini dell’invasione dell’Ucraina. Prima ancora di essere ben sveglia mi sono ritrovata a pensare alle immagini che i media stanno pubblicando e che questa invasione sarebbe stata il Vietnam della Russia. Come tanta gente nel nostro mondo, non ho competenze politologiche, leggo e ascolto molto, mi dispero. Ho cercato di mantenere un po’ di distanza, ma non è facile, come fare a non disperarsi? Così adesso, dopo due anni di pandemia, ci ritroviamo di fronte a un’invasione che potrebbe essere il prologo della terza guerra mondiale, una guerra che forse è già iniziata e ancora non lo abbiamo capito. Più che continuare a guardare telegiornali e leggere reportage, mi sono rifugiata nei libri e sono tornata a immergermi nei 19 incontri di Paolo Di Paolo con altrettanti scrittori.

«Contatti magici»

Amava stanare gli scrittori, il giovane Frederic Prokosch, scrittore a sua volta. Li cercava come si cercano i libri e i dolci. O i padri.

«Potrei parlare con la signora Woolf?».

«Temo che la signora Woolf sia occupata».

Ha poco più che vent’anni, l’americano Prokosch, un fascio di fogli sotto il braccio e molta emozione addosso, quando si affaccia sulla soglia della londinese «Hogarth Press» per incontrare la grande scrittrice. «Era seduta dietro una cascata di bozze e teneva una matita dritta sullo scrittoio». Si guardano. Frederic comincia a parlare delle sue poesie (ne ha portate con sé alcune). «Sarò felice di leggerle, dal momento che sono soltanto trentatré...», sorride sarcastica Virginia.

«Oh, signora Woolf», dissi affannosamente, «non è questa la ragione della mia visita. Sono venuto perché...».

«Voleva guardarmi in faccia, suppongo». All’improvviso il contatto magico era stato stabilito. Il suo viso si delineò meglio, come

in una pellicola sotto l’azione dell’acido.

«Esattamente» dissi.

(…)

La domanda da cui ogni volta sono partito, ha a che fare con i libri. E con i luoghi. Nasce dalla volontà di capire che cosa lega, che cosa può legare pagine di carta e inchiostro alla geografia fisica e sentimentale. Nella vita di ogni lettore appassionato, ci sono singolari corrispondenze tra libri e paesaggi attorno. Per questo, «la tentazione di accoppiare luoghi e letteratura – ha scritto Giorgio Montefoschi – non ce la scrolliamo di dosso». Per questo, se andiamo a San Pietroburgo, mettiamo in valigia un romanzo di Dostoevskij; e se passeggiamo per le strade di Parigi, può tornarci sulle labbra un verso di Baudelaire. Sarà che spesso le parole di un poeta si rivelano più utili di quelle stampate sulle guide turistiche. Sarà che i libri ci tengono compagnia (e in viaggio spesso siamo soli); ci aiutano a mettere a fuoco dettagli, a fare scoperte, a ricordare. Ma anche, banalmente, a passare il tempo. Si racconta in proposito di tale Sir Richard Morison che, partito da rive inglesi al la volta della Germania, riuscì a leggere in viaggio tutto Erodoto, cinque tragedie e tre orazioni di Isocrate e altre sette di Demostene, in lingua originale. Ma era il 1550 e, per arrivare, impiegò ventisei settimane. In queste pagine si racconta di romanzi che mettono addosso il desiderio di partire; di viaggi fatti sulle tracce di scrittori amati; di strani cortocircuiti che si attivano quando un libro sfiora il paesaggio dell’infanzia, o una terra lontanissima in cui ci perdiamo, o ancora, semplicemente, la nostra poltrona in salotto. Per ogni viaggio, quindi, ci sono stazioni di arrivo ma anche di partenza. Che, messe l’una accanto all’altra, disegnano un itinerario tutto italiano: dal mare di Genova a Orbetello, da Piacenza a Castellammare di Stabia, giù fino a Vigàta, che forse non esiste, o forse sì. A spiegare quanto decisivo sia il luogo da cui ci muoviamo, pensa Raffaele La Capria nelle ultime pagine: «Viaggi, conosci paesi nuovi e diversi, per sapere qualcosa che già stava scritto nel punto di partenza. Ma è al ritorno all’arrivo che lo scopri. Che scopri quanto sia parte di te».

Ecco finita la lunga citazione da Di Paolo, che ho copiato per poterla rileggere.

Resto nei libri oggi, fino a quando non esco a cena con due amiche che sono state anche colleghe. Si chiamano entrambe Paola, quindi sono le Paoline per estensione, e compiono entrambe gli anni il giorno precedente il mio compleanno, cioè il 28 giugno.

Ecco che anche questa Cronaca 719 di venerdì 25 febbraio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra, si acquieta un po’ e mi accompagna a zonzo, in una serata fredda e luminosa.

sabato 29 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/692. Come cantare lo stesso canto della mia città

 


 

Quali sono le cose che rendono ogni giornata una giornata felice? Di sicuro il sole, quando intiepidisce l’aria, mi chiama a sedermi su una panchina fuori dalla biblioteca e si offre al mio viso e io faccio lo stesso. Mi sono fermata a lungo, sino a quando la luce e il calore non hanno iniziato a farmi girare la testa e allora, piano, mi sono spostata verso una zona d’ombra e sulla soglia dell’ingresso ho sentito risuonare i passi degli operai che entravano a lavorare alla De Angeli–Frua, fabbrica tessile andata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale. È tutta una stratificazione di ricordi quest’area vicino a casa, dove c’era anche un bosco spontaneo sorto sulle rovine della fabbrica e che venne quasi completamente tagliato durante un tentativo di speculazione edilizia, di cui ho già scritto, nell’agosto del 1991. Ma sono così tante le tracce del passato in questo quartiere che non mi stanco mai di andare a cercare particolari che non conoscevo sui libri e su internet. Oggi sembrava proprio primavera, l’aria era sottile e immaginavo di sentirci profumi che ancora non ci sono. Una fervida immaginazione rende una giornata qualunque una giornata felice. Sono passata apposta davanti al panettiere solo per poter respirare l’aroma del pane appena sfornato e dal fruttivendolo per catturare con le narici quello dei molti agrumi esposti sul bancone. Ho fatto anche un esercizio che non riesco mai a finire, cioè riuscire a ricordarmi tutti i negozi che si sono succeduti in via Marghera, una delle vie più belle di Milano, ma non ci riesco quasi mai, anche se ricordo quanto era piacevole questa zona della città, metà borgo antico e metà quartiere elegante, quando ho iniziato a frequentarlo negli anni delle scuole superiori. Intorno alla scuola Novaro-Ferrucci e alle rovine della fabbrica ci ho camminato così tante volte che i miei passi potrebbero avere contribuito a incidere il selciato. Così come i miei sguardi che non si fermano mai e continuano a interrogare i palazzi e le finestre alla ricerca di storie nuove da raccontare o raccontare di nuovo perché nessuno le ricorda più. Amo molto gli scrittori che si identificano, almeno in parte, con la città in cui vivono, a volte da quando ci sono nati, come Paul Auster e New York, Fernando Pessoa e Lisbona, Virginia Woolf e Londra, giusto per citarne alcuni. Anche Milano è stata molto raccontata nel corso del tempo da numerosi scrittori che l’hanno anche solo visitata nel giro di pochi giorni. Ho raccolto un’infinità di citazioni e testimonianze per il romanzo che ho appena finito di scrivere e mi piace andare a rileggere di quella Milano antica che nessuno vedrà mai più. Una giornata felice è anche quando scopro le tracce di altri scrittori per le vie che più amo e mi piace questa convivenza immaginaria con loro e la mia città, anche se spesso i palazzi dove hanno vissuto non esistono più.

 

 

 

Il canto di Milano

 

È forse questo il segreto

della parola, custodire

per noi quella luce e

quei volti che non abbiamo

mai veduto ma che possiamo

ricordare come se fossero

nostri, come se il tempo

fosse solo un luogo che

ci appartiene e cui apparteniamo

anche se non lo sappiamo, anche

se non lo vogliamo. Per tutti

quelli che l’hanno amata, per

quelli che la vivono senza

amarla, per tutto il passato

e per questo presente, per

tutta questa vita intorno e

dentro di me, io canto questo

tuo stesso canto, mia amata

Milano, la mia città, il mio

posto nel mondo.

 

 

E così, su queste note amorose è trascorso questo sabato 29 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 692 è molto orgogliosa di essere milanese e io con lei.

venerdì 5 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/607. Sognare il mio faro, guardarlo dalla finestra socchiusa, non fare la gita: questo è il segreto della scrittura

 

 

Nella casa del tempo non ci sono soglie, porte, finestre, pareti. Ogni spazio è mobile, indefinito a ogni risveglio e prende forma solo dopo che lo abbiamo mediato portando i sogni in questa realtà e lasciato alcune cose del reale insediarsi in quella dimensione priva del tempo come lo conosciamo. Per questo possiamo scegliere che la cucina appartenga alla casa della nostra infanzia, in campagna dalla nonna, che la camera da letto sia quella stanza inondata di Saint André d’Hebertot. Possiamo scegliere il giardino della casa di Soliva, circondato da castagneti, ma ancora splendente della fioritura di meli e albicocchi inselvatichiti. La vista dalla terrazza sarà quella sul golfo di Camogli, la spiaggia un insieme delle spiagge adriatiche del Conero e quelle joniche di Sibari. Potremo affacciarci alla finestra da cui Giacomo intravedeva Silvia a Recanati, o ammirare in lontananza il faro di Saint-Yves dove nessuno ha mai fatto una gita, di certo non Virginia. I mondi raccontati o inventati dagli scrittori e dai poeti si mescolano con i nostri mondi ricordati o solo sognati. Ricordarlo ogni mattina mi allarga il respiro e mi fa domandare: “E oggi in che casa abiterò? In che paesaggio camminerò? Cosa vedrò dalla mia finestra?”. È bello svegliarsi con queste domande e cercare risposte nei libri che sto leggendo, cercare nelle parole che sto scrivendo. Cosa scoprirò in questa giornata d’autunno dove è ritornato il sole e l’aria è fredda come nel cuore dell’inverno?

  

Gli anni si aprono verdi e luminosi

 

Chiudo gli occhi, respiro,

non mi muovo se non per

avvicinarmi alla finestra,

mi sporgo. La via è vuota

e silenziosa, non è ancora

l’alba, respiro, com’è nuovo

il mondo ogni mattina,

come mi piace immaginare

quel che la luce ancora non

mi ha mostrato. Ogni storia

è ancora incompiuta, ma sento

una voce che mi invita: “Vieni,

questa è la tavola, questa la tua

casa, ogni cosa è pronta, scegli

da dove iniziare”. Allora sento

la forza degli anni non ancora

compiuti aprirsi verdi e luminosi

nella stagione fredda, pronti

al cambiamento di passo e di

respiro. Io pure sono pronta e

ho scelto il mio sentiero e quale

foresta farmi crescere intorno.

 

 

 

Sono molte le case, le foreste, il tempo e i sogni. Sono molti i libri, le conversazioni, le difficoltà, le amicizie che riprendono vita e quelle che si spezzano. Sono molti anche i respiri e a ogni respiro si espande il mondo e si spalancano gli occhi su questa vita così nuda, essenziale, da non avere altra necessità che di essere vissuta, istante dopo istante.

Oggi è venerdì 5 novembre del secondo anno senza Carnevale, e questa Cronaca 607 è come la vita, essenziale e nuda, respira e mi fa respirare.

mercoledì 2 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/451. Ciò che amava era: la vita, Milano, quell’attimo di giugno

 


 

Ho sempre amato il mese di giugno, da quando ero molto piccola, forse perché a fine mese è il mio compleanno. Di sicuro perché è, come scriveva Carducci, “il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare”. In giugno è bello viaggiare, Costa Azzurra, Provenza e Golfo del Leone, Parigi, la Spagna del Nord e il Portogallo tra i molti viaggi fatti negli anni. Giugno è il mese dell’amore, dei vagabondaggi nei prati e nei querceti, nei campi a guardare il grano quasi maturo e i papaveri con i fiordalisi, i campi di orzo ancora verde e il vento che spettina tutto. E, dato che non ci sono più le stagioni di una volta, le sere di giugno non sono più lunghe e belle come un tempo. Sono almeno quindici anni che giugno a Milano è un mese di nuvole e pioggia, di clima fresco più d’inizio primavera che di quasi estate. Quindi sospiro, quando penso a quelle giornate estive trascorse tra campi e prati giocando e correndo quando ero bambina, penso alla fine della scuola e alle vacanze che iniziavano, alle gite in campagna a raccogliere ciliegie, era l’anno degli esami di maturità, e a leggere Il garofano rosso di Vittorini. Giugno è anche la Festa della Repubblica Italiana, e oggi sono 75 anni, che ho sempre festeggiato con grande partecipazione. È sempre stato un mese denso di avvenimenti giugno, dai primi lavori estivi che iniziavano non appena finita la scuola durante gli anni delle superiori, alle scorpacciate disordinate e infinite di libri che con la fine della scuola iniziavano.

 

 

Tra le ombre che condividiamo

 

La luce mi cerca sempre

quando è giugno e io

rispondo con la devozione

di un’adepta che da un anno

all’altro aspetta il solstizio

estivo e la gioia che celebriamo

inseguendo il sole e sfuggendo

alla notte. Non resteremo

soli in questo buio, ci sono

sempre i poeti, decifratori

del mistero e custodi dei

segreti. Anche qui resto

un’allieva giudiziosa e ascolto

la mia musa e gli altri che

scrivono nel mio stesso tempo,

e tutti quelli che ci hanno

preceduto. Ma tra tutte,

sono sempre le tue parole

a risuonare alte nel cielo

chiaro e poi tra le ombre

che condividiamo.

 

 

Anche oggi, mercoledì 2 giugno del secondo anno senza Carnevale, un mercoledì che sembra domenica, ho avuto la grazia e la gioia di scrivere questa nuova Cronaca 451, accompagnata da una poesia inedita e da un titolo preso in prestito dalla signora Dalloway di Virginia Woolf, dove la città era Londra e non Milano.

domenica 28 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/385. Scrivere prosa con gli strumenti della poesia: Virginia lo sapeva fare

 


 

Impossibile non pensare a Virginia Woolf oggi, sono ottanta anni giusti dal giorno in cui, a 59 anni compiuti da poco più di due mesi, si uccise calandosi nelle acque gelide del fiume Ouse nel Sussex, vicino alla sua residenza di Monk’s House. I suoi ultimi testimoni di questa realtà furono alberi e pietre.

 

Canto dell’albero mutilato

 

Eravamo fermi sulla riva, da anni

nello stesso posto. L’abbiamo

vista scendere, raccogliere pietre,

l’abbiamo vista camminare fino

al centro dell’acqua. I sassi

gridavano, sapevano che li

avrebbero giudicati colpevoli,

come siamo colpevoli noi che

non abbiamo avuto neanche

la forza di cercare un vento così

forte da trascinarla indietro.

Verremo ricordati come i suoi

ultimi testimoni, noi che non

potevamo gridare, vi diciamo

adesso addio e a lei diciamo

grazie per averci resi immortali

nel suo ultimo sguardo terreno.

La volta del cielo l’ha accolta mentre

questo mio canto mutilato nasce

dalla sua grazia e dal suo pensiero.

 

 

In tutto il mondo sono in corso celebrazioni woolfiane, chissà se lei immaginasse l’eco profonda e inarrestabile che i suoi libri avrebbero prodotto nei tempi futuri.

Amo incondizionatamente ogni cosa che ha scritto a partire dal Diario di una scrittrice nell’edizione Oscar Mondadori con la sua più celebre fotografia in copertina. Il libro era di proprietà del dottor Gherardo P., e suo fratello Giorgio me lo prestò, una sera che eravamo a cena a casa dell’incauto dottore che era in viaggio in Medio Oriente, forse in Afghanistan, insieme a Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse. Per vicissitudini estranee a questa Cronaca, i due libri rimasero in mio possesso e lo sono tutt’ora.

Amo la scrittura di Virginia Woolf perché lei è riuscita a scrivere prosa con le tecniche e gli strumenti della poesia. Metafore e similitudini zampillano nei suoi scritti a ogni pagina e da questa forza immaginativa, mi sono sempre lasciata incantare. Non voglio fermarmi a questo triste anniversario, alla sua lapide dove è incisa la frase «Le onde si infrangevano sulla spiaggia» o «le onde si ruppero a riva», come ha scritto Nadia Fusini nella sua nuova traduzione che chiude il suo celebre romanzo. Voglio iniziare a  pensare al 2022, quando saranno trascorsi 140 anni dalla sua nascita, voglio pensare all’incontro con Sigmund Freud, a Londra nel 1939, quando lui le regalò un narciso per accomiatarsi e lei scrisse nel suo diario: «Cominciato a leggere Freud ieri sera; per ampliare la circonferenza: dare al mio cervello un più vasto raggio: renderlo obiettivo: uscire da me stessa. E sconfiggere così il restringimento della vecchiaia»

Così, per chiudere questa breve Cronaca 385 di domenica 28 marzo del secondo anno senza Carnevale, vi invito a leggere anche il profilo biografico di Virginia Woolf che ho scritto per l’Enciclopedia delle donne.

martedì 9 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/338: camminare e parlare, essere vicini, essere lontani

 


 

Oggi ho parlato a lungo, durante l’incontro organizzato con l’associazione Apriti Cielo, dell’amicizia tra le scrittrici Virginia Woolf e Katherine Mansfield che non mi stanco mai di leggere e rileggere.

Il loro mondo è stato catturato prima dall’unicità del loro sguardo e poi dalle loro parole. Se le scene della Mansfield mi fanno a pensare a una Polaroid, quelle della Woolf sono dei campi lunghi. Entrambe hanno doti straordinarie e le vite difficili che hanno vissuto, hanno contribuito, a rendere così nitida la loro scrittura che non invecchia mai.

Dai diari e dalle lettere di entrambe è possibile comprendere i termini dell’amicizia e della gelosia che di tanto in tanto le prendeva, ma era soprattutto la Woolf a provare invidia, Katherine fu l’unica scrittrice verso la quale provò questo sentimento. Insieme al rimpianto, dopo la sua morte, di non averla più come lettrice, come parte di quel “pubblico di due persone” che insieme costituivano.

Tanto ci sarebbe da scrivere ancora e, forse, lo farò.

Voglio chiudere questa Cronaca 338, di martedì 9 febbraio del secondo anno senza Carnevale, con una poesia che ho scritto qualche anno fa e che appartiene alla raccolta Un’estate invincibile (Atì editore 2019), di quella passeggiata è rimasta una traccia nei diari e nelle lettere, ma niente è stato scritto sul contenuto della loro conversazione.

 

Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia

 

Tocco la corteccia dell’albero che

chiami platano, sull’angolo della

tua strada vedo la tua casa in

fondo e cerco un senso a questo

mio vagabondare.

Ogni senso è poroso e lascia

passare più sentimenti che

ragioni.

Sillabo il tuo nome con la punta

delle dita e il platano risponde

scuotendo i rami e vedo una

foglia perfetta staccarsi e in volo

arrivare sino alla tua finestra.

Ti vedo prendere la foglia, ti

vedo accarezzare la sua pelle

non liscia e poi ti vedo guardare

verso il cielo, in alto, più in alto.

Poggi la foglia sulla tua guancia,

la baci una volta e poi

ancora. E lasci che il vento

la strappi e io aspetto per

vedere se torna e abbraccio

il platano che conosce il nostro

segreto.

domenica 20 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/196: momenti di essere, epifanie, rivelazioni, visioni, mentre l’amore rosseggia intorno a noi

Avete mai notato che il tempo scorre da destra verso sinistra? Il filo teso alla nostra sinistra è il passato, quello alla nostra destra il futuro.

In mezzo ci siamo noi, seduti nella ragnatela accanto alla Grande Tessitrice, che intreccia vita e storie e le consegna non sappiamo bene dove.

 Come brilla nel sole questa immensa ragnatela, come brilla e oscilla nel vento dell’eterno che piega anche il nostro capo e i calici dei fiori ancora colmi di polline.

Le api continuano a bagnarsi sia nel polline giallo del passato che in quello rosso del futuro e poi zampettano e scivolano sulla ragnatela, giocano con i fili come bambini sullo scivolo.

Noi siamo sempre seduti e osserviamo questo gioco che ci cresce intorno, giochiamo perché non possiamo farne a meno, giochiamo e giochiamo.

E mentre giochiamo l’amore ci viene incontro, l’amore che sta cercando un nome, solo quel nome da pronunciare a voce alta, dopo decenni e decenni di attesa.

La città non più silenziosa si è aperta su un mattino livido, sono uscita presto per andare a votare, ho camminato per le strade vuote, comprato i giornali, le brioche domenicali per la colazione.

I nomi attesi risuonavano in me gioiosi come le api, i fili del tempo sono una comoda altalena se sai cosa stai cercando.

Ieri pomeriggio sono andata alla Biblioteca Sormani per la presentazione della nuova edizione di Momenti di essere di Virginia Woolf, “il libro che lei non ha mai scritto” come ha detto Liliana Rampello, una delle sue maggiori studiose. C’era un’atmosfera strana nel cortile, il cielo geometrico sopra di noi aveva un colore pallido e la luce smorzata del giorno, arrivava appena a rischiarare quelle antiche mura.

Nell’atmosfera onirica ho visto Virginia Woolf seduta al centro della sua ragnatela di parole e immagini luminose, della vita che passa e della letteratura che la trasforma.

Sua madre incombe “al centro della cattedrale della sua infanzia”, suo padre troneggia al tavolo della sua biblioteca e consegna a Virginia un nuovo libro da leggere. I morti ricordi del passato arrivano nel tempo presente solo come emozioni: “il vestito di fiori rossi e viola su sfondo nero della madre, il frangersi delle onde dietro la tenda gialla di St Ives … il ricordo poggia esclusivamente sull’impressione, sull’emozione che porta con sé… l’emozione si espande col tempo. Così non abbiamo emozioni complete nel presente, ma solo riguardo al passato… il tempo fa le capriole, al momento del fatto l’emozione non si espande, ha bisogno del suo futuro che altro non è che un presente che attualizza quel momento passato, portandolo a compimento. Né morta reliquia, come in Baudelaire, né nostalgia di un mondo perduto e ritrovato, come in Proust, questa epifania, rivelazione, visione, è il momento di essere di Virginia Woolf”.

Questa lunga citazione che è un miscuglio delle parole della Woolf con quelle della Rampello, continua a evocare i miei momenti di essere. E ciò che scopro è che l’amore tira i fili di ogni ricordo, l’amore chiama la vita, la tesse, la lascia andare, si presenta come speranza del futuro.

Rosseggia nel tramonto l’amore, non solo nelle ore feconde dell’alba. Si espande, muta forma ed è ricco come un cesto autunnale di uva, castagne, funghi, melograni e mele.

Il prodigio si rinnova ogni giorno, le emozioni lavorano con le api ebbre di luce, questo è il mondo, questa la speranza in questo ventesimo giorno di settembre dell’anno senza Carnevale.

Il libro citato è Momenti di essere, tradotto da Adriana Bottini e Sara Sullam, curato da Liliana Rampello, Ponte alle Grazie 2020.


 

domenica 6 settembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/182: metafisica delle finestre aperte, a volte chiuse

 

Le finestre sono gli occhi delle case e anche il naso. La maggior parte delle finestre è a una via, possiamo cioè affacciarci dall’interno verso l’esterno ma non viceversa. A meno che non stiamo attraversando in treno una cittadina e, curiosi, sbirciamo vite che non sono la nostra ma che potrebbero esserlo.

Le finestre sono un assoluto nei climi temperati e un’assenza dove il clima non è mite, dove il vento soffia implacabile da Nord e ci fa voltare la schiena alle intemperie. 

Nella città silenziosa la mia finestra preferita si affaccia sull’albero bellissimo, sulle sue foglie danzanti, sui muri di una vecchia scuola e su quelli ancor più antichi di una fabbrica che non esiste più dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il davanzale è molto basso, quindi non posso affacciarmi in senso stretto, posso, però posso sdraiarmi sul divano e godere dell’alba argentata che arriva sempre più tardi in questo scorcio di fine estate.

Dalle finestre della casa dove vivevo da bambina contemplavo soprattutto il cielo e le vite dei bambini che abitavano nel palazzo di fronte. La maggior parte delle finestre della mia vita sono finestre sul mondo esterno, sul grande o piccolo paesaggio che in città si riesce ad abbracciare con lo sguardo.

A volte mi sono affacciata da finestre a piani molto alti e lo sguardo poteva correre libero verso l’intero orizzonte. Ma, quasi sempre, lo sgomento era più forte del piacere, perché veniva meno una delle funzioni fondamentali della finestra, cioè contenere il mondo in una cornice e favorire lo sguardo convergente che tanto piace alla poesia.

Anche potersi affacciare dall’esterno all’interno favorisce questo tipo di visione. Qui, nel giardino della Casa delle Parole, mi affaccio a tutte le finestre del piano terreno per cogliere la casa vuota in modalità “natura morta” e gli altri abitanti come se fossero quadri viventi, colti nei semplici gesti della vita quotidiana, attori inconsapevoli in una storia raccontata da altri.

O in una poesia che arriva da un passato ormai remoto.

 

Stelle alla finestra

 

Avvolge il silenzio questa casa

dove simuliamo infanzia. Un letto

verde, le ali sopra la finestra,

i libri che sono una torre e le parole,

ascolta, già sono fortezza. Si può

aspettare che l’inverno passi sapendo

che mai il suono delle voci sarà

uguale se viene meno un canto.

Tu custodisci questi quaranta anni,

la nostra traversata del deserto,

il tributo al Dio feroce cui non

cedemmo allora ma che oggi ci

impone la caduta. Manna o neve

o stella, nessuno resiste alle leggi

dell’attrazione. Di stelle inghirlando

la finestra, per dare gioia alla notte

che viene.

 

Da una passeggiata nel bosco dietro casa ritorno con un’altra poesia che appartiene a un episodio della vita di Mansfield e Woolf di cui entrambe raccontano nei rispettivi diari, ma senza svelare il contenuto della loro conversazione.

 

Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia

 

Tocco la corteccia dell’albero che

chiami platano, sull’angolo della

tua strada vedo la tua casa in

fondo e cerco un senso a questo

mio vagabondare.

Ogni senso è poroso e lascia

passare più sentimenti che

ragioni.

Sillabo il tuo nome con la punta

delle dita e il platano risponde

scuotendo i rami e vedo una

foglia perfetta staccarsi e in volo

arrivare sino alla tua finestra.

Ti vedo prendere la foglia, ti

vedo accarezzare la sua pelle

non liscia e poi ti vedo guardare

verso il cielo, in alto, più in alto.

Poggi la foglia sulla tua guancia,

la baci una volta e poi

ancora. E lasci che il vento

la strappi e io aspetto per

vedere se torna e abbraccio

il platano che conosce il nostro

segreto.

 

Le finestre custodiscono molti più segreti di quanti non ne rivelino, quindi continuo a girare intorno a casa come una rondine impazzita e guardo e riguardo, ma non arrivo a capo di nulla.

Così mi arrendo, mi fermo, accetto i segreti e i custodi che li preservano, accetto il tempo che è una spirale, una scala e una finestra. Accetto la caduta e il sonno lieve, dove tutti i tempi e le creature amate stanno insieme in un luogo dove il male non può arrivare.

 

Cadere dalla scala del tempo


È una linea sottile rossa e non

un giorno, un mese o altro, è

un istante pieno, rotondo che

all’improvviso si affila e cade

dalla scala del tempo.


È il momento esatto in cui

capisci che il tempo non

esiste, perché la bambina e

la donna, camminano allo

stesso passo e il cuore che

batte è uno, soltanto uno.

 

Fuori dalla finestra la notte

si ammanta di nebbia e ricordi,

un intero cesto da cui pescare

a caso, a sentimento.

 

 

Ora che la notte scuote il mantello torno in casa e mi siedo a scrivere, ma prima parlo a lungo con un’amica che conosce la gioia e il tormento della scrittura. Una finestra è per te Edith, che ami i libri e le parole.

 

Questa Cronaca 182 è nata nella prima domenica di settembre, il sesto giorno del nono mese dell’anno senza Carnevale.

Le tre poesie della Cronaca odierna sono mie.

Stelle alla finestra è tratta dalla raccolta Figure del silenzio, Atì editore 2010.

Scena da una passeggiata di Katherine e Virginia e Cadere dalla scala del tempo sono tratte dalla raccolta Un’estate invincibile, Atì editore 2019.

 

sabato 29 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/174: io voglio scrivere così: non voglio più raccontare una storia, ma il suo segreto

 


È troppo grande il mondo per stare in una pagina, eppure la poesia, a volte, cerca proprio di compiere questo miracolo di miniaturizzazione e, a volte, ci riesce.

Così come, a volte, la poesia, si intrufola nella prosa e impregna lo stile e il ritmo di chi scrive, come accade ad Antonella Anedda, che in un brevissimo scritto sul senso del viaggio e dell’invecchiare, chiama a testimoni Virginia Woolf, Montaigne e Matsuo Basho. Tre lingue, tre epoche, tre scrittori che solo a lei sarebbe potuto venire in mente di mettere insieme:

“A dispetto del tempo e dello spazio alcune parole volano come le molecole. Chi le scrive non le possiede, prende la forma di un corpo solo per viaggiare e un nome solo per voltarsi a un suono”.

La poesia che diventa linfa vitale della prosa è una caratteristica anche della scrittura di Sandra Petrignani, soprattutto nel romanzo Marguerite, dedicato a Marguerite Duras:

 

“Si sente uno scroscio d'acqua, cade una foglia con un rumore lieve. La luce cambia in continuazione. Ora una nuvola ha gettato un'ombra nella stanza. Nei libri invece si procede per successione, come se le cose accadessero in sequenza, ordinatamente e non insieme; mentre dentro e fuori le persone le cose si affastellano, i pensieri si mescolano. Io voglio scrivere così: non voglio più raccontare una storia, ma il suo segreto”.

 

Così, in questa prima giornata d’autunno, nubifragi e nuvole, me ne sto in compagnia di alcune tra le mie scrittrici preferite e rileggo pagine amate e sottolineate nel tempo.

L’inizio della stagione di mezzo che fa strage di foglie è sempre stata la stagione dei progetti, dei nuovi inizi, del desiderio di fiamma e d’inverno.

Oggi viviamo in una fase storica di grande incertezza e paura. Le incognite sulla riapertura delle scuole e sulla ripresa economica affliggono il mondo intero. Si riapre, si sperimenta, si richiude, si torna all’obbligo delle mascherine. Nessuno vuole rassegnarsi a questa situazione, si spera nel vaccino o nella sparizione del virus. Perché la speranza di un futuro diverso e migliore è uno dei fondamenti della nostra fede nella vita e non importa a quale credo o ideologia facciamo riferimento.

Così, da vecchio topo di biblioteca quale sono, mi rifugio nei libri, non ho risposte, ma molte domande. Non ho risposte ma ho la poesia, cioè un modo laterale di guardare al mondo e di andare al di là della superficie delle cose.

La città silenziosa vive di ritorni e riaperture, io parlo con il mio albero bellissimo e cerco nuovi segreti da raccontare. Tra poco tornerò nella terra delle Montagne della Nebbia, lì dove il tempo segue i miei capricci e l’estate continua. So che le sacerdotesse sono tornate e che Marguerite Duras è con loro, vado.

 

 

Questa Cronaca 174 è frutto di un’uggiosa e fertile giornata milanese. Le citazioni sono tratte da:


Sandra Petrignani, Marguerite, Neri Pozza 2014

 

Antonella Anedda, Il mondo fluttuante pubblicato sulla rivista online Doppiozero