Estate
C'è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
Le parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
Cesare Pavese
Lavorare stanca
Einaudi 1961
Elena Petrassi: Una città è un sogno di cemento e pietra sognato da centinaia di anni: io sono il sogno. Milano parla, io racconto Milano e il mondo visto e immaginato da questo sogno. Raccolgo frammenti dal mondo e dai libri e li trascrivo.
domenica 31 luglio 2016
sabato 30 luglio 2016
Noi soli sentiamo la terra
Paesaggio IV
(a Tina)
I due uomini fumano a riva. La donna che nuota
senza rompere l'acqua, non vede che il verde
del suo breve orizzonte. Tra il cielo e le piante
si distende quest'acqua e la donna vi scorre
senza corpo. Nel cielo si posano nuvole
come immobili. Il fumo si ferma a mezz'aria.
Sotto il gelo dell'acqua c'è l'erba. La donna
vi trascorre sospesa; ma noi la schiacciamo,
l'erba verde, col corpo. Non c'è lungo le acque
altro peso. Noi soli sentiamo la terra.
Forse il corpo allungato de lei, che è sommerso,
sente l'avido gelo assorbirle il torpore
delle membra assolate e discioglierla viva
nell'immobile verde. Il suo capo non muove.
Era stesa anche lei, dove l'erba è piegata.
Il suo volto socchiuso posava sul braccio
e guardava nell'erba. Nessuno fiatava.
Stagna ancora nell'aria quel primo sciacquío
che l'ha accolta nell'acqua. Su noi stagna il fumo.
Ora è giunta alla riva e ci parla, stillante
nel suo corpo annerito che sorge fra i tronchi.
La sua voce è ben l'unico suono che si ode sull'acqua
- rauca e fresca, è la voce di prima.
Pensiamo, distesi
sulla riva, a quel verde più cupo e più fresco
che ha sommerso il suo corpo. Poi, uno di noi
piomba in acqua e traversa, scoprendo le spalle
in bracciate schiumose, l'immobile verde.
Cesare Pavese
Lavorare stanca
Einaudi 1961
(a Tina)
I due uomini fumano a riva. La donna che nuota
senza rompere l'acqua, non vede che il verde
del suo breve orizzonte. Tra il cielo e le piante
si distende quest'acqua e la donna vi scorre
senza corpo. Nel cielo si posano nuvole
come immobili. Il fumo si ferma a mezz'aria.
Sotto il gelo dell'acqua c'è l'erba. La donna
vi trascorre sospesa; ma noi la schiacciamo,
l'erba verde, col corpo. Non c'è lungo le acque
altro peso. Noi soli sentiamo la terra.
Forse il corpo allungato de lei, che è sommerso,
sente l'avido gelo assorbirle il torpore
delle membra assolate e discioglierla viva
nell'immobile verde. Il suo capo non muove.
Era stesa anche lei, dove l'erba è piegata.
Il suo volto socchiuso posava sul braccio
e guardava nell'erba. Nessuno fiatava.
Stagna ancora nell'aria quel primo sciacquío
che l'ha accolta nell'acqua. Su noi stagna il fumo.
Ora è giunta alla riva e ci parla, stillante
nel suo corpo annerito che sorge fra i tronchi.
La sua voce è ben l'unico suono che si ode sull'acqua
- rauca e fresca, è la voce di prima.
Pensiamo, distesi
sulla riva, a quel verde più cupo e più fresco
che ha sommerso il suo corpo. Poi, uno di noi
piomba in acqua e traversa, scoprendo le spalle
in bracciate schiumose, l'immobile verde.
Cesare Pavese
Lavorare stanca
Einaudi 1961
venerdì 29 luglio 2016
Un'estate di voci
Paesaggio VIII
I ricordi cominciano nella sera
sotto il fiato del vento a levare il volto
e ascoltare la voce del fiume. L’acqua
è la stessa, nel buio, degli anni morti.
Nel silenzio del buio sale uno sciacquo
dove passano voci e risa remote;
s'accompagna al brusio un colore vano
che è di sole, di rive e di sguardi chiari.
Un'estate di voci. Ogni viso contiene
come un frutto maturo un sapore andato.
Ogni occhiata che torna, conserva un gusto
di erba e cose impregnate di sole a sera
sulla spiaggia. Conserva un fiato di mare.
Come un mattino notturno è quest'ombra vaga
di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora
e ogni sera ritorna. Le voci morte
assomigliano al frangersi di quel mare.
Cesare Pavese
Lavorare stanca
Einaudi 1961
I ricordi cominciano nella sera
sotto il fiato del vento a levare il volto
e ascoltare la voce del fiume. L’acqua
è la stessa, nel buio, degli anni morti.
Nel silenzio del buio sale uno sciacquo
dove passano voci e risa remote;
s'accompagna al brusio un colore vano
che è di sole, di rive e di sguardi chiari.
Un'estate di voci. Ogni viso contiene
come un frutto maturo un sapore andato.
Ogni occhiata che torna, conserva un gusto
di erba e cose impregnate di sole a sera
sulla spiaggia. Conserva un fiato di mare.
Come un mattino notturno è quest'ombra vaga
di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora
e ogni sera ritorna. Le voci morte
assomigliano al frangersi di quel mare.
Cesare Pavese
Lavorare stanca
Einaudi 1961
giovedì 28 luglio 2016
Ora il mio appello accende le luci della pioggia.
Lillà della pioggia
Piove, sorella: i ricordi
del cielo stillano il loro amaro.
Il lillà, solo davanti all'odore del tempo,
cerca grondante i due che avvinti
dalla finestre aperta guardavano il
giardino.
Ora il mio appello accende le luci della
pioggia.
La mia ombra cresce oltre la grata
e la mia anima è il fiotto d'acqua.
Ti affligge nel diluvio, oscura,
che io t'abbia rubato un dì il lillà
straniero?
Paul Celan
La sabbia delle urne
a cura di Dario Borso
Einaudi 2016
Regenflieder
Es regnet, Schwester: die Erinnerungen
des Himmels läutern ihre Bitterkeit.
Der Flieder, einsam vor dem Duft der
Zeit,
sucht triefend nach den beiden die
umschlungen
vom offnen Fenster in den Garten sahn.
Nun facht mein Ruf die Regenlichter an.
Mein Schatten wuchert höher als das
Gitter.
Und meine Seele ist der Wasserstrahl.
Gereut es dich. Du Dunkle, im Gewitter,
daß ich dir einst den fremden Flieder
stahl?
Piove, sorella: i ricordi
del cielo stillano il loro amaro.
Il lillà, solo davanti all'odore del tempo,
cerca grondante i due che avvinti
dalla finestre aperta guardavano il
giardino.
Ora il mio appello accende le luci della
pioggia.
La mia ombra cresce oltre la grata
e la mia anima è il fiotto d'acqua.
Ti affligge nel diluvio, oscura,
che io t'abbia rubato un dì il lillà
straniero?
Paul Celan
La sabbia delle urne
a cura di Dario Borso
Einaudi 2016
Regenflieder
Es regnet, Schwester: die Erinnerungen
des Himmels läutern ihre Bitterkeit.
Der Flieder, einsam vor dem Duft der
Zeit,
sucht triefend nach den beiden die
umschlungen
vom offnen Fenster in den Garten sahn.
Nun facht mein Ruf die Regenlichter an.
Mein Schatten wuchert höher als das
Gitter.
Und meine Seele ist der Wasserstrahl.
Gereut es dich. Du Dunkle, im Gewitter,
daß ich dir einst den fremden Flieder
stahl?
mercoledì 27 luglio 2016
e torna il vento nel carro di nuvole
Là oltre
Appena al di là dei castagni c’è il mondo.
Da lì giunge di notte un vento in carro di nuvole
e qualcuno si alza qui…
Vuole portar costui oltre i castagni:
«Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!
Appena al di là dei castagni c’è il mondo…»
Allora frinisco adagio come fanno i grilli,
allora lo trattengo, e deve rinunciare:
il mio richiamo gli blocca le giunture!
Il vento molte notti odo tornare:
«Da me sfavilla lontananza, da te è stretto…»
Allora frinisco adagio come fanno i grilli.
Ma se la notte neanche oggi si schiara
e torna il vento nel carro di nuvole:
«Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!»
e vuole portare lui oltre i castagni –
allora non lo trattengo, non lo trattengo qui…
Appena al di là dei castagni c’è il mondo.
—
Composta a Czernowitz nel 1941. A matita sotto il titolo: «Lied [Canto]».
Paul Celan
La sabbia delle urne
a cura di Dario Borso
Einaudi 2016
DRÜBEN
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt.
Von dort kommt nachts ein Wind im Wolkenwagen
und irgendwer steht auf dahier…
Den will er über die Kastanien tragen:
«Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir!
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt…»
Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun,
dann halt ich ihn, dann muß er sich verwehren:
ihm legt mein Ruf sich ums Gelenk!
Den Wind hör ich in vielen Nächten wiederkehren:
«Bei mir flammt Ferne, bei dir ist es eng…»
Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun.
Doch wenn die Nacht auch heut sich nicht erhellt
und wiederkommt der Wind im Wolkenwagen:
«Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir!»
Und will ihn über die Kastanien tragen –
dann halt, dann halt ich ihn nicht hier…
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt.
Appena al di là dei castagni c’è il mondo.
Da lì giunge di notte un vento in carro di nuvole
e qualcuno si alza qui…
Vuole portar costui oltre i castagni:
«Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!
Appena al di là dei castagni c’è il mondo…»
Allora frinisco adagio come fanno i grilli,
allora lo trattengo, e deve rinunciare:
il mio richiamo gli blocca le giunture!
Il vento molte notti odo tornare:
«Da me sfavilla lontananza, da te è stretto…»
Allora frinisco adagio come fanno i grilli.
Ma se la notte neanche oggi si schiara
e torna il vento nel carro di nuvole:
«Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!»
e vuole portare lui oltre i castagni –
allora non lo trattengo, non lo trattengo qui…
Appena al di là dei castagni c’è il mondo.
—
Composta a Czernowitz nel 1941. A matita sotto il titolo: «Lied [Canto]».
Paul Celan
La sabbia delle urne
a cura di Dario Borso
Einaudi 2016
DRÜBEN
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt.
Von dort kommt nachts ein Wind im Wolkenwagen
und irgendwer steht auf dahier…
Den will er über die Kastanien tragen:
«Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir!
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt…»
Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun,
dann halt ich ihn, dann muß er sich verwehren:
ihm legt mein Ruf sich ums Gelenk!
Den Wind hör ich in vielen Nächten wiederkehren:
«Bei mir flammt Ferne, bei dir ist es eng…»
Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun.
Doch wenn die Nacht auch heut sich nicht erhellt
und wiederkommt der Wind im Wolkenwagen:
«Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir!»
Und will ihn über die Kastanien tragen –
dann halt, dann halt ich ihn nicht hier…
Erst jenseits der Kastanien ist die Welt.
martedì 26 luglio 2016
Ci sono cose
Ci sono cose che volano —
uccelli - ore - calabroni:
di queste nessuna elegia.
Ci sono cose che restano —
dolore - monti - l'eterno:
nemmeno queste mi riguardano.
Ce ne sono che, ferme, sorgono.
Posso spiegare il cielo?
Quanto è immobile l'indovinello!
Emily Dickinson
51 Poesie
traduzione di Massimo Bacigalupo
Mondadori 1996
XIV
SOME things that fly there be,—
Birds, hours, the bumble-bee:
Of these no elegy.
Some things that stay there be,—
Grief, hills, eternity:
Nor this behooveth me.
There are, that resting, rise.
Can I expound the skies?
How still the riddle lies!
uccelli - ore - calabroni:
di queste nessuna elegia.
Ci sono cose che restano —
dolore - monti - l'eterno:
nemmeno queste mi riguardano.
Ce ne sono che, ferme, sorgono.
Posso spiegare il cielo?
Quanto è immobile l'indovinello!
Emily Dickinson
51 Poesie
traduzione di Massimo Bacigalupo
Mondadori 1996
XIV
SOME things that fly there be,—
Birds, hours, the bumble-bee:
Of these no elegy.
Some things that stay there be,—
Grief, hills, eternity:
Nor this behooveth me.
There are, that resting, rise.
Can I expound the skies?
How still the riddle lies!
lunedì 25 luglio 2016
Versi per fare vasto il mondo
Scrivere, dipingere, far musica, esigono soprattutto un grande amore. Poi un grande abbandono a se stessi. Avere la coscienza che la parola che dico è la parola mia, del mio mondo, della mia emozione, della mia espressività, e lo è in modo insostituibile. Perché se scrivo un verso è il mio verso; tant'è che posso riconoscere subito un verso di Leopardi, uno di Shakespeare: quella è la loro voce, è quel loro particolare modo di essere che sviluppa quella sonorità particolare, anche se poi ci sono ritmi e segni comuni a tutti noi.
Franco Loi
incipit dell'articolo pubblicato sul Domenicale del Sole 24 Ore il 6 settembre 2015
Franco Loi
incipit dell'articolo pubblicato sul Domenicale del Sole 24 Ore il 6 settembre 2015
domenica 24 luglio 2016
E tu vento del sud, alza le nuvole dagli alberi
Ride la gazza, nera sugli aranci
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l'erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l'ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d'orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l'airone s'avanza verso l'acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l'erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l'ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d'orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l'airone s'avanza verso l'acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
sabato 23 luglio 2016
lento tra il murmure d’ulivi saraceni
Strada di Agrigentum
Là dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui in
corsa lungo le pianure, vento che
macchia e rode l’arenaria e il cuore dei
telamoni lugubri, riversi sopra l’erba.
Anima antica, grigia di rancori, torni
a quel vento, annusi il delicato
muschio che riveste i giganti sospinti
giù dal cielo. Come sola allo spazio
che ti resta! E più t’accori s’odi
ancora il suono che s’allontana largo
verso il mare dove Espero già striscia
mattutino: il marranzano tristemente
vibra nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento tra il
murmure d’ulivi saraceni.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
Là dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui in
corsa lungo le pianure, vento che
macchia e rode l’arenaria e il cuore dei
telamoni lugubri, riversi sopra l’erba.
Anima antica, grigia di rancori, torni
a quel vento, annusi il delicato
muschio che riveste i giganti sospinti
giù dal cielo. Come sola allo spazio
che ti resta! E più t’accori s’odi
ancora il suono che s’allontana largo
verso il mare dove Espero già striscia
mattutino: il marranzano tristemente
vibra nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento tra il
murmure d’ulivi saraceni.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
venerdì 22 luglio 2016
Ma questa storia la scrivo in prima o in terza persona?
A.G. una delle domande più frequenti che mi fanno nei corsi di scrittura è: "Ma questa storia la scrivo in prima o in terza persona?" Sembra una questione legata al vicino e al lontano. Allo scoprirsi con la prima persona o al distanziarsi con la terza. I suoi romanzi spesso sono raccontati in prima persona. Perché la preferisce?
J.B. Il punto di vista è sempre stato un problema per i romanzieri. "Cosa importa chi parla?" chiedeva Beckett, ma è una domanda a cui davvero non è facile rispondere. Scrivo in prima persona perché mi sembra il modo più naturale. Quello che io posso vedere è la parte esteriore del mondo, ovviamente delle cose posso conoscere solo la superficie, persone comprese; d'altro canto, posso conoscere me stesso solo da ciò che avviene nella mia testa.
Alberto Garlini
dialogo con John Banville
in
L'arte di raccontare
Alberto Garlini - Caterina Bonvicini
Nottetempo 2015
J.B. Il punto di vista è sempre stato un problema per i romanzieri. "Cosa importa chi parla?" chiedeva Beckett, ma è una domanda a cui davvero non è facile rispondere. Scrivo in prima persona perché mi sembra il modo più naturale. Quello che io posso vedere è la parte esteriore del mondo, ovviamente delle cose posso conoscere solo la superficie, persone comprese; d'altro canto, posso conoscere me stesso solo da ciò che avviene nella mia testa.
Alberto Garlini
dialogo con John Banville
L'arte di raccontare
Alberto Garlini - Caterina Bonvicini
Nottetempo 2015
giovedì 21 luglio 2016
Leggere è immergersi in uno spazio di folgorante illuminazione
L’esperienza della lettura è un’immersione in uno spazio stretto, tangibile, fatto di emozioni, crescita e momenti di folgorante illuminazione – come quando riusciamo a vedere perfettamente le fotografie che la scrittrice ci descrive oppure quando certi eventi storici sembrano parlare a noi, o di noi. Uno spazio affogato in un volume più grande, sovrastante, fatto di eventi lontani dal nostro percorso che incombono luminosi sul nostro progredire.
Matteo Pericoli
in un bell'articolo dedicato al romanzo Gli anni di Annie Ernaux
La Stampa 26 giugno 2016
Matteo Pericoli
in un bell'articolo dedicato al romanzo Gli anni di Annie Ernaux
La Stampa 26 giugno 2016
mercoledì 20 luglio 2016
e noi fatti d'aria al mattino
Antico inverno
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.
Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera
Mondadori 1942
martedì 19 luglio 2016
La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole
Cos'è l'emozione in poesia e in letteratura?
"L'unico estremismo che mi è rimasto è quello della poesia. Tutto il resto mi pare una minestra tiepida. La poesia no. La poesia o dà un'emozione oppure non esiste".
C'è una definizione che la soddisfa?
"La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole. Vita che non appartiene più a un corpo né a un tempo o a un'epoca. Non è più legata a nulla. O dà questa emozione oppure è un giocare con le parole che tutti possono scrivere".
frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Sebastiano Vassalli
Repubblica domenica 14 settembre 2014
"L'unico estremismo che mi è rimasto è quello della poesia. Tutto il resto mi pare una minestra tiepida. La poesia no. La poesia o dà un'emozione oppure non esiste".
C'è una definizione che la soddisfa?
"La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole. Vita che non appartiene più a un corpo né a un tempo o a un'epoca. Non è più legata a nulla. O dà questa emozione oppure è un giocare con le parole che tutti possono scrivere".
frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Sebastiano Vassalli
Repubblica domenica 14 settembre 2014
lunedì 18 luglio 2016
Ma una luce tutta greca continua sottilmente ad avvolgere le cose
Siamo ad Alessandria, ma potrebbe trattarsi, d'altro canto, del Pireo, di Marsiglia, di Algeri, di Barcellona, di qualsiasi altra grande città mediterranea. A parte il colore del cielo, non siamo poi così lontani dalla Parigi di Utrillo; una camera fa pensare alle abitazioni di Van Gogh, alle loro sedie impagliate, ai loro vasi di porcellana gialla, ai loro muri luminosi e nudi. Ma una luce tutta greca continua sottilmente ad avvolgere le cose: leggerezza dell'aria, nitidezza del giorno, abbronzatura sulla pelle umana, salsedine incorruttibile che preserva anche da una totale dissoluzione i personaggi del Satyricon, il capolavoro greco in lingua latina.
Marguerite Yourcenar
Con beneficio d'inventario
traduzione di Fabrizio Ascari
traduzione di Fabrizio Ascari
Bompiani 1985
domenica 17 luglio 2016
I maestri di un poeta
Com'ero da giovane? Ero già postmoderno dopo le ubriacature della Neoavanguardia letteraria; straparlando di morti e rinascite. Ero postmoderno nel sesso visto come vuoto residuo di un'incarnazione passata; nel sapermi diverso-nondiverso in tutte le contaminazioni degli Eros e degli Stili. Questi vecchi versi racchiudono oltre al sapore della mia trascorsa giovinezza anche un modo di concepire la poesia assoluto e intrigante, certo vicino a Rimbaud e a Dylan Thomas, a Kavafis e a Pasolini: i miei maestri del tempo. Ora metterli insieme mi sembra rendere omaggio ad un me stesso che non c'è più, oltre che ai miei maestri: mi sembra di voler adorare il passato: questo passato inimitabile che è l'infanzia di un poeta e di una poesia.
Dario Bellezza
Colosseo
Pellicanolibri 1985
sabato 16 luglio 2016
Il paesaggio di un'altra lingua
... per me sarebbe inconcepibile scrivere in un’altra lingua, ad esempio in tedesco, l’unica in cui potrei farlo (ma solo, come mi è accaduto, per quel che riguarda testi critici o articoli, non testi letterari, di invenzione). Non si tratta soltanto di padronanza di un’altra lingua. Il mio modo di vedere, organizzare, sentire, rappresentare il mondo è legato inesorabilmente alla sintassi italiana. Ma il passaggio da una lingua all'altra, la scissione fra lingua madre e lingua dell’esilio, di cui ci sono tanti grandi esempi, mi hanno sempre affascinato...
frammento della conversazione di Claudio Magris con Manuel Poppo Lopes Cardoso sul Corriere della Sera
sabato 16 luglio 2016
frammento della conversazione di Claudio Magris con Manuel Poppo Lopes Cardoso sul Corriere della Sera
sabato 16 luglio 2016
venerdì 15 luglio 2016
Le notti di luglio
Luglio, notte
Perché il male si scomponga come il criceto sepolto in una
scatola di scarpe nella terra dell'orto.
Perché arrivi a me stanotte lo spavento destinato ad altri
La vedo, questa donna che per ore ha fissato il televisore
acceso e ora grida contro un altro corpo in penombra
immobile sulla poltrona senza colore.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999
Perché il male si scomponga come il criceto sepolto in una
scatola di scarpe nella terra dell'orto.
Perché arrivi a me stanotte lo spavento destinato ad altri
La vedo, questa donna che per ore ha fissato il televisore
acceso e ora grida contro un altro corpo in penombra
immobile sulla poltrona senza colore.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999
giovedì 14 luglio 2016
Ognuno di noi è una somma diminuita di infinite sottrazioni
Un uomo è i libri che ha letto, la pittura che ha visto, la musica ascoltata e dimenticata, le strade percorse. Un uomo è la sua infanzia, la sua famiglia, pochi amici, alcuni amori, parecchi fastidi. Un uomo è una somma diminuita da infinite sottrazioni.
Sergio Pitol
El arte de la fuga
(grazie a Doriano Fasoli)
Uno, me aventuro, es los libros que ha leído, la pintura que ha visto, la música escuchada y olvidada, las calles recorridas. Uno es su niñez, su familia, unos cuantos amigos, algunos amores, bastantes fastidios. Uno es una suma mermada por infinitas restas.
Sergio Pitol
El arte de la fuga
(grazie a Doriano Fasoli)
Uno, me aventuro, es los libros que ha leído, la pintura que ha visto, la música escuchada y olvidada, las calles recorridas. Uno es su niñez, su familia, unos cuantos amigos, algunos amores, bastantes fastidios. Uno es una suma mermada por infinitas restas.
mercoledì 13 luglio 2016
Ogni persona è un silenzio
Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è.
José Saramago
José Saramago
martedì 12 luglio 2016
Tremo sempre sull'orlo della poesia
I want to write poetry. I feel always trembling on the brink of poetry. The almonds, the birds, the little wood where you are, the flowers you do not see, the open window out of which I lean and dream that you are against my shoulder.
Voglio scrivere poesia. Tremo sempre sull'orlo della poesia. I mandorli, gli uccelli, il boschetto dove tu sei, i fiori che non puoi vedere, la finestra aperta alla quale m'affaccio e sogno che tu sia appoggiato alla mia spalla.
(Journal of Katherine Mansfield, definitive Edition by J. M. Murry, Constable, London 1954, p. 94.) Nello scritto, del 22 gennaio 1916, la Mansfield si rivolge al fratello da poco morto
(grazie a Federica Galetto che l'ha postata su Facebook)
Voglio scrivere poesia. Tremo sempre sull'orlo della poesia. I mandorli, gli uccelli, il boschetto dove tu sei, i fiori che non puoi vedere, la finestra aperta alla quale m'affaccio e sogno che tu sia appoggiato alla mia spalla.
(Journal of Katherine Mansfield, definitive Edition by J. M. Murry, Constable, London 1954, p. 94.) Nello scritto, del 22 gennaio 1916, la Mansfield si rivolge al fratello da poco morto
(grazie a Federica Galetto che l'ha postata su Facebook)
lunedì 11 luglio 2016
le punte delle tue dita ardono nella notte
Scrivo te -
Sei tornata nel mondo
con forza medianica di lettere
proteso a tentare il tuo essere
Luce risplende
e le punte delle tue dita ardono nella notte
Costellazione della nascita
fatta di buio come queste righe -
Nelly Sachs
Glühende Rätsel
Enigmi roventi
Ich schreibe dich -
Zur Welt bist du wieder gekommen
mit geisternder Buchstabenkraft
die hat getastet nach deinem Wesen
Licht scheint
und deine Fingerspitzen glühen in der Nacht
Sternbild bei der Geburt
aus Dunkelheit wie diese Zeilen -
Sei tornata nel mondo
con forza medianica di lettere
proteso a tentare il tuo essere
Luce risplende
e le punte delle tue dita ardono nella notte
Costellazione della nascita
fatta di buio come queste righe -
Nelly Sachs
Glühende Rätsel
Enigmi roventi
Ich schreibe dich -
Zur Welt bist du wieder gekommen
mit geisternder Buchstabenkraft
die hat getastet nach deinem Wesen
Licht scheint
und deine Fingerspitzen glühen in der Nacht
Sternbild bei der Geburt
aus Dunkelheit wie diese Zeilen -
domenica 10 luglio 2016
ma il mare non muta... il meraviglioso mare
come è meraviglioso il mare
inviato dalle mani di dio
a dormire sul mondo
e la terra inaridisce
la luna crolla
una a una
le stelle si polverizzano frullando
ma il mare
non muta
e procede dalle mani
e torna alle mani
ed è col sonno….
amore,
l'infrangersi
della tua
anima
sulle
mie labbra
e. e. cummings
Tulips & Chimneys
1922
as is the sea marvelous
from god’s
hands which sent her forth
to sleep upon the world
and the earth withers
the moon crumbles
one by one
stars flutter into dust
but the sea
does not change
and she goes forth out of hands and
she returns into hands
and is with sleep….
love,
the breaking
of your
soul
upon
my lips
inviato dalle mani di dio
a dormire sul mondo
e la terra inaridisce
la luna crolla
una a una
le stelle si polverizzano frullando
ma il mare
non muta
e procede dalle mani
e torna alle mani
ed è col sonno….
amore,
l'infrangersi
della tua
anima
sulle
mie labbra
e. e. cummings
Tulips & Chimneys
1922
as is the sea marvelous
from god’s
hands which sent her forth
to sleep upon the world
and the earth withers
the moon crumbles
one by one
stars flutter into dust
but the sea
does not change
and she goes forth out of hands and
she returns into hands
and is with sleep….
love,
the breaking
of your
soul
upon
my lips
sabato 9 luglio 2016
un azzurro come di mare ci colse in sussulto improvviso
Iris
Uno scoppio d’iris così
scesi per la
colazione
esplorammo tutte le
stanze in cerca
di
quel profumo dolcissimo e da
prima non riuscimmo a
scoprirne la
sorgente poi un azzurro come
di mare ci
colse
in sussulto improvviso di tra
gli squillanti
petali.
William Carlos Williams
A burst of Iris so that
come down for
breakfast
we searched through the
rooms for
that
sweetest odor and at
first could not
find its
source then a blue as
of the sea
struck
startling us from among
those trumpeting
petals
Uno scoppio d’iris così
scesi per la
colazione
esplorammo tutte le
stanze in cerca
di
quel profumo dolcissimo e da
prima non riuscimmo a
scoprirne la
sorgente poi un azzurro come
di mare ci
colse
in sussulto improvviso di tra
gli squillanti
petali.
William Carlos Williams
A burst of Iris so that
come down for
breakfast
we searched through the
rooms for
that
sweetest odor and at
first could not
find its
source then a blue as
of the sea
struck
startling us from among
those trumpeting
petals
venerdì 8 luglio 2016
Le cose che forse sono poesia: l'odore del gelsomino e della madreselva, il silenzio dell'uccello addormentato
Il Sur
Da uno dei tuoi cortili aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina dell'ombra aver guardato
quelle luci disperse
che la mia ignoranza non ha imparato a nominare
né a ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio dell'acqua
nella segreta cisterna,
l'odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzio dell'uccello addormentato,
l'arco dell'androne, l'umidità
- queste cose, forse, sono la poesia.
J. L. Borges
Poesie
Fervore di Buenos Aires
traduzione di Livio Bacchi Wilcock
Rizzoli 1980
Desde uno de tus patios haber mirado
las antiguas estrellas,
desde el banco de sombra haber mirado
esas luces dispersas
que mi ignorancia no ha aprendido a nombrar
ni a ordenar en constelaciones,
haber sentido el círculo del agua
en el secreto aljibe,
el olor del jazmin y la madreselva,
el silencio del pájaro dormido,
el arco del zanguán, la humedad
-esas cosas, acaso, son el poema.
Da uno dei tuoi cortili aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina dell'ombra aver guardato
quelle luci disperse
che la mia ignoranza non ha imparato a nominare
né a ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio dell'acqua
nella segreta cisterna,
l'odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzio dell'uccello addormentato,
l'arco dell'androne, l'umidità
- queste cose, forse, sono la poesia.
J. L. Borges
Poesie
Fervore di Buenos Aires
traduzione di Livio Bacchi Wilcock
Rizzoli 1980
Desde uno de tus patios haber mirado
las antiguas estrellas,
desde el banco de sombra haber mirado
esas luces dispersas
que mi ignorancia no ha aprendido a nombrar
ni a ordenar en constelaciones,
haber sentido el círculo del agua
en el secreto aljibe,
el olor del jazmin y la madreselva,
el silencio del pájaro dormido,
el arco del zanguán, la humedad
-esas cosas, acaso, son el poema.
giovedì 7 luglio 2016
L'endecasillabo è il DNA della lingua letteraria italiana
Quello che per un organismo vivente è il DNA, per la lingua letteraria italiana è l'endecasillabo: una matrice, uno schema generante, un'origine perpetua. Un mistero, volendo usare un vocabolario mistico che alluda alla coincidenza, alla collaborazione del fato e della possibilità. Confinare l'endecasillabo alla storia della metrica è un infelicissimo errore di prospettiva. L'endecasillabo non è né l'alessandrino dei francesi né l'odioso decasillabo nostrano. E non basta dire, come si faceva nei vecchi manuali, che con le sue quattro o cinque varianti fondamentali è la misura aurea, la più adeguata al suono della lingua e così via. Gli altri metri si lasciano definire puramente e semplicemente dall'esempio che se ne può fare. Esistono perché qualcuno li ha scritti, la pratica esaurisce ogni possibile teoria.
Emanuele Trevi
Sul'arte della prosa
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016
Emanuele Trevi
Sul'arte della prosa
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016
mercoledì 6 luglio 2016
Io il mare l'ho sempre immaginato come un cielo sereno visto dietro dell'acqua
Il mare
Alle volte penso che se avessi avuto il coraggio di salire fino in cima alla collina, non sarei poi scappato di casa. La notte di San Giovanni doveva esser passata da poco, perché già diverse volte ci eravamo messi per la strada del vallone e salivamo fino ai nocciòli a cercare il letto dei falò. Sapevamo che in cima ce n'erano di larghi come un prato. Ma un giorno Gosto si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito così in alto che di lassù vedeva il mare.
Noi il vallone ci portava dentro una vigna quasi piana, chiusa intorno dai càrpini. Che cosa facessimo là fino a sera, non so. Guardavamo le punte degli alberi. Io dicevo a Gosto che al mare non accendono falò, perché il mare è pianura, e disteso sull'erba mi annoiavo a guardare le nuvole. C'erano anche dei grilli in quella vigna, e avrei voluto essere uno di loro per restarci la notte e trovarmici al mattino con la prima luce quando il sole è ancora freddo. Il sole da noi spunta dietro le colline basse, dove il nonno di Gosto aveva visto da ragazzo il mare.
Che il mare fosse da quella parte, l'avevo detto io a Gosto. I giorni di temporale, era là che si apriva lo slargo e il sole tornava a battere come sopra un gran campo di fiori, mentre da noi sgocciolava ancora. Io il mare l'ho sempre immaginato come un cielo sereno visto dietro dell'acqua. Lo stradone che scende verso quelle colline non è una strada di campagna; porta fuori della valle, in una pianura che scende sempre, che ha degli alberi che sembrano giardini. Già alla svolta, dopo lo sbocco nel vallone, dopo il ponte di ferro, c'è la casetta della Piana che ha un balcone di gerani. Laggiù non ci sono più vigne né boschi né stalle; di carretti tirati dai buoi non ne salgono di là; salgono invece i biroccini a tutta corsa e comitive coi parasoli.
Cesare Pavese
Feria d'agosto
Einaudi 1946
Alle volte penso che se avessi avuto il coraggio di salire fino in cima alla collina, non sarei poi scappato di casa. La notte di San Giovanni doveva esser passata da poco, perché già diverse volte ci eravamo messi per la strada del vallone e salivamo fino ai nocciòli a cercare il letto dei falò. Sapevamo che in cima ce n'erano di larghi come un prato. Ma un giorno Gosto si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito così in alto che di lassù vedeva il mare.
Noi il vallone ci portava dentro una vigna quasi piana, chiusa intorno dai càrpini. Che cosa facessimo là fino a sera, non so. Guardavamo le punte degli alberi. Io dicevo a Gosto che al mare non accendono falò, perché il mare è pianura, e disteso sull'erba mi annoiavo a guardare le nuvole. C'erano anche dei grilli in quella vigna, e avrei voluto essere uno di loro per restarci la notte e trovarmici al mattino con la prima luce quando il sole è ancora freddo. Il sole da noi spunta dietro le colline basse, dove il nonno di Gosto aveva visto da ragazzo il mare.
Che il mare fosse da quella parte, l'avevo detto io a Gosto. I giorni di temporale, era là che si apriva lo slargo e il sole tornava a battere come sopra un gran campo di fiori, mentre da noi sgocciolava ancora. Io il mare l'ho sempre immaginato come un cielo sereno visto dietro dell'acqua. Lo stradone che scende verso quelle colline non è una strada di campagna; porta fuori della valle, in una pianura che scende sempre, che ha degli alberi che sembrano giardini. Già alla svolta, dopo lo sbocco nel vallone, dopo il ponte di ferro, c'è la casetta della Piana che ha un balcone di gerani. Laggiù non ci sono più vigne né boschi né stalle; di carretti tirati dai buoi non ne salgono di là; salgono invece i biroccini a tutta corsa e comitive coi parasoli.
Cesare Pavese
Feria d'agosto
Einaudi 1946
martedì 5 luglio 2016
scrivere significa anche attingere ai ricordi
Mi sono messa a scrivere davvero quando ho ritrovato la
memoria della mia infanzia e della mia adolescenza.
Quando ho smesso di pensare a me stessa come a un essere
nato da nessuno, senza origini sociali o geografiche,
il cui unico paese erano la letteratura e le cose intellettuali.
Prima non avevo memoria, avevo solo ricordi. Intendo dire che
ero attraversata da immagini slegate, fuggevoli, da luoghi e da volti, da
singole scene. Scrivere significava attingere a questo serbatoio di ricordi
per nutrire la trama di una storia inventata.
Annie Ernaux
incipit dell'articolo pubblicato su Repubblica oggi
Annie Ernaux
incipit dell'articolo pubblicato su Repubblica oggi
lunedì 4 luglio 2016
La pazienza e la fatica necessarie per scrivere un romanzo
Non ho mai pensato che nei romanzi la lingua dovesse essere il risciò di sua maestà la narrazione, ma in passato mi è capitato di credere il contrario. Con sempre maggior frequenza i giornalisti culturali esaltano i romanzi in cui la "neutralità" (oserei dire l'imparzialità) della lingua rende la narrazione agevole e non pesante, scorrevole e non ostica, neanche la letteratura fosse una branca dell'economia dove ottimizzare il noto risultasse più importante di perdersi nell'ignoto allo scopo di risalire dal pozzo stringendo in bocca uno strano oggetto (perfino brutto o mostruoso) che l'umanità vede per la prima volta.
Io, al contrario degli ottimizzatori, credo che la letteratura abbia semmai più a che fare con la fisica teorica e con la stregoneria, con le Scritture (di cui molto spesso è la parodia, come sapeva bene Philip Dick) e con gli orologi guasti le cui lancette ferme segnano (per eccesso di spreco e di idiozia) almeno una volta al giorno l'ora di Dio.
Scoprire una verità nascosta (risalire dal pozzo con quell'oggetto) è tra le più belle ricompense che si possono ottenere grazie alla pazienza e alla fatica così spesso necessarie per scrivere un romanzo. Magari l'oggetto è inservibile. Magari è trascurabile e non rappresenterà mai una delle architravi su cui si reggerà la civiltà di domani, ma solo un fregio. E però quell'oggetto ha per me lo stesso un valore inestimabile. Ho parlato di "oggetti" ma forse sarebbe più calzante l'ipotesi di specie viventi, perché questo in un certo senso sono i romanzi. Specie viventi che ne contengono mille altre.
Nicola Lagioia
La lingua
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016
Io, al contrario degli ottimizzatori, credo che la letteratura abbia semmai più a che fare con la fisica teorica e con la stregoneria, con le Scritture (di cui molto spesso è la parodia, come sapeva bene Philip Dick) e con gli orologi guasti le cui lancette ferme segnano (per eccesso di spreco e di idiozia) almeno una volta al giorno l'ora di Dio.
Scoprire una verità nascosta (risalire dal pozzo con quell'oggetto) è tra le più belle ricompense che si possono ottenere grazie alla pazienza e alla fatica così spesso necessarie per scrivere un romanzo. Magari l'oggetto è inservibile. Magari è trascurabile e non rappresenterà mai una delle architravi su cui si reggerà la civiltà di domani, ma solo un fregio. E però quell'oggetto ha per me lo stesso un valore inestimabile. Ho parlato di "oggetti" ma forse sarebbe più calzante l'ipotesi di specie viventi, perché questo in un certo senso sono i romanzi. Specie viventi che ne contengono mille altre.
Nicola Lagioia
La lingua
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016
domenica 3 luglio 2016
La rosa non è più solo la rosa, il suo nome non è solo il nome: fiore del segreto, rosa immaginaria
La poesia fonda la nostra relazione col mondo.
Perché, contemplando la rosa ad un certo momento, non è più la stessa rosa che vediamo, ma un altro fiore, il quale, pur conservando il suo nome di rosa, richiama la nostra attenzione in quanto fiore del segreto: segreto in fiore, rosa immaginaria, che lascia libero corso alla nostra immaginazione.
Edmond Jabès
Poesie per i giorni di pioggia e di sole
a cura di Chiara Agostini
Manni 2002
Perché, contemplando la rosa ad un certo momento, non è più la stessa rosa che vediamo, ma un altro fiore, il quale, pur conservando il suo nome di rosa, richiama la nostra attenzione in quanto fiore del segreto: segreto in fiore, rosa immaginaria, che lascia libero corso alla nostra immaginazione.
Edmond Jabès
Poesie per i giorni di pioggia e di sole
a cura di Chiara Agostini
Manni 2002
sabato 2 luglio 2016
oltre le nubi ritagliate nel cielo denso che si oscura
I gatti
I gatti dormono in giardino
accanto ai vasi di oleandro.
Cala il sole. Non c’è più vento.
Apro le tende del balcone.
Fumo. La luce orizzontale
rade la terra, scava impronte
di presenze già passate…
Amici, amici che non vedo,
ombre sospese in controluce
oltre le nubi ritagliate
nel cielo denso che si oscura –
in questo vuoto che ci attraversa
voi, voi almeno, vi siete salvati?
Danilo Bramati
Chiaro enigma del mondo
Moretti & Vitali 2016
I gatti dormono in giardino
accanto ai vasi di oleandro.
Cala il sole. Non c’è più vento.
Apro le tende del balcone.
Fumo. La luce orizzontale
rade la terra, scava impronte
di presenze già passate…
Amici, amici che non vedo,
ombre sospese in controluce
oltre le nubi ritagliate
nel cielo denso che si oscura –
in questo vuoto che ci attraversa
voi, voi almeno, vi siete salvati?
Danilo Bramati
Chiaro enigma del mondo
Moretti & Vitali 2016
venerdì 1 luglio 2016
Dev'essere un dolore intollerabile sentir cessare la felicità
Preghiera al caso
«Possa tutto mutare e non mutarci;
che i nostri cambiamenti siano identici,
le nostre morti simultanee».
Dev'essere un dolore intollerabile
sentir cessare la felicità.
J. Rodolfo Wilcock
Poesie
Adelphi 1980
«Possa tutto mutare e non mutarci;
che i nostri cambiamenti siano identici,
le nostre morti simultanee».
Dev'essere un dolore intollerabile
sentir cessare la felicità.
J. Rodolfo Wilcock
Poesie
Adelphi 1980