Per uno scrittore, scoprire l’opera che scriverà è un miracolo e al tempo stesso una ferita, è il miracolo della ferita.
Edmond Jabès
citato da Rob Brezsny nell'oroscopo 2014 del Cancro
su Internazionale
Elena Petrassi: Una città è un sogno di cemento e pietra sognato da centinaia di anni: io sono il sogno. Milano parla, io racconto Milano e il mondo visto e immaginato da questo sogno. Raccolgo frammenti dal mondo e dai libri e li trascrivo.
martedì 31 dicembre 2013
lunedì 30 dicembre 2013
Se la letteratura è il grano di una terra
Non solo il poeta dischiude immagini, distilla significati; il poeta apre gli occhi del lettore su visioni di luce strappate sull'orlo buio della voragine...
frammento della recensione di Nadia Fusini "Se la letteratura è il grano di una terra" al nuovo libro di
Antonio Spadaro
Nelle vene dell'America.
Da Walth Whitman a Jack Kerouac
Jaca Book 2013
domenica 29 dicembre 2013
Forse il mondo esiste per essere perduto
Quando la sera scende sul volto di Julian Barnes e il buio s'
impadronisce dello studio, verrebbe voglia di non lasciarlo solo. Ha deciso di
non accendere la luce e i contorni delle cose si perdono nella sua casa così
tipicamente inglese con la facciata dai mattoni rossi. Il buio si prende il
giardino interno e la scala centrale, di legno, che porta al secondo piano.
Continuerà a parlare nella penombra dell' arma che usa contro la solitudine: il
lucido esercizio della ragione, che però non mitiga il senso di angoscia e di
disperazione. Einaudi ha appena pubblicato il suo memoir, Livelli di vita, in
cui analizza il processo dell' elaborazione del lutto dopo la morte della
moglie Pat Kavanagh, avvenuta nel 2008. Racconta della complicità che sorge con
altri dolenti, di aver continuato a parlare con lei tenendo in vita il loro
linguaggio comune, dell' idea del suicidio che s' è affacciata «prestissimo, e
molto razionalmente». Confessa di piangerla senza vergognarsi e di averla
sognata per anni pur fallendo quando voleva evocarla volontariamente. L' ha
amata così tanto da sostenere che è la vita ad aver perso con la sua morte, e
cercando un disegno ripete: «È solo l' universo che fa il suo mestiere». Anche
nel suo penultimo libro, Il senso di una fine, vincitore del Man Booker Prize
nel 2011, Barnes ricostruiva l' insignificanza della vita umana attraverso i
personaggi che continuamente si interrogano senza trovare una spiegazione. E
falliscono miseramente perché non riescono a darsi un' educazione sentimentale,
come la definiva il suo amato Flaubert. Prima di affrontare il lutto, Barnes
compie in Livelli di vita un lungo giro che comprende brandelli della storia
del volo o della fotografia, emblemi del prodigio e della verità che formano la
chimica dell' amore:
« Sentivo la necessità di inserire il lutto in una sorta di impalcatura, altrimenti - spiega - sarebbe solo un grido di dolore».
Ha scritto questo libro come se stesse mettendo in pratica una forma di terapia?
«Nei primi tempi, dopo che venne diagnosticato il tumore a mia moglie, tenevo un diario; scrivevo ogni giorno, annotando tutto ciò che succedeva perché temevo di dimenticare. È stato, questo sì, molto terapeutico. Sentivo che dovevo descrivere la sua malattia il più accuratamente possibile: era il mio compito come essere umano oltre che come scrittore. Quando iniziai Livelli di vita erano passati tre o quattro anni, lo scopo era un altro. E non ha cambiato il livello del mio dolore». Che cos' è il dolore? «L' immagine negativa dell' amore. Il dolore ha bisogno della condivisione, mette alla prova le amicizie, rende egoisti, indebolisce più che rafforzare. A volte a lui ci affezioniamo. E. M. Forster dice che "una morte può anche trovare una spiegazione, ma non getterà mai luce su un' altra"; succede anche al dolore, che non spiega un altro dolore».
(...)
Lei usa un termine preciso: Sehnsucht. Che cosa significa?
«È una parola del pensiero romantico tedesco che non ha equivalenti in inglesee che descrive il tipo di solitudine che ho conosciuto dopo essere stato privato della persona che amavo. Significa "struggimento", avere un inconsolabile desiderio per qualcosa o qualcuno che non si può raggiungere».
Come il mito di Orfeoe della sua Euridice?
«È un esempio del rapporto che abbiamo con l' abisso. Orfeo scende nell' oltretomba per riprendersi la moglie morta. Oggi le nostre possibilità di andare in profondità sono minori di una volta: per riportare alla luce possiamo solo scendere dentro i nostri sogni. O nella memoria. Quella metafora ci ha abbandonati. Si può perdere tutto per uno sguardo come fa Orfeo? Forse il mondo esiste per questo, per essere perduto».
frammenti dell'intervista (Repubblica 4 ottobre 2013)
di Sebastiano Triulzi a
Julian Barnes in occasione della pubblicazione del nuovo libro
Livelli di vita
traduzione di Susanna Basso
Einaudi 2013
« Sentivo la necessità di inserire il lutto in una sorta di impalcatura, altrimenti - spiega - sarebbe solo un grido di dolore».
Ha scritto questo libro come se stesse mettendo in pratica una forma di terapia?
«Nei primi tempi, dopo che venne diagnosticato il tumore a mia moglie, tenevo un diario; scrivevo ogni giorno, annotando tutto ciò che succedeva perché temevo di dimenticare. È stato, questo sì, molto terapeutico. Sentivo che dovevo descrivere la sua malattia il più accuratamente possibile: era il mio compito come essere umano oltre che come scrittore. Quando iniziai Livelli di vita erano passati tre o quattro anni, lo scopo era un altro. E non ha cambiato il livello del mio dolore». Che cos' è il dolore? «L' immagine negativa dell' amore. Il dolore ha bisogno della condivisione, mette alla prova le amicizie, rende egoisti, indebolisce più che rafforzare. A volte a lui ci affezioniamo. E. M. Forster dice che "una morte può anche trovare una spiegazione, ma non getterà mai luce su un' altra"; succede anche al dolore, che non spiega un altro dolore».
(...)
Lei usa un termine preciso: Sehnsucht. Che cosa significa?
«È una parola del pensiero romantico tedesco che non ha equivalenti in inglesee che descrive il tipo di solitudine che ho conosciuto dopo essere stato privato della persona che amavo. Significa "struggimento", avere un inconsolabile desiderio per qualcosa o qualcuno che non si può raggiungere».
Come il mito di Orfeoe della sua Euridice?
«È un esempio del rapporto che abbiamo con l' abisso. Orfeo scende nell' oltretomba per riprendersi la moglie morta. Oggi le nostre possibilità di andare in profondità sono minori di una volta: per riportare alla luce possiamo solo scendere dentro i nostri sogni. O nella memoria. Quella metafora ci ha abbandonati. Si può perdere tutto per uno sguardo come fa Orfeo? Forse il mondo esiste per questo, per essere perduto».
frammenti dell'intervista (Repubblica 4 ottobre 2013)
di Sebastiano Triulzi a
Julian Barnes in occasione della pubblicazione del nuovo libro
Livelli di vita
traduzione di Susanna Basso
Einaudi 2013
sabato 28 dicembre 2013
Bisogna avere una mente di inverno
Il pupazzo di neve
Bisogna avere una mente di inverno
Per ammirare il gelo e i rami
Dei pini incrostati di neve;
Per ammirare il gelo e i rami
Dei pini incrostati di neve;
E aver avuto freddo a lungo
Per osservare i ginepri arruffati di ghiaccio,
Gli abeti ispidi al luccichio distante
Per osservare i ginepri arruffati di ghiaccio,
Gli abeti ispidi al luccichio distante
Del sole in gennaio; e non trovare
Sofferente il suono del vento,
Il suono di poche foglie,
Sofferente il suono del vento,
Il suono di poche foglie,
Che è il suono della terra
Piena dello stesso vento
Che sta soffiando sullo stesso posto spoglio
Piena dello stesso vento
Che sta soffiando sullo stesso posto spoglio
Per chi ascolta, chi ascolta nella neve,
E, lui stesso niente, non osserva
Niente che non ci sia e osserva il niente che c’è.
E, lui stesso niente, non osserva
Niente che non ci sia e osserva il niente che c’è.
Wallace Stevens
*
THE SNOW MAN
One must have a mind of winter
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;
And have been cold a long time
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter
Of the January sun; and not to think
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,
Which is the sound of the land
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place
For the listener, who listens in the snow,
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.
venerdì 27 dicembre 2013
L'immaginazione folle e senza casa
Nelle città straniere
A Zbigniew Herbert
Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta,
la fredda felicità di un nuovo sguardo.
Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole
si arrampica come un agile ragno, esistono
ma non per me. Non per me furono costruiti
il municipio, il porto, il tribunale, la prigione.
Il mare scorre per la città con una marea
salata e allaga le verande e le cantine.
Al mercato i prismi delle mele, piramidi
che svettano per l’eternità di un pomeriggio.
E pure la sofferenza non è poi così
mia: il matto locale farfuglia
in una lingua straniera, e la disperazione
di una ragazza sola in un caffè è come
il frammento di una tela in un cupo museo.
Le grandi bandiere degli alberi si agitano
al vento così come nei luoghi
a noi noti, e lo stesso piombo fu cucito
negli orli di lenzuola, di sogni,
dell’immaginazione folle e senza casa
Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti
poesie 1983-2005
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012
A Zbigniew Herbert
Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta,
la fredda felicità di un nuovo sguardo.
Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole
si arrampica come un agile ragno, esistono
ma non per me. Non per me furono costruiti
il municipio, il porto, il tribunale, la prigione.
Il mare scorre per la città con una marea
salata e allaga le verande e le cantine.
Al mercato i prismi delle mele, piramidi
che svettano per l’eternità di un pomeriggio.
E pure la sofferenza non è poi così
mia: il matto locale farfuglia
in una lingua straniera, e la disperazione
di una ragazza sola in un caffè è come
il frammento di una tela in un cupo museo.
Le grandi bandiere degli alberi si agitano
al vento così come nei luoghi
a noi noti, e lo stesso piombo fu cucito
negli orli di lenzuola, di sogni,
dell’immaginazione folle e senza casa
Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti
poesie 1983-2005
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012
giovedì 26 dicembre 2013
Poesia con natura morta e quadro di interni olandese
Le poesie di Seamus Heaney posseggono una straordinaria intimità con la
terra e il mondo rurale irlandese. La stessa lingua inglese che lui usa è
plasmata e pensata dal paesaggio, in una connessione tra il sé, la storia
insanguinata dell' Ulster e la cultura classica che gli fa da guida.
«Ho bisogno di qualcosa che susciti o risvegli un ricordo per l'ispirazione - confessa Heaney, ospite a Roma dell' American Academy - ma la mia scorta di immagini dell' infanzia si discosta molto dalla mia vita da adulto».
(...)
Pensa di essere cresciuto in una Arcadia?
«Sì. Ho trascorso l' infanzia in un fattoria, durante gli anni Quaranta, in una parte del paese che si muoveva a ritmo lento. Il materiale delle mie poesie proviene dalla memoria di quel locus amoenus. Come conciliarlo col resto
dell' esperienza è stato il mio rovello principale. Oggi posso dire che parte della mia poesia è un tipo di natura morta, o un quadro di interni olandese».
(...)
frammenti dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Seamus Heaney
Repubblica 23 maggio 2013
«Ho bisogno di qualcosa che susciti o risvegli un ricordo per l'ispirazione - confessa Heaney, ospite a Roma dell' American Academy - ma la mia scorta di immagini dell' infanzia si discosta molto dalla mia vita da adulto».
(...)
Pensa di essere cresciuto in una Arcadia?
«Sì. Ho trascorso l' infanzia in un fattoria, durante gli anni Quaranta, in una parte del paese che si muoveva a ritmo lento. Il materiale delle mie poesie proviene dalla memoria di quel locus amoenus. Come conciliarlo col resto
dell' esperienza è stato il mio rovello principale. Oggi posso dire che parte della mia poesia è un tipo di natura morta, o un quadro di interni olandese».
(...)
In realtà è
come se lei scrivesse da sempre della guerra, solo che è una guerra diversa.
«Sì, lo so. È ciò di cui parla Milosz in The World, in cui le immagini
idilliche e ironiche sono usate per andare contro ciò che sta accadendo
altrove. Diceva che l' occupazione nazista di Varsavia, la distruzione del
ghetto, la ribellione dei polacchi erano come un grido prolungato e la poesia
non riusciva a gridare così. In un famoso verso si chiede: "Che cos' è la
poesia che non salva i popoli né le persone?". Rispondo citando Brodsky:
"L' unica cosa che l'arte ci insegna è che la condizione umana è
privata". Ma ogni teoria, suppongo, è
un' autobiografia».
Repubblica 23 maggio 2013
mercoledì 25 dicembre 2013
Fa freddo, la neve è alta
Povero nord
Fa freddo, la neve è alta,
il vento sbatte nella sua gabbia di piante,
le nuvole paiono stracci sozzi e laceri per l’uso,
e gli storni becchettano il ghiaccio.
È il nord, povero nord. Niente va bene.
il vento sbatte nella sua gabbia di piante,
le nuvole paiono stracci sozzi e laceri per l’uso,
e gli storni becchettano il ghiaccio.
È il nord, povero nord. Niente va bene.
Il capofamiglia è andato al lavoro,
vende sedie e sofà in un negozio che sta per fallire.
La moglie sta a casa e fissa dalla finestra le piante,
cerca di ricordare la vita che ha perso, anche se non era un granché.
Fiori bianchi di brina sbocciano sul vetro.
vende sedie e sofà in un negozio che sta per fallire.
La moglie sta a casa e fissa dalla finestra le piante,
cerca di ricordare la vita che ha perso, anche se non era un granché.
Fiori bianchi di brina sbocciano sul vetro.
È quasi sera. Anatre e oche canadesi dormono
sulle acque della baia di Saint Margaret.
Marito e moglie passeggiano: guardate come si piegano
controvento; alzano il bavero
e i minuscoli sbuffi del loro respiro volano via.
sulle acque della baia di Saint Margaret.
Marito e moglie passeggiano: guardate come si piegano
controvento; alzano il bavero
e i minuscoli sbuffi del loro respiro volano via.
Mark Strand
Il futuro non è più quello di una volta
a cura di D. Abeni
Minimum fax 2006
martedì 24 dicembre 2013
Il fiore rosso che ha solcato l'estate
La colpa dell’ape
Il miele pagherà la colpa
dell’ape senza peso, l’indecisa
prona sul nettare, proprio
quella che giocava contro
il cielo seguendo la corte
del vento. È del suo
fiore che non sapremo
l’aroma, quell’unico fiore
mancherà all’appello nella
gola, il fiore rosso che
ha solcato l’estate ed è
rimasto nel tuo sguardo
dove ogni inverno lo andrò
a cercare.
Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali 2007
Il miele pagherà la colpa
dell’ape senza peso, l’indecisa
prona sul nettare, proprio
quella che giocava contro
il cielo seguendo la corte
del vento. È del suo
fiore che non sapremo
l’aroma, quell’unico fiore
mancherà all’appello nella
gola, il fiore rosso che
ha solcato l’estate ed è
rimasto nel tuo sguardo
dove ogni inverno lo andrò
a cercare.
Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali 2007
lunedì 23 dicembre 2013
Una notte d’inverno
La tempesta poggia la sua bocca alla casa
e soffia per emettere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tempesta assopita.
Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio
e il temporale mugola per lui.
Entrambi amano le lampade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio.
La tempesta ha mani infantili e ali.
La carovana si lancia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costellazione di chiodi
che tiene insieme le pareti.
La notte è immobile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
riposano come foglie affondate in uno stagno)
ma fuori infuria la notte!
Sul mondo passa una piú grave tempesta.
Poggia la sua bocca alla nostra anima
e soffia per emettere un suono – temiamo
che la tempesta soffiando ci svuoti.
Tomas Tranströmer
Poesia dal silenzio
a cura di Maria Cristina Lombardi
Crocetti Editore 2001, 2008, 2011
e soffia per emettere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tempesta assopita.
Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio
e il temporale mugola per lui.
Entrambi amano le lampade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio.
La tempesta ha mani infantili e ali.
La carovana si lancia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costellazione di chiodi
che tiene insieme le pareti.
La notte è immobile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
riposano come foglie affondate in uno stagno)
ma fuori infuria la notte!
Sul mondo passa una piú grave tempesta.
Poggia la sua bocca alla nostra anima
e soffia per emettere un suono – temiamo
che la tempesta soffiando ci svuoti.
Tomas Tranströmer
Poesia dal silenzio
a cura di Maria Cristina Lombardi
Crocetti Editore 2001, 2008, 2011
domenica 22 dicembre 2013
Apri il baule, vedrai è colmo di neve
De natura rerum
Lucrezio lo sapeva:
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
e a volte due fiocchi
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
Di dove quel chiarore
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
Di queste due ombre
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?
Lucrèce le savait:
Ouvre le coffre,
Tu verras, il est plein de neige
Qui tourbillonne.
Ouvre le coffre,
Tu verras, il est plein de neige
Qui tourbillonne.
Et parfois
deux flocons
Se rencontrent, s’unissent,
Ou bien l’un se détourne, gracieusement
Dans son peu de mort.
Se rencontrent, s’unissent,
Ou bien l’un se détourne, gracieusement
Dans son peu de mort.
D’où vient
qu’il fasse clair
Dans quelques mots
Quand l’un n’est que la nuit,
L’autre, qu’un rêve?
Dans quelques mots
Quand l’un n’est que la nuit,
L’autre, qu’un rêve?
D’où
viennent ces deux ombres
Qui vont, riant,
Et l’une emmitouflée
D’une laine rouge?
Qui vont, riant,
Et l’une emmitouflée
D’une laine rouge?
Yves Bonnefoy
Quel che fu senza luce. Inizio
e fine della neve
Einaudi 2001
sabato 21 dicembre 2013
Buio e profondo è il bosco, ma io ho promesse da non tradire
Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve
Di chi sia il bosco credo di sapere.
Ma la sua casa è in paese: così
Egli non vede che mi fermo qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.
Troverà strano il mio cavallino
Fermarsi senza una casa vicino
Tra il bosco e il lago gelato
La sera più buia dell’anno.
Dà una scrollata al suo sonaglio
Per domandare se c’è uno sbaglio:
Il solo altro suono è il fruscìo
Del vento lieve, dei soffici fiocchi.
Bello è il bosco, buio e profondo,
Ma io ho promesse da non tradire,
Miglia da fare prima di dormire,
Miglia da fare prima di dormire.
Robert Frost
Conoscenza della notte e altre poesie
traduzione italiana di Giovanni Giudici
Oscar Mondadori 1988
Stopping By Woods on a Snowy Evening
Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.
My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.
He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.
The woods are lovely, dark and deep.
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.
Di chi sia il bosco credo di sapere.
Ma la sua casa è in paese: così
Egli non vede che mi fermo qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.
Troverà strano il mio cavallino
Fermarsi senza una casa vicino
Tra il bosco e il lago gelato
La sera più buia dell’anno.
Dà una scrollata al suo sonaglio
Per domandare se c’è uno sbaglio:
Il solo altro suono è il fruscìo
Del vento lieve, dei soffici fiocchi.
Bello è il bosco, buio e profondo,
Ma io ho promesse da non tradire,
Miglia da fare prima di dormire,
Miglia da fare prima di dormire.
Robert Frost
Conoscenza della notte e altre poesie
traduzione italiana di Giovanni Giudici
Oscar Mondadori 1988
Stopping By Woods on a Snowy Evening
Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.
My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.
He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.
The woods are lovely, dark and deep.
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.
venerdì 20 dicembre 2013
Le cose che nomino in poesia
Musica
Non sono nobili le cose che nomino in poesia:
stanno sotto il palato, attente, coscienti solo del caldo
ignare della lingua.
Se ascoltano, sentono il moto, l’onda di un’eco
che porta rosse lettere, destini, e un turbine di voci
smarrite - come sempre - in ciò che è cupo e cavo.
Dunque di nuovo dico: alberi – anzi – platani
attirati dall’acqua e sostenuti ai bordi dalle pietre.
Questo sì è difficile: cantarne piano il miracolo
quel peso nella luce, quell’ombra
che s’incrocia col tempo e divampa sull'odore del prato.
Tutto è corpo che l’anima raggiunge con ritardo
ma sfolgora l’autunno in un cantuccio e la parola si forma
con il ritmo che deve: a grumi, a vuoti
a scatti, dentro i secoli.
E non è la musica che dici, ma un rombo di stoviglie, di grandine che batte contro i muri.
Antonella Anedda
Il catalogo della gioia
Donzelli 2003
Non sono nobili le cose che nomino in poesia:
stanno sotto il palato, attente, coscienti solo del caldo
ignare della lingua.
Se ascoltano, sentono il moto, l’onda di un’eco
che porta rosse lettere, destini, e un turbine di voci
smarrite - come sempre - in ciò che è cupo e cavo.
Dunque di nuovo dico: alberi – anzi – platani
attirati dall’acqua e sostenuti ai bordi dalle pietre.
Questo sì è difficile: cantarne piano il miracolo
quel peso nella luce, quell’ombra
che s’incrocia col tempo e divampa sull'odore del prato.
Tutto è corpo che l’anima raggiunge con ritardo
ma sfolgora l’autunno in un cantuccio e la parola si forma
con il ritmo che deve: a grumi, a vuoti
a scatti, dentro i secoli.
E non è la musica che dici, ma un rombo di stoviglie, di grandine che batte contro i muri.
Antonella Anedda
Il catalogo della gioia
Donzelli 2003
giovedì 19 dicembre 2013
Toccavamo il cielo, in un rivoltarci continuo tra le onde e la corrente, nella pioggia di stelle
Robertino (1953-2003)
Veniva con noi in spiaggia, o meglio ci raggiungeva a notte fonda, chiudendo la cosiddetta discoteca.
Aveva qualche anno più di noi, cioè di me e Marco. Come tutti i giovani, ci nascondevamo dalla milicia. Non parlava quasi mai di politica, ma di diritti civili. Non parlava del Cile, sua terra natia, non poteva, e non appariva nostalgico, aveva interesse per la vita, la sua e quella di tutti i popoli e il suo era un sorriso sempre disponibile, e tutto ciò che parlava spagnolo era abitato solo da giovani.
Con i baschi spesso uscivamo a bere melocotones, ovvero pesche immerse nella grappa, bruciate nei loro pentolini di latta, e, distesi con le braccia sotto la nuca, sognavamo di costruire il futuro, che non era proprio il nostro, ma quello di tutti i giovani. Eravamo noi l'unico popolo, tra il mare e il sole. I quattro colpi alla porta del destino dello Straniero, l'attesa di Roquentin, il valore chiassoso di Fuentes, il labirinto portegno.
Eravamo a Castelldefels, a una ventina di chilometri da Barcellona, un camping per il popolo, Estrella de mar, e sapevamo come sopravvivere a noi stessi. La letteratura era la via d'uscita. Per ore parlavo di Azorìn con Roberto che sempre giocava con il mio nome: Darìo, diceva, come il poeta Rubén Darìo. E per ore parlavamo di Ernesto Sabato, del Tunnel e di Sobre heroes y tumbas e, soprattutto, dell'ultimo, Abàdon el exterminadòr... la Terra sembrava tramutarsi nel rosso del sole al mattino, in un'alba senza tregua.
Qualcuno, attraversando la carrettera nacionàl, lasciava la vita per raggiungere il mare, non so come ma tutti noi interpretavamo questo come un'eredità di Franco.
Nell'oltre, nel mediterraneo a perdifiato, col sole calante, sapevamo che Roberto si era allora svegliato e organizzava la serata per qualche famiglia catalana. Girava sempre il disco La fiesta di Raffaella Carrà che, come Colombo, i catalani consideravano una loro connazionale. Nel suo mestiere del tempo era costretto a mettere i dischi per il ballo.
Poi nella notte veniva il mare e là toccavamo il cielo, in un rivoltarci continuo tra le onde e la corrente, nella pioggia di stelle.
Roberto non amava giocare al calcio, ma quando ci battemmo in Espana-Resto del mondo, portò la risata che ci permise di sconfiggere gli avversari, distraendoli.
Era l'estate del 1977.
lo scrittore Dario Arkel
ha scritto apposta per questo blog un ricordo di
ha scritto apposta per questo blog un ricordo di
Roberto Bolaño
mercoledì 18 dicembre 2013
Scrivere è rendere le parole capaci di reggere il peso di quello che devono comunicare
La scrittura di Strout è spesso definita dalla critica “classica”, per quanto questa parola sia da maneggiare con cura.
“Che dire, lo spero, mi ci ritrovo: se, come mi auguro, si intende con questo il fatto di riuscire a donare alle parole la gravitas che meritano. Riuscire a rendere le parole capaci di reggere il peso di quello che devono comunicare”.
frammenti dell'intervista di Liborio Conca a Elizabeth Strout,
pubblicata sul Mucchio e ripresa da Minima&Moralia il 16 dicembre 2013
“Che dire, lo spero, mi ci ritrovo: se, come mi auguro, si intende con questo il fatto di riuscire a donare alle parole la gravitas che meritano. Riuscire a rendere le parole capaci di reggere il peso di quello che devono comunicare”.
frammenti dell'intervista di Liborio Conca a Elizabeth Strout,
pubblicata sul Mucchio e ripresa da Minima&Moralia il 16 dicembre 2013
martedì 17 dicembre 2013
I contorni di quel che è reale
I contorni del reale
Siamo entrati all’improvviso nella nebbia
inghiottiti dalla luce lattiginosa
i contorni di quel che è reale
sono apparse le forme in volute di
alberi spaiati, tralicci impauriti e
case ferme sul limine della notte
più scura. Altre sagome sono sfilate
tra gli occhi onesti dei viaggiatori,
erano campi arati resi muti dall’inverno
e alberi che sapevano il tempo solo
dal pizzicore sui rami. Tu dormivi tra
il finestrino e il sedile mentre
i tuoi sogni sciamavano tra i filari
di alba e nebbia che tutto racchiudevano.
Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali2007
per Maddalena S.
Siamo entrati all’improvviso nella nebbia
inghiottiti dalla luce lattiginosa
i contorni di quel che è reale
sono apparse le forme in volute di
alberi spaiati, tralicci impauriti e
case ferme sul limine della notte
più scura. Altre sagome sono sfilate
tra gli occhi onesti dei viaggiatori,
erano campi arati resi muti dall’inverno
e alberi che sapevano il tempo solo
dal pizzicore sui rami. Tu dormivi tra
il finestrino e il sedile mentre
i tuoi sogni sciamavano tra i filari
di alba e nebbia che tutto racchiudevano.
Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali2007
lunedì 16 dicembre 2013
Il silenzio, che tutto sa
Nella stagione fredda
Eccoti, non ultima mattina
figlia della stagione fredda,
porti nei tuoi interstizi
i fantasmi delle foglie smarrite
la promessa di quelle germinate.
Nella tua luce, la sua ombra
si placa un poco, e aspetta
sotto la finestra che uno sguardo
le riporti nel movimento
meccanismo e sfida
del silenzio, che tutto sa.
Elena Petrassi
Il calvario della rosa
Moretti&Vitali 2004
domenica 15 dicembre 2013
Ascoltare la lana filata nei telai
Sui confini
È non sapere questo non
sapere, spargere il sale
sui confini, ascoltare la lana
filata nei telai, un brivido e
poche soluzioni per il vino
chiaro nei bicchieri. È sfogliare
la tua esitazione tra le orme
delle rive estinte. Così l’inverno
varca del tempo le onde e
noi restiamo, incerti tra
la soglia e la luce, mentre
la donna di sabbia ci guarda
e guarda ancora.
Elena Petrassi
Il calvario della rosa
Moretti&Vitali 2004
sabato 14 dicembre 2013
Il senso dello scrivere
Io credo soltanto nella parola.
La parola ferisce, la parola
convince, la parola placa.
Questo, per me, è il senso dello scrivere.
Ennio Flaiano
venerdì 13 dicembre 2013
Un romanzo è uno specchio lungo il cammino
Si è detto che I detective selvaggi potrebbe essere letto come un insieme di racconti autonomi. Di fatto, proprio da lì è nato un nuovo racconto indipendente: Amuleto. Il tua sarebbe, pertanto, "il genere di romanzo che Borges avrebbe accettato di scrivere". Che ne pensi?
"È molto generoso da parte di Ignacio Echevarría, che fu colui che fece il commento. Per me Borges è senza dubbio il più grande scrittore di lingua spagnola del XX secolo, lo scrittore completo. Un gran poeta, un gran prosatore, un grande saggista, è perfetto. Borges è un mostro sacro. Borges è Borges. Voglio però puntualizzare che I detective selvaggi non è un insieme di storie: è un romanzo, ed è un romanzo con una struttura difficilissima e un'unità tremenda. Che da lì scaturisca una storia, non ha nulla a che vedere con l'unità del romanzo. Un romanzo, come dice Stendhal, è uno specchio lungo il cammino, sono storie che passano lungo questa passeggiata per il sentiero.
Alla ricerca del tempo perduto non è altro che una successione di piccole storie. Tuttavia, Alla ricerca del tempo perduto è un romanzo con una solida struttura. Ogni cambiamento, dal momento in cui metti il punto e a capo in un romanzo, in un modo o nell'altro ti pone di fronte a una nuova storia. È come il flusso e il riflusso del mare. Ogni volta che c'è un punto a capo, la storia deve prendere un nuovo respiro. Devono apparire nuovi personaggi o una situazione nuova. Almeno un bar diverso. Questo fa sì che una storia sia una concatenazione di piccole storie. Ma tutto nella vita reale è una concatenazione. Il corpo non è altro che un'accumulazione di piccole storie, molecole, atomi, che nel congiungersi lo creano. A ogni modo, una cosa è un racconto e altra cosa un romanzo. In un romanzo può entrarci di tutto, sì. Però un romanzo è un romanzo, ha delle regole: in un romanzo una storia che sia totalmente separata, come in un corpo, o si tramuta in un cancro che hai dentro, o si trasforma in qualcosa che esce, come un figlio, però nei miei romanzi, non esce niente, tutto è assolutamente coeso.
"È molto generoso da parte di Ignacio Echevarría, che fu colui che fece il commento. Per me Borges è senza dubbio il più grande scrittore di lingua spagnola del XX secolo, lo scrittore completo. Un gran poeta, un gran prosatore, un grande saggista, è perfetto. Borges è un mostro sacro. Borges è Borges. Voglio però puntualizzare che I detective selvaggi non è un insieme di storie: è un romanzo, ed è un romanzo con una struttura difficilissima e un'unità tremenda. Che da lì scaturisca una storia, non ha nulla a che vedere con l'unità del romanzo. Un romanzo, come dice Stendhal, è uno specchio lungo il cammino, sono storie che passano lungo questa passeggiata per il sentiero.
Alla ricerca del tempo perduto non è altro che una successione di piccole storie. Tuttavia, Alla ricerca del tempo perduto è un romanzo con una solida struttura. Ogni cambiamento, dal momento in cui metti il punto e a capo in un romanzo, in un modo o nell'altro ti pone di fronte a una nuova storia. È come il flusso e il riflusso del mare. Ogni volta che c'è un punto a capo, la storia deve prendere un nuovo respiro. Devono apparire nuovi personaggi o una situazione nuova. Almeno un bar diverso. Questo fa sì che una storia sia una concatenazione di piccole storie. Ma tutto nella vita reale è una concatenazione. Il corpo non è altro che un'accumulazione di piccole storie, molecole, atomi, che nel congiungersi lo creano. A ogni modo, una cosa è un racconto e altra cosa un romanzo. In un romanzo può entrarci di tutto, sì. Però un romanzo è un romanzo, ha delle regole: in un romanzo una storia che sia totalmente separata, come in un corpo, o si tramuta in un cancro che hai dentro, o si trasforma in qualcosa che esce, come un figlio, però nei miei romanzi, non esce niente, tutto è assolutamente coeso.
Roberto Bolaño
frammenti di un'intervista
Repubblica martedì 15 ottobre 2013
giovedì 12 dicembre 2013
Tutti noi siamo creature narrative
Siamo tutti Don Chisciotte. Io, tu, voi: tutti. Lo poteva dire a ragion veduta il suo creatore, sicuramente lo può dire Francisco Rico, a cui dobbiamo una magistrale edizione critica del capolavoro di Miguel de Cervantes. E lo possiamo dire tutti, perché la grandezza del Don Quijote de la Mancha è esattamente questa: "Rappresenta una volta per tutte il punto d'incontro della vita e della letteratura, il crocevia tra verità e finzione. Ci riguarda tutti, perché tutti noi siamo creature narrative: ci raccontiamo ogni giorno a noi stessi, tra la speranza di un domani alla misura del nostro desiderio e la nostalgia del come avrebbe potuto essere il passato, a volte fuggendo dalla realtà e altre volte fuggendo verso la realtà".
(...)
Qual è la cifra stilistica del romanzo?
"Il Chisciotte non è tanto "scritto" quanto "detto", steso senza sottostare alle costrizioni della scrittura, ma lasciando correre la penna come se fosse la voce, quindi con lo stile della lingua quotidiana e contro la lingua letteraria. Le persone e le cose, viste sotto il prisma domestico della vita, da una prospettiva familiare, vivono sul piano dell'esperienza di ogni giorno: avere elevato questa esperienza comune a norma della finzione romanzesca rappresenta un momento di capitale importanza nell'avventura letteraria europea".
Francisco Rico
frammenti dell'intervista a Benedetta Craveri
Repubblica martedì 5 novembre
(...)
Qual è la cifra stilistica del romanzo?
"Il Chisciotte non è tanto "scritto" quanto "detto", steso senza sottostare alle costrizioni della scrittura, ma lasciando correre la penna come se fosse la voce, quindi con lo stile della lingua quotidiana e contro la lingua letteraria. Le persone e le cose, viste sotto il prisma domestico della vita, da una prospettiva familiare, vivono sul piano dell'esperienza di ogni giorno: avere elevato questa esperienza comune a norma della finzione romanzesca rappresenta un momento di capitale importanza nell'avventura letteraria europea".
Francisco Rico
frammenti dell'intervista a Benedetta Craveri
Repubblica martedì 5 novembre
mercoledì 11 dicembre 2013
La vita dedicata alla scrittura è la vita segreta
La sua famiglia viveva a Drewsboro, in una villa elegante con pilastri ornamentali, verande e un portico. "Un autentico luogo sacro", come scrive lei, lontanissimo dal mondo e dalla mondanità. È un buon posto dal quale diventare uno scrittore?
"Il fatto che io sia nata in un posto isolato come la campagna irlandese mi ha messo in una prospettiva inedita. Non che fosse proprio un posto desolato, ma certo era poco conosciuto, un luogo vergine da raccontare. E i miei studi irregolari hanno contribuito a questa "originalità". Ai libri sono arrivata da sola, studiando in maniera frammentaria, avida. Forse se avessi ricevuto una formazione scolastica regolare sarebbe stato diverso. La natura, il paesaggio, il senso claustrofobico del mio mondo, tutte queste cose hanno contribuito a farmi diventare la scrittrice che sono. E la famiglia, certo".
(…)
Nella sua vita le case sono state molto importanti. Sembra
quasi che siano state usate per sostituire affettivamente il fallimento delle
famiglie, a partire da Drewsboro.
"Una volta il grande James Joyce ha detto una cosa meravigliosa. Lui e la sua famiglia, a causa delle difficoltà economiche, erano costretti a spostarsi spesso e a scappare dalle case di nottequando non riuscivano più a pagare l'affitto. Disse che le case sono dei"calamai infestati". Questa bella metafora per dire che ogni casa in cui aveva vissuto era anche la casa della sua mente, del suo immaginario e di conseguenza la casa delle storie della sua scrittura…”.
"Una volta il grande James Joyce ha detto una cosa meravigliosa. Lui e la sua famiglia, a causa delle difficoltà economiche, erano costretti a spostarsi spesso e a scappare dalle case di nottequando non riuscivano più a pagare l'affitto. Disse che le case sono dei"calamai infestati". Questa bella metafora per dire che ogni casa in cui aveva vissuto era anche la casa della sua mente, del suo immaginario e di conseguenza la casa delle storie della sua scrittura…”.
(…)
Una vita pienissima, ma anche decine di romanzi,
saggi, sceneggiature, testi teatrali. Pirandello diceva: "La vita o la si
vive o la si scrive": niente di più sbagliato, quindi?
"Una volta García Márquez ha detto una cosa molto saggia: "Io ho una vita privata, una pubblica e una segreta". Quella segreta è la vita che dedichiamo alla scrittura, l'unica vita che vorrei vivere ora, se non avessi così tante cose da fare. Ed è segreta perché l'immaginazione è impalpabile, misteriosa. Non sai mai di cosa scriverai fino a che non scrivi… ".
"Una volta García Márquez ha detto una cosa molto saggia: "Io ho una vita privata, una pubblica e una segreta". Quella segreta è la vita che dedichiamo alla scrittura, l'unica vita che vorrei vivere ora, se non avessi così tante cose da fare. Ed è segreta perché l'immaginazione è impalpabile, misteriosa. Non sai mai di cosa scriverai fino a che non scrivi… ".
Edna
O’Brien
frammenti
dell’intervista con Elena Stancanelli
Repubblica
sabato 7 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
L'assenza che è una presenza strana
L'insostenibile solitudine dei barattoli secondo Ferzan Ozpetek: "Sullo scaffale del supermercato c'erano solo due confezioni. Ne ho presa una, a casa avevo la scorta. Ho camminato un po', ho fatto il giro, poi sono tornato e ho preso anche l'altra. Non volevo lasciarla sola". Il regista di Le fate ignoranti vive la vita in simbiosi. Il suo è un mondo popolato di oggetti senzienti, magnifiche presenze, amori infiniti.
(...)
"Quando ho amici a cena mi piace isolarmi. Sentire le chiacchiere in sottofondo. Mi basta sapere che ci sono". Oppure, "mi capita di entrare in una stanza dopo che è venuto a trovarmi un amico. Guardo gli oggetti rimasti, la tazzina del caffè, il cuscino spostato. Mi emozionano le tracce, l'assenza di quelle persone, che è una presenza strana".
Ferzan Ozpetek
frammenti dell'intervista di Arianna Finos
Repubblica sabato 7 dicembre 2013
(...)
"Quando ho amici a cena mi piace isolarmi. Sentire le chiacchiere in sottofondo. Mi basta sapere che ci sono". Oppure, "mi capita di entrare in una stanza dopo che è venuto a trovarmi un amico. Guardo gli oggetti rimasti, la tazzina del caffè, il cuscino spostato. Mi emozionano le tracce, l'assenza di quelle persone, che è una presenza strana".
Ferzan Ozpetek
frammenti dell'intervista di Arianna Finos
Repubblica sabato 7 dicembre 2013
lunedì 9 dicembre 2013
Anche il cielo ha queste nuvole la cui evidenza è figlia della neve
Su rami carichi di
neve
Da un ramo innevato
all’altro, di anni
Trascorsi senza che
alcun vento ne spaventasse le foglie,
Come un disseminarsi
della luce
A tratti, mentre
avanziamo in questo silenzio.
E questa polvere
ricade infinita,
Non sappiamo bene se
un mondo esiste
Ancora, o se
raccogliamo nelle nostre mani umide
Un cristallo di realtà
perfettamente puro.
Colori per il freddo
più denso, di porpora e di azzurro
Che chiamate più in
lontananza del frutto,
Siete forse il nostro
sogno più duraturo
Di quanto non lo siano
prescienza o via?
Anche il cielo ha
queste nuvole
La cui evidenza è
figlia della neve,
E se svoltiamo per la
strada bianca,
È la stessa luce e la
stessa pace.
Se non che, è vero, il
mondo ha solo immagini
Simili a fiori che bucano la neve
Di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
Nel nostro sognare un giorno di festa.
Simili a fiori che bucano la neve
Di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
Nel nostro sognare un giorno di festa.
E non appena ci
chiniamo là a raccogliere
Bracciate della loro gioia nella nostra vita,
Eccoli subito morire, non tanto nell'ombra
Del loro cuore appassito ma nei nostri cuori.
Bracciate della loro gioia nella nostra vita,
Eccoli subito morire, non tanto nell'ombra
Del loro cuore appassito ma nei nostri cuori.
Ardua è la bellezza,
quasi un enigma,
E sempre da rincominciare è l'apprendistato
Del suo vero senso sul pendio del prato in fiore
Coperto qui e là di chiazze di neve.
E sempre da rincominciare è l'apprendistato
Del suo vero senso sul pendio del prato in fiore
Coperto qui e là di chiazze di neve.
Yves Bonnefoy
Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve
Traduzione di
Davide Bracaglia
Einaudi 2001
domenica 8 dicembre 2013
Saprei aspettare la tua voce in silenzio, per secoli di oscurità
Confidare
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
Antonia Pozzi
8 dicembre 1934
sabato 7 dicembre 2013
La perfetta mira di quest'aria d'inverno
Più fredda l'aria
Dobbiamo ammirare la perfetta mira
di quest’aria d’inverno, cacciatrice provetta
la cui arma spianata non ha bisogno di mirino,
se non fosse che, lontano o vicino,
la sua preda è sicura, il colpo netto.
L’infimo tra noi è così che tira.
di quest’aria d’inverno, cacciatrice provetta
la cui arma spianata non ha bisogno di mirino,
se non fosse che, lontano o vicino,
la sua preda è sicura, il colpo netto.
L’infimo tra noi è così che tira.
Per ridurre il margine d’errore
Sono ferme le barche e di gesso gli uccelli;
la galleria dell’aria coincide
con quella angusta che il suo sguardo incide.
Il centro del bersaglio, la pupilla,
collima con la mira e con l’ardore.
Sono ferme le barche e di gesso gli uccelli;
la galleria dell’aria coincide
con quella angusta che il suo sguardo incide.
Il centro del bersaglio, la pupilla,
collima con la mira e con l’ardore.
Ha il tempo in tasca, colò suo ticchettio
segna il passo su un attimo. Non cura
momento e circostanze, lei, ha invocato
l’atmosfera per questo risultato.
(E l’orologio chiude l’avventura
tra ruote e fogli e nubi a scampanio)
segna il passo su un attimo. Non cura
momento e circostanze, lei, ha invocato
l’atmosfera per questo risultato.
(E l’orologio chiude l’avventura
tra ruote e fogli e nubi a scampanio)
Elizabeth Bishop
Miracolo a colazione
Traduzione di Damiano Abeni, Riccardo Duranti e Ottavio Fatica
Adelphi 2005
Miracolo a colazione
Traduzione di Damiano Abeni, Riccardo Duranti e Ottavio Fatica
Adelphi 2005
venerdì 6 dicembre 2013
Scrivere è essere presi dal combattimento con i propri demoni
Un’altra cosa che accomuna me e Vargas Llosa è la
riflessione sul rapporto tra scrittura che inventa (la fiction che finge, potremmo anche dire che “mente”) e l’impegno per
la verità, ineludibile nel nostro confronto col mondo e con la necessità di
mutarlo. Nella raccolta di saggi che ho citato (Sables y utopías), Vargas Llosa denuncia la
caduta dell’impegno nella letteratura contemporanea, dato che nell’epoca
attuale parrebbe che molti autori abbiano rinunciato a quello che una volta si
chiamava l’engagement. Egli dice
inoltre che in America Latina uno scrittore non è soltanto scrittore ma,
inevitabilmente, qualcosa d’altro. E aggiunge che talvolta si è lacerati tra i
propri demoni e i propri doveri verso la causa pubblica e che, in tal caso,
bisogna essere fedeli in primo luogo ai propri demoni. È questo, ritengo, un
problema fondamentale per la letteratura, spesso una vera contraddizione. C’è l’intellettuale
che si vota essenzialmente ed esplicitamente alla causa pubblica e c’è lo
scrittore che è essenzialmente preso dal combattimento con i propri demoni. Cosa
succede quando uno scrittore è entrambe le cose, come certamente è lui e come sono
anch’io? Quando cioè si sente che queste due facce sono le facce di una stessa
medaglia, una cosa sola e contemporaneamente due cose diverse, e soprattutto
quando ci si rende conto che dall’una nasce una scrittura molto diversa da
quella che nasce dall’altra?
Leggere La casa verde
o Conversazione nella “Catedral” o
tanti altri libri di Vargas Llosa è un’esperienza simile ma anche molto diversa
dal leggere Sables y utopías.
Lo stile, la lingua sono radicalmente diversi, perché in un caso si tratta di
un linguaggio che vuole esplicitamente definire, giudicare, difendere o
combattere, mentre nell’altro si tratta di un linguaggio che vuole
essenzialmente narrare, far vivere le contraddizioni piuttosto che risolverle o
giudicarle. In un caso non si può, nell’altro si può e talora si deve deformare
la realtà per capirne il senso e la verità più profonda.
Non credo, soprattutto per quel che riguarda lo stile, che
si tratti di una scelta deliberata, perché uno scrittore non sceglie bensì fa
quello che può ossia quello che deve; è la vicenda, l’oggetto che gli dettano
per così dire lo stile, l’incalzare paratattico delle chiare e nette
definizioni oppure la struttura ipotattica che cerca di afferrare
contemporaneamente la complessità contraddittoria delle cose.
Claudio Magris e Mario Vargas
Llosa
La letteratura è la mia vendetta
Mondadori 2012
giovedì 5 dicembre 2013
L'ispirazione è la vuota regione dell'attesa
Alfabeti senza lingua e voci senza ritmo trascorrono sul bianco della pagina che attende un verso.
Le poetiche hanno dato il nome di ispirazione a questa vuota regione dell'attesa.
Tempo d'una privazione che attende d'essere colmata. Sogno di un patto tra il corpo e la lingua, tra il volteggiare delle immagini e le parole, tra l'essenza delle cose e i nomi.
L'attesa d'un verso è il bianco della pagina in cui tremano tutte le trasparenze di bianco prima che, accogliendo la parola, la pagina si faccia esperta dell'alfabeto degli uomini.
Antonio Prete
Il demone dell'analogia.
Da Leopardi a Valéry studi di poetica
Feltrinelli 1986
Le poetiche hanno dato il nome di ispirazione a questa vuota regione dell'attesa.
Tempo d'una privazione che attende d'essere colmata. Sogno di un patto tra il corpo e la lingua, tra il volteggiare delle immagini e le parole, tra l'essenza delle cose e i nomi.
L'attesa d'un verso è il bianco della pagina in cui tremano tutte le trasparenze di bianco prima che, accogliendo la parola, la pagina si faccia esperta dell'alfabeto degli uomini.
Antonio Prete
Il demone dell'analogia.
Da Leopardi a Valéry studi di poetica
Feltrinelli 1986
mercoledì 4 dicembre 2013
Attorno a noi, invisibili nell'aria, le idee si formano e si disfano continuamente come nuvole
Attorno a noi, invisibili nell'aria, le idee si formano e si disfano continuamente come nuvole.
(...) Noi possiamo modificare, trasformare, adattare la prima forma ad un contenuto pittorico, grafico o plastico, ma dobbiamo sinceramente dire che le idee non sono nostre, possiamo soltanto dire che si sono manifestate per mezzo di noi e il nostro merito sarà di aver preso contatto con il loro mondo al momento giusto, sarà di capire quando dobbiamo agire e quando di dobbiamo fermare, così che l'idea venga pura alla nostra luce.
Questi disegni, che oggi si chiamano astratti, non vogliono essere considerati come opere d'arte nel senso completo dell'espressione, ma presi per quello che sono: dei messaggi dal mondo delle armonie, leggibili solo da artisti, messaggi che già contengono un germe, quel germe che potrà dar vita a una nuova espressione d'arte.
Vi sono uomini e artisti e questi ultimi hanno il compito di rendere percepibile ai primi il mondo limpido delle armonie.
Bruno Munari
dalla presentazione del catalogo
Disegni astratti di Ciuti, Fontana, Lupo, Munari, Pintori, Radice, Soldati, Steiner, Veronesi.
G.G. Gorlich editore 1944
(...) Noi possiamo modificare, trasformare, adattare la prima forma ad un contenuto pittorico, grafico o plastico, ma dobbiamo sinceramente dire che le idee non sono nostre, possiamo soltanto dire che si sono manifestate per mezzo di noi e il nostro merito sarà di aver preso contatto con il loro mondo al momento giusto, sarà di capire quando dobbiamo agire e quando di dobbiamo fermare, così che l'idea venga pura alla nostra luce.
Questi disegni, che oggi si chiamano astratti, non vogliono essere considerati come opere d'arte nel senso completo dell'espressione, ma presi per quello che sono: dei messaggi dal mondo delle armonie, leggibili solo da artisti, messaggi che già contengono un germe, quel germe che potrà dar vita a una nuova espressione d'arte.
Vi sono uomini e artisti e questi ultimi hanno il compito di rendere percepibile ai primi il mondo limpido delle armonie.
Bruno Munari
dalla presentazione del catalogo
Disegni astratti di Ciuti, Fontana, Lupo, Munari, Pintori, Radice, Soldati, Steiner, Veronesi.
G.G. Gorlich editore 1944
martedì 3 dicembre 2013
Le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore
Giornata d’inverno
Cosa vuole questa luce strana?
Il giorno è sotto stelle bianche.
E i sogni germogliano sotto la luna.
La montagna ha parole racchiuse dentro di sé
ma il petto è rigido e la barba gelata.
Il fiume risponde con brevi riflessi, si apre per un attimo breve,
e i pini offrono un po’ di resina.
Il regalo scuote la neve
e il cavallo freme con il muso coperto di brina.
La legna spreme fuori una crosta di grasso gelato,
e il ghiaccio divora il taglio della scure.
Ma ora la vetta manda in mille pezzi il disco del sole, torce
il suo sguardo furtivo verso un mondo lontano.
Gli alti abeti candele sulle creste dei monti si spengono,
e gli alberi si acquietano nel bosco per la notte.
Il fiume sospira nella gola, condensa in ghiaccio la nostalgia di mare,
e le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore.
Cosa vuole questa luce strana?
Il giorno è sotto stelle bianche.
E i sogni germogliano sotto la luna.
La montagna ha parole racchiuse dentro di sé
ma il petto è rigido e la barba gelata.
Il fiume risponde con brevi riflessi, si apre per un attimo breve,
e i pini offrono un po’ di resina.
Il regalo scuote la neve
e il cavallo freme con il muso coperto di brina.
La legna spreme fuori una crosta di grasso gelato,
e il ghiaccio divora il taglio della scure.
Ma ora la vetta manda in mille pezzi il disco del sole, torce
il suo sguardo furtivo verso un mondo lontano.
Gli alti abeti candele sulle creste dei monti si spengono,
e gli alberi si acquietano nel bosco per la notte.
Il fiume sospira nella gola, condensa in ghiaccio la nostalgia di mare,
e le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore.
Olav H. Hauge
La terra azzurra
traduzione di Fulvio Ferrari
Crocetti editore 2008
lunedì 2 dicembre 2013
Da nuvola, da nebbia
ΕΛΠΙΣ, Speranza
Ma di questo confine, di questo muro
ferreo
l'orrenda porta è scardinata eppure
resta, per durata antica
di roccia.
Qualcosa si muove, sciolto e lieve:
da nuvola, da nebbia, da scrosciare
d'acqua si leva con noi alata –
la conoscete, folleggia ovunque
un batter d'ali – e dietro di noi,
gli eoni.
J. W. Goethe, 1827
traduzione di Camilla Miglio dedicata a un amico
che ha perso un amico
domenica 1 dicembre 2013
Se fosse il nome a custodire il segreto
Il segreto di Santa Lucia
Se fosse il nome a custodire
il segreto, se fosse oltre
la luce che porti dentro
il dono che illumina non
le fredde notti d’inverno ma
le ore fosche di quella notte
oscura che dimora nei cuori
senza più speranza.
È il nome che rivela la crepa
tra le nubi compatte d’occidente
è la luce che dipana la stagione
e intreccia i tempi per i giorni
che verranno dopo l’oscurità.
È il dono del tuo sguardo a noi
invisibile, che pur senza guardare
noi o il mondo, accoglie ogni
nostro dolore e sfiora i rami
spogli e le strade deserte, guida
i nostri passi nel viaggio lungo
di questa stagione fredda.
Elena Petrassi
Questa poesia è stata pubblicata sull'Eco di Bergamo di oggi, nel servizio dedicato a
CARA SANTA LUCIA…
Serata di luce e di doni tra musica e poesia
Seconda edizione (Iniziativa a scopo benefico a favore dell’Associazione Amici della Pediatria Onlus) che si terrà a Bergamo il 13 dicembre
Ideazione e progetto dello scrittore Alessandro Bottelli
con poesie e racconti di Ermanno Olmi, Nanni Balestrini, Mario Benedetti, Fernando Bandini, Pier Luigi Bacchini, Giancarlo Majorino, Roberto Mussapi, Gianni D’Elia, Franco Buffoni, Daniele Piccini, Danilo Bramati, Stefano Raimondi, Lorenzo Gobbi, Aldo Nove, Valeria Parrella, Gabriella Sica, Ida Travi, Vivian Lamarque, Elena Petrassi, Chandra Livia Candiani, Maria Pia Quintavalla, Giuseppe Conte, Giancarlo Pontiggia, Silvio Ramat, Valentino Zeichen, Andrea Vitali
Se fosse il nome a custodire
il segreto, se fosse oltre
la luce che porti dentro
il dono che illumina non
le fredde notti d’inverno ma
le ore fosche di quella notte
oscura che dimora nei cuori
senza più speranza.
È il nome che rivela la crepa
tra le nubi compatte d’occidente
è la luce che dipana la stagione
e intreccia i tempi per i giorni
che verranno dopo l’oscurità.
È il dono del tuo sguardo a noi
invisibile, che pur senza guardare
noi o il mondo, accoglie ogni
nostro dolore e sfiora i rami
spogli e le strade deserte, guida
i nostri passi nel viaggio lungo
di questa stagione fredda.
Elena Petrassi
Questa poesia è stata pubblicata sull'Eco di Bergamo di oggi, nel servizio dedicato a
CARA SANTA LUCIA…
Serata di luce e di doni tra musica e poesia
Seconda edizione (Iniziativa a scopo benefico a favore dell’Associazione Amici della Pediatria Onlus) che si terrà a Bergamo il 13 dicembre
Ideazione e progetto dello scrittore Alessandro Bottelli
con poesie e racconti di Ermanno Olmi, Nanni Balestrini, Mario Benedetti, Fernando Bandini, Pier Luigi Bacchini, Giancarlo Majorino, Roberto Mussapi, Gianni D’Elia, Franco Buffoni, Daniele Piccini, Danilo Bramati, Stefano Raimondi, Lorenzo Gobbi, Aldo Nove, Valeria Parrella, Gabriella Sica, Ida Travi, Vivian Lamarque, Elena Petrassi, Chandra Livia Candiani, Maria Pia Quintavalla, Giuseppe Conte, Giancarlo Pontiggia, Silvio Ramat, Valentino Zeichen, Andrea Vitali
Seduta nella fredda stanza di pietra sceglievo parole forti, granito, selce
Demetra
Dove
vivevo: inverno e terra dura.
Seduta nella fredda stanza di pietra
sceglievo parole forti, granito, selce,
per spezzare il ghiaccio. Il mio cuore spezzato,
provai con quello, ma sfiorò,
piatto, il lago gelato.
Veniva da molto, molto lontano,
ma alla fine la vidi, mia figlia,
la mia bambina, camminava lungo i campi,
a piedi nudi, a casa di sua madre
portava tutti i fiori di primavera. Giuro
che l'aria si fece dolce e tiepida al suo passaggio,
sorrise il cielo azzurro, senza posa alcuna,
con la piccola bocca timida della nuova luna.
Seduta nella fredda stanza di pietra
sceglievo parole forti, granito, selce,
per spezzare il ghiaccio. Il mio cuore spezzato,
provai con quello, ma sfiorò,
piatto, il lago gelato.
Veniva da molto, molto lontano,
ma alla fine la vidi, mia figlia,
la mia bambina, camminava lungo i campi,
a piedi nudi, a casa di sua madre
portava tutti i fiori di primavera. Giuro
che l'aria si fece dolce e tiepida al suo passaggio,
sorrise il cielo azzurro, senza posa alcuna,
con la piccola bocca timida della nuova luna.
Carol Ann Duffy
Traduzione di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti
Where I lived –
winter and hard earth.
I sat in my cold stone room
choosing tough words, granite, flint,
to break the ice. My broken heart –
I tried that, but it skimmed,
flat, over the frozen lake.
She came from a long, long way,
but I saw her at last, walking,
my daughter, my girl, across the fields,
in bare feet, bringing all spring’s flowers
to her mother’s house. I swear
the air softened and warmed as she moved,
the blue sky smiling, none too soon
with the small shy mouth of a new moon
I sat in my cold stone room
choosing tough words, granite, flint,
to break the ice. My broken heart –
I tried that, but it skimmed,
flat, over the frozen lake.
She came from a long, long way,
but I saw her at last, walking,
my daughter, my girl, across the fields,
in bare feet, bringing all spring’s flowers
to her mother’s house. I swear
the air softened and warmed as she moved,
the blue sky smiling, none too soon
with the small shy mouth of a new moon