giovedì 31 gennaio 2013

Gennaio

Avevo uno specchio
Dove ciò che vedevo non era più me stesso
Ma pal­pe­bre chiuse su braci
Un mondo rosa e profondo

Occorre che io lo spezzi
Prima che mi nasconda l’aria

Oh que­sto fuoco che ancora una volta corre all’aurora
Nato dal sonno dell’orizzonte
E sui vetri que­sta saliva di gelo
Il fuoco che avvampa per­ché le mon­ta­gne sono sdraiate
Per­ché hanno chiuso gli occhi
Nell’azzurro del sonno un fuoco si accende
Mon­ta­gne che sognano
Inna­mo­rate

Pas­serò la notte in que­sta barca. Nes­suna lan­terna né a prua né a poppa.
Nulla se non qual­che stella nella madre­perla dell’acqua e il moto asso­pito della cor­rente. Arri­verò a una riva incerta, segna­lata dai radi gridi dei primi uccelli, spaventati.
Anime sot­tratte al mondo per­ché spe­rare in un simile accesso? Ci sono forse delle spe­cie di gridi sco­no­sciuti, uno sguardo che nulla ferma, che nulla può stre­mare – qual­cosa che va oltre ogni sapere, ogni imma­gi­na­zione, ogni desiderio?

Con que­sti lun­ghi grandi freddi, nella terra diven­tata come pie­tra, i futuri fiori nelle loro cap­sule, nei loro astucci.
Uccelli acco­stati alle case.

Cascata nera sospesa
Cosa miste­riosa, equina
Piu­mag­gio
Cosa da torcere
Bru­ciante vici­nis­simo a noi
Vello, tiz­zone, tor­cia rovesciata
Fiamma della notte nel giorno
Ferro nel nostro cuore.


Que­sta poe­sia di Phi­lippe Jac­cot­tet, con tra­du­zione di Anto­nella Anedda è tratta dal volume
I Poeti della malin­co­nia, a cura di Bian­ca­ma­ria Frabotta
Don­zelli, 2001

La potete trovare anche su Rable un sito interessantissimo dedicato alla letteratura.

mercoledì 30 gennaio 2013

Silenzio, e poi

Sono un pezzo di legno bianco.
E anche tu.
Di un altro colore.

Silence, et puis

Je suis un bout de bois blanc.
Et vous aussi.
D'une autre couleur.

Marguerite Duras
C'est tous
traduzione di Donata Feroldi
Piccola Biblioteca Oscar Mondadori 1996


martedì 29 gennaio 2013

Scrivere è cercare di costruire una lingua essenziale

Perché scrivi?

Fin da ragazzo ho sentito che dovevo scrivere. Mi colpiva una frase, una persona, una parola, una situazione e dentro di me si metteva in moto qualcosa di indistinto e così sentivo il bisogno di comperare una penna, un quaderno e partendo da quella cosa appena percettibile, cominciavo a scrivere un racconto.
Questo processo non è mai cambiato. Leggendo, vivendo, assistendo a uno spettacolo, spesso mi prende il desiderio di annotare un particolare.
Può essere una scena di un romanzo e o di un racconto.
Poi la scrittura diventa un lavoro quotidiano, artigianale. Cerco di costruire una lingua semplice, essenziale, ed è la cosa più difficile da ottenere.
Non voglio pensare a come sarebbe la mia vita se non scrivessi. Credo di non poterlo nemmeno immaginare.

Alain Elkann

lunedì 28 gennaio 2013

Scrivo perché a furia di scrivere imparerò

Perché scrivi?

Non so trovare una sola risposta, quindi:
- è la domanda più indiscreta che abbia mai ricevuto;
- per non morire;
- perché è l'unica cosa che mia pare di saper fare;
- perché a furia di scrivere, forse un giorno imparerò.

Lea Vergine

domenica 27 gennaio 2013

Scrivere è la mia felicità


Perché scrivi?

Perché scrivo?
Perché non posso fare altrimenti. Perché scrivere è la mia felicità e la mia pena. Perché è quello che mi piace di più fare al mondo. Perché sarei infelice se non lo facessi.
E questo è tutto.

Rosetta Loy

sabato 26 gennaio 2013

Scrivo per scoprire perché scrivo


Io scrivo per scoprire perché scrivo. È un circolo vizioso: non si esegue un’azione, ma si risale verso l’intenzione.

Valerio Magrelli

venerdì 25 gennaio 2013

Se sapessi perché scrivo non scriverei più


Perché scrivi?

Io ho sempre creduto di poter rispondere così: scrivo per scrivere un libro migliore del precedente. Era la stessa risposta di Calvino: mi andava bene. 
Ora, il due di ottobre, dopo le riflessioni di agosto e settembre, vorrei, caro Camon, rispondere esattamente con queste parole: credo che se lo sapessi non scriverei più.

Giorgio Montefoschi

giovedì 24 gennaio 2013

Perché scrivo: Giovanni Raboni


Perché scrivi?

Potrei dire che ricordo di aver scritto poesie per ragioni molto diverse fra loro: per tristezza e per euforia, per custodire un’esperienza e per cancellarla, per risarcirmi d’una mancanza e per investire un sovrappiù di gioia. 
Ma forse ciò che ricordo è soltanto che queste motivazioni mi sono parse via via momentaneamente e magari irresistibilmente credibili – via via e, per così dire, nel contesto o nell’alone emotivo di quella determinata poesia. 
E così, se mi provo a generalizzare, l’unica cosa che ritrovo ogni volta e sulla quale, se ne fossi capace, potrei costruire una risposta «teorica» è qualcosa di infinitamente meno personale, qualcosa che mi riguarda non come individuo, ma come appartenente alla specie: l’istinto di sopravvivenza.

Giovanni Raboni

mercoledì 23 gennaio 2013

Perché scrivo: Andrea De Carlo

Perché scrivi?

Scrivo perché non sono mai riuscito a stabilire con il mondo rapporti meno obliqui; perché non mi piace la realtà che ho intorno e vorrei costruirne un'altra; perché è l'unico modo che ho di esplorare più di una delle infinite possibilità simultanee che offre la vita.

Andrea De Carlo

martedì 22 gennaio 2013

Perché scrivo: Antonio Tabucchi

Perché scrivi?

All'inizio perché mi piaceva, poi, piano piano, per una compagnia di me stesso della quale non potevo più fare a meno.

Antonio Tabucchi

lunedì 21 gennaio 2013

Scrivere significa scavare nella propria esperienza

Scrivere vuol dire perdere la propria inibizione, scavare profondamente nella propria esperienza e trovare la prosa per riportarla in vita.

Philip Roth
da un articolo di Angelo Aquaro
La Repubblica sabato 19 gennaio 2013

domenica 20 gennaio 2013

Perché scrive Stefano Benni


Perché scrivi?

Perché mi piace leggere.


Perché scrivete?

Nell'ormai remoto 1989 la collana-rivista Nord-Est diretta da Ferdinando Camon pose l'oziosa e gustosa domanda a 109 scrittori italiani. A distanza di tanti anni è una rilettura interessante. Molti di quei 109 sono finiti nell'oblio letterario, parecchi sono ancora sotto la scena, qualcuno mi  chiedo come abbia fatto a restare in circolazione. Comunque sia ho deciso di copiare un po' di quelle risposte.

Perché scrivete ? Rispondono 109 scrittori italiani
Nord- Est
Garzanti 1989

sabato 19 gennaio 2013

Un pomeriggio russo a Milano (passando per Parigi)


Una luce bianca e grigia, la pioggia sottile che faceva risplendere l’asfalto e i palazzi, donne con il colbacco che parlavano russo. Ho camminato a lungo senza ombrello, guardando i visi e cercando storie nei frammenti di conversazione che coglievo. A volte anche una parola soltanto è finita nel mio paniere in attesa di essere intessuta con altre parole in una nuova narrazione. Un uomo di età indefinita suonava un organetto e Parigi si è stagliata in fondo al viale che sbuca su una piazza antica dove un piccolo giardino, un’edicola, un fioraio, fanno da cornice alla bancarella dei libri usati che occupa quel pezzo di marciapiede da ottanta anni. Me lo ha raccontato Stefano, il proprietario, che ho interrotto mentre stava pulendo con certosina accuratezza, uno dei sessantuno volumi della collana dei cento libri Longanesi che ha appena comprato dopo una lunga trattativa. Ama i libri Stefano, al punto che non sente il caldo d’estate e il freddo ostile dell’inverno milanese. Da quando ne abbiamo parlato, qualche mese fa, quando sto per arrivare da lui, immagino che, se i libri di carta sparissero, al posto della sua bancarella da bouquiniste troverei una triste colonnina come quelle dei parcheggi e con un bancomat potrei scaricare un e-book sul mio reader. Invece arrivo e ogni volta piegando il collo sulla spalla mi fermo a leggere i titoli sui dorsi delle copertine e poi chiacchiero con lui e a volte anche con qualche altro cliente bibliomane come noi due. Riprendo  a gironzolare per il quartiere e di nuovo le donne russe con il colbacco attraversano la mia strada. Ora nevica, una fitta caduta di fiocchi piccoli e ghiacciati che tamburellano contro la superficie delle cose. L’altra sera ho scritto che i fiocchi di neve sono pensieri rimasti troppo a lungo su una stella. Ne hanno assorbito la luce e la lontananza. Ma qui a Milano oggi pomeriggio le stelle se ne stavano nascoste oltre le nuvole fitte, mente Parigi e San Pietroburgo erano bagnate dallo stesso fiume, impercettibile dagli occhi e sensibile al mio vagabondare. Proust e Dostoevskij, in compagnia di Čechov abitano in questo pomeriggio invernale, mentre “Un’immensa distesa a est del cuore, ecco ciò che si era spalancato in me a questa prima lettura, grazie al potere dei nomi, delle immagini, e anche quelle mappe che precisavano l’itinerario…”*. 
Le parole oggi sono la mappa per decifrare la città invisibile che abita in me.

E.P.
* Philippe Jaccottet La parola Russia
a cura di Antonella Anedda
Donzelli Editore 2004

venerdì 18 gennaio 2013

I libri per me fecondi

Ricordo che non lessi Il mare non bagna Napoli ma lo bevvi, lo assorbii. Ne rimasi incantata. A turbarmi era una sensazione strana, nuova: la chiamerei di fecondità.
Cosa intendo? Intendo il racconto di una vita profondamente sentita. Intendo uno spessore e un risalto dato agli eventi, anche minimi, quasi fossero attraversati da un significato che non si vede perché scorre sotto, molto sotto, come una vena d'acqua. Intendo l'immediatezza delle parole che sgorgano dal centro degli affetti, senza trascurare il Logos, com'è abitudine diffusa, senza espellere gli opposti. La prosa si dispone così attorno a chi legge, come un grembo denso, amorevole, non come un edificio. Mi viene da dire che la prosa è stata composta non innalzata, come le opere di certi grandi romanzieri.

Dunque, per molti anni, la parola "fecondità" io l'associai alla scrittura della Ortese, come un'etichetta. Il mare non bagna Napoli fu il primo esempio. Poi a poco a poco la serie dei libri, per me fecondi, si ampliò e contenne molti esempi; le poesie di Emily Dickinson e di Christina Rossetti, i racconti di Carson Mc Cullers, i romanzi di Anna Banti, di Madame de Lafayette, di Jane Austen.
Poiché ero in cerca della mia identità - io credo che identità poetica e identità reale debbano procedere di pari passo e versarsi in un unicum che è vita e forma - entravo in quelle letture, come in intimi luoghi dove mi raccoglievo quasi fosse un convento. E mi riconoscevo. Sì, perché lì, in quei recinti, incontravo il linguaggio a me affine: quello che scaturiva dalle mie stesse esperienze, formava le mie stesse similitudini, s'intesseva di pensieri non troppo lineari, bensì permeati di commozione. Era il linguaggio della mia peculiarità femminile.

Grazia Livi
Narrare è un destino
La Tartaruga edizioni 2002

giovedì 17 gennaio 2013

Leggere ci desta alla pienezza della nostra natura

Noi siamo bombardati tutto il giorno da astrazioni. Ma d'improvviso leggiamo un bel libro nel torpore dove siamo adagiati, questo ci aiuta a destarci alla pienezza della nostra natura.

Robert Penn Warren

mercoledì 16 gennaio 2013

Un'ansia del segreto delle stelle

Tutto ero mistero per la mia fede, la mia vita era tutta "un'ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull'abisso". 
Ero bello di tormento, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. 
Poi fuggii. Mi persi per il tumulto delle città colossali, vidi le bianche cattedrali levarsi congerie enorme di fede e di sogno colle mille punte nel cielo, vidi le Alpi levarsi ancora come più grandi cattedrali, e piene delle grandi ombre verdi sugli abeti, e piene della melodia dei torrenti di cui udivo il canto nascente dall'infinito del sogno. 
Lassù tra gli abeti fumosi nella nebbia, tra i mille e mille ticchiettìi le mille voci del silenzio svelata una giovine luce tra i tronchi, per sentieri di chiarìe salivo: salivo alle Alpi, sullo sfondo bianco delicato mistero. 
Laghi, lassù tra gli scogli chiare gore vegliate dal sorriso del sogno, le chiare gore i laghi estatici dell'oblìo che tu Leonardo fingevi. 
Il torrente mi raccontava oscuramente la storia. 
Io fisso tra le lance immobili degli abeti credendo a tratti vagare una nuova melodia selvaggia e pure triste forse fissavo le nubi che sembravano attardarsi curiose un istante su quel paesaggio profondo e spiarlo e svanire dietro le lancie immobili degli abeti. 
E povero, ignudo, felice di essere povero ignudo, di riflettere un istante il paesaggio quale un ricordo incantevole ed orrido in fondo al mio cuore salivo: e giunsi giunsi là fino dove le nevi delle Alpi mi sbarravano il cammino. 
Una fanciulla nel torrente lavava, lavava e cantava nelle nevi delle bianche Alpi. 
Si volse, mi accolse, nella notte mi amò. 
E ancora sullo sfondo le Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricordo s'accese la purità della lampada stellare, brillò la luce della sera d'amore.

Dino Campana
frammento dai Canti Orfici

martedì 15 gennaio 2013

Leggere è sporcare i libri di salsa di pomodoro


Che cosa faceva in quel periodo? 
«Prima di essere una scrittrice io sono una lettrice, lo sono sempre stata».
Fin da piccola divoravo London, Faulkner e molta fantascienza. Anche oggi i miei libri sono sporchi di salsa di pomodoro perché non riesco a staccarmi da una lettura nemmeno quando cucino». 

Il suo racconto più famoso cita le montagne. Ma a lei piace anche l'oceano... 
«Tutto è cominciato quando i miei genitori affittarono una casa quasi diroccata sulla costa del Maine per 25 dollari la settimana. Si trattava di una casupola arrampicata su una piccola scogliera a picco sull'oceano. Ricordo il sentiero che ci portava nelle piscine naturali formate dalla marea. È stata una settimana di esplorazione, ricerca di conchiglie, studio delle alghe marine e delle piccole creature che vivevano in quelle pozze d'acqua. E poi la scoperta di monete perse nella sabbia e i ricci di mare».

Perché ricorda in particolare quell'esperienza? 
«Era un mondo senza tempo. A noi bambine quella casa sembrava un luogo perfetto in cui vivere, ma mia madre si lamentava per la cucina primitiva, un vecchio forno a cherosene con due fuochi. Non ci siamo mai più tornati; molti anni dopo, senza rendermene conto, ho comprato una casa in Newfoundland che assomigliava molto alla casa del Maine».

Cosa le manca di più, oggi? 
«L'oceano, appunto. Ho passato gli ultimi trent'anni della vita tra pianure e montagne. Mi manca il nord Atlantico, salato e ansimante, come manca a chiunque sia vissuto da quelle parti.
E ho visto molti mari: dall'oceano Indiano al mare della Tasmania, ma quello che parla al mio cuore è l'oceano Atlantico. Lì mi sentivo davvero in vacanza».

frammento dell'intervista di 
Antonio Monda Annie Proulx
la Repubblica 25 agosto 2011


lunedì 14 gennaio 2013

Scrivere un romanzo è non sapere come andrà a finire

Mi dica allora: quali sono i libri che l'hanno più appassionata quest'anno? 
«Ho letto molti classici: ho ripreso in mano i libri di Beckett, e sono rimasto colpitissimo, anche più di quanto potessi aspettarmi. Ho passato mesi a leggere i quattro volumi dell'opera completa. Poi mi sono concentrato su un altro grande scrittore irlandese: James Joyce, in particolare Gente di Dublino. Ritengo che "I morti", da cui John Huston ha tratto un bellissimo film, sia un capolavoro, e forse Joyce è lo scrittore che ha avuto il ruolo più importante nella mia formazione letteraria. Infine ho letto qualcosa che non è propriamente letterario, ma a me ha lasciato un segno profondo: i testi scritti da e su De Kooning, usciti in occasione della grande retrospettiva al MoMA. Mi affascina moltissimo il modo di raccontare di De Kooning...». 

(...)

Che differenza c' è tra scrivere un romanzo e un racconto? 
«Quando scrivo un romanzo, per molto tempo non so come andrà a finire. La brevità invece porta ad avere un'idea compiuta della storia». 
I racconti generalmente vendono meno dei romanzi: come mai? 
«Perché i lettori, me compreso, amano seguire le vicende dei personaggi che si sviluppano lentamente davanti ai loro occhi. Desideriamo qualcosa, ma soprattutto qualcuno, che sia accanto a noi per molto tempo». 
I temi e i luoghi sono comunque quelli ricorrenti nella sua opera: il cinema, l'arte moderna, lo sport, i terminal degli aeroporti... 
«Si tratta delle mie passioni. I terminal mi affascinano per la loro impersonalità, sono luoghi che dimentichiamo nel momento in cui partiamo: mi colpisce questo senso di asettica fallacia»

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Don DeLillo
la Repubblica 22 dicembre 2011

domenica 13 gennaio 2013

Scrivere è avere scelto la finestra da cui guardare

Prima bisogna avere scelto deliberatamente il proprio margine, la finestra da cui guardare. Allora il linguaggio fluisce e accoglie. Fluisce e accompagna lungo quella via rischiosa, piena di illusioni, dove l'inconscio si fa conscio a spese dell'abito, della maschera, del ruolo assunto o recitato, delle figure millenarie, assimilate senza saperlo.

Grazia Livi
Narrare è un destino
La Tartaruga Edizioni 2002

sabato 12 gennaio 2013

Il racconto è l'arte del futuro

Lei è famoso per i tempi lunghissimi che si prende per scrivere. 
«La prima storia è stata scritta in poche settimane, ma l'avevo in mente da tantissimo tempo, e l'ho lasciata ferma e ripresa più volte. Il tempo complessivo del racconto è stato superiore ad un anno». 

Perché nuovamente racconti, dopo un romanzo? 
«È una forma che amo molto: la trovo un'esercitazione nell' arte della psicologia. Spesso hanno meno successo dei romanzi ma credo che i tempi stiano cambiando e che la gente cominci ad apprezzarli sempre di più. Ho scritto questa raccolta di nascosto, mentre lavoravo alla commedia che debutterà il prossimo autunno e alla traduzione della Haggadah: non lo sapeva nessuno e non avevo alcun contratto. Non mi sono mai sentito così libero, ed ho anche cambiato le mie abitudini. Per la prima volta non ho scritto in un caffè ed ho pensato che con la scrittura bisogna avere il riguardo che si ha con il latte: mai lasciarlo troppo a lungo fermo, perché si guasta». 

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Nathan Englander in occasione dell'uscita della raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank
la Repubblica 2 gennaio 2012

venerdì 11 gennaio 2013

I nuclei di oscurità della scrittura

Ero dominata dalla passione del capire. Proprio per questo ero attratta dai "nuclei di oscurità" di cui parla Virginia Woolf: i luoghi nascosti della vulnerabilità, le profonde nicchie della vita interiore. Lì si addensano i significati. Lì risiede il coinvolgimento, cercato e temuto. Lì si annida l'emozione. Poiché avevo una grande sete di sapere, avrei voluto impossessarmi di quei nuclei oscuri attraverso la comprensione, per possedere qualche elemento di chiarezza. Sarebbe stato come avvicinarsi al mio ideale di scrittrice: una scrittura risonante, che passa attraverso il pathos, lo vive completamente e subito dopo lo supera in un atto più elevato di lucida comprensione.

Grazia Livi 
Narrare è un destino
La Tartaruga edizioni 2002

giovedì 10 gennaio 2013

Per lo scrittore la parola è invocazione

Lo scrittore ha un rapporto speciale con le parole: per uno scrittore la parola è invocazione. Lo scrittore si aspetta che la lingua gli apra un'altra dimensione, differente.

Nadia Fusini
La figlia del sole
Vita ardente di Katherine Mansfield
Mondadori 2012

mercoledì 9 gennaio 2013

Un frammento luminoso


Che farci se avete trent’anni e, svoltando l’angolo della vostra strada, vi sentite sopraffatta d’improvviso da un senso di felicità – una felicità assoluta – come se aveste inghiottito un frammento luminoso di questo tardo sole pomeridiano, che vi arda giù nel fondo, mitragliandovi di una piccola gragnola di raggi in ogni particella, in ogni dito della mano e del piede?

(…)

Ma nel fondo di lei c’era ancora quel punto luminoso e ardente: quella gragnuola di piccoli raggi che ne sprizzava. Una cosa quasi insopportabile.
A malapena ardiva di respirare, per tema che divampasse più alta, e tuttavia respirava tanto, tanto profondo.

(…)
        
Andò in salotto e accese il fuoco, poi, presi a uno a uno i cuscini che Mary aveva disposto con tanta cura, li scaraventò sulle poltrone e sui divani.
Tutta la differenza era qui: subito la stanza si mise a vivere. Mentre stava per lanciare l’ultimo, si meravigliò di trovarsi all’improvviso a stringerlo a sé, appassionatamente, appassionatamente. Ma questo non servì a estinguerlo quel fuoco nel profondo. Anzi, al contrario.
Le finestre del salotto si aprivano su una terrazza che dava sul giardino. Proprio sul fondo, contro il muro, sorgeva un alto pero sottile nella più piena, ricca fioritura; si ergeva perfetto, come fissato contro il cielo verde giada. Anche a quella distanza, Bertha non poté a meno di sentire che esso non aveva neppure un germoglio, neppure un petalo gualcito. Giù in basso, nell’aiola del giardino, i tulipani rossi e gialli, tutti in fiore, parevano curvarsi sul buio. Un gatto grigio, strascicando il ventre, sgusciava attraverso il prato e uno nero, la sua ombra, gli si trascinava dietro.
Al vederli, così assorti, Bertha fu presa da un brivido.
“Che cosa da rabbrividire, i gatti!” balbettò, e si allontanò dalla finestra e prese a passeggiare avanti e indietro.
Come odoravano forte le giunchiglie nella calda stanza. Troppo forte? Oh, no. E tuttavia, come sopraffatta, si buttò su un divano, premendosi le mani sugli occhi.
“Sono troppo felice… troppo felice!” mormorò. E le parve di vedere sulle proprie palpebre il delizioso albero di pere coi bocci tutti aperti, quale un simbolo della sua vita.
Davvero… davvero… aveva tutto. Era giovane. Lei e Harry erano innamorati quanto e come sempre, e procedevano insieme meravigliosamente ed erano davvero buoni amici. Aveva una bambina stupenda. Preoccupazioni di denaro non ce n’erano. Avevano quella casa di tutta soddisfazione, e il giardino. E amici – moderni, amici eccitanti, scrittori e pittori e poeti e persone che si intendevano di problemi sociali – proprio il genere di amici che desiderava. E poi c’erano i libri, e c’era la musica, e lei si era trovata una meravigliosa piccola sarta, e nell’estate sarebbero andati all’estero, e la nuova cuoca faceva le più squisite omelettes…
“Sono assurda. Assurda!”. Si levò a sedere, ma si sentì completamente stordita, completamente ubriaca. Doveva essere la primavera.
Sì, era la primavera.

(…)

“Il suo stupendo albero di pere – albero di pere – albero di pere!”.
Bertha letteralmente si precipitò all’ampia finestra.
“Oh, e che cosa succederà adesso?” esclamò.
Ma l’albero di pere era stupendo come sempre, e sempre carico di fiori e sempre immoto.

Katherine Mansfield Felicità in Tutti i racconti I
Traduzione di Giacomo Debenedetti
Adelphi 1978

Katherine Mansfield

Oggi è il 90° anniversario della morte di Katherine Mansfield.
Per ricordarla ho scritto una recensione del romanzo La figlia del sole che Nadia Fusini le ha dedicato.

Il testo è stato pubblicato oggi sul blog di poesia della rai a cura di Luigia Sorrentino

E.P.

martedì 8 gennaio 2013

Scrivere è vedere in tre dimensioni

Ritiene che il cinema abbia influenzato la sua scrittura? 

«Quando scrivo cerco di vedere in tre dimensioni, e tento di non avere mai uno stile da saggista, dove l' ambientazione è astratta e generalizzata. Mi piace pensare ai colori, alle forme, alle facce, agli oggetti. Anche se descrivo un uomo solo in una stanza penso ad esempio al colore del muro. E credo che questo approccio debba molto al cinema».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Don DeLillo
la Repubblica 17 maggio 2012

lunedì 7 gennaio 2013

La vera biografia di uno scrittore dovrebbe coincidere con il suo stile

«Devo a Nabokov se ho cambiato il modo di vedere non solo la letteratura, ma anche la vita». 
Lei ama la letteratura ma dichiara di aver "paura dei libri e della lettura". «Perché è un amore che richiede uno sforzo enorme: chi vuole assorbire la sostanza di un libro deve pagare un prezzo. Per leggere Ada ci ho messo cinque mesi, ma quel libro mi ha fatto capire che una delle funzioni più importanti della letteratura è quella di insegnare a vedere il mondo». 
È d'accordo con Nabokov quando afferma "non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo"? 
«Certo: Paul Valéry sosteneva che la letteratura comincia alla seconda lettura: la prima volta si segue la letteralità, poi arriva la consapevolezza,e si apprezza la magia del linguaggio, entrando in un mondo diverso». 
Perché sostiene che sia necessario "indovinare i libri che desideriamo con il cuore o di cui abbiamo realmente bisogno"? 
«Perché purtroppo la vita è troppo breve per poter leggere tutto. Sta a noi intuire i libri che possono cambiarci la vita, e ricordo che in Se una notte di inverno un viaggiatore Calvino scrive una cosa suggestiva: anche i libri non letti che teniamo vicino a noi ci impregnano della nostra sostanza». 
Nabokov scrive: "Perfino nell' oscurità o nella morte le cose vibrano di radiosa bellezza. La luce si trova ovunque" si tratta di un approccio religioso? 
«In Nabokov è presente una grande dimensione metafisica e mistica, della quale parla in maniera pudica. Era una persona che aveva fede nella bontà fondamentale di ogni cosa, e questa concezione ha radici nella religione. Nonostante la violenza e il caos del mondo, continuava a credere che esistesse un disegno armonico nell' universo, del quale sta a noi cogliere la trama nascosta. Lui usa il termine russo "blazenstvo",e nei suoi libriè sempre presente una luminosità unica, che a volte si coglie in dettagli che ci fanno intuire un disegno più grande. Io ritengo con Nabokov che il crimine più grande dell' uomo moderno sia stato quello di aver smesso di guardare, e cito sempre quel suo racconto in cui scrive: "Quest' uomo è un pessimista, e come tutti i pessimisti era una persona ridicola per quanto non sapesse osservare"».

(...)

Lei scrive: "La vera biografia di uno scrittore dovrebbe coincidere con il suo stile". 
«Era una cosa in cui credeva Nabokov: non sono mai stata troppo interessata alle convinzioni o alla biografia degli scrittori. Non riuscirei, ad esempio, ad apprezzare un grande autore come Celine. Per lo scrittore la sostanza è nella lingua, nell' originalità e nell' immaginazione che finisce per prevalere sulla realtà». 
È vero che polemizzò con un editor del New York che gli chiedeva di semplificare alcuni passaggi di un suo scritto? 
«Sì e difese la "tortuosità che mi appartiene, e che solo a prima vista può sembrare sgraziata e oscura", concludendo: «perché non lasciare che il lettore rilegga un periodo di tanto in tanto? Non può fargli male».

frammento dell'intervista di Antonio MondaLila Azam Zanganeh
in occasione dell'uscita del suo libro Un incantevole sogno di felicità 
traduzione di Stefania Rega
L' ancora del Mediterraneo 2011

domenica 6 gennaio 2013

Il tormento con cui si scrive

«Mi sono accorto che la scrittura dei romanzi non mi tiene sufficientemente impegnato - racconta - e credo che per me sia sano alternare la narrativa alla saggistica». 
Si ritiene un romanziere che scrive saggi o viceversa? 
«Negli anni ho imparato a rispettare sia gli scrittori di saggi che gli autori di memoir: sarebbe assurdo che un romanziere li guardasse dall' alto in basso. Tuttavia, se devo rispondere onestamente, mi considero un romanziere che scrive ogni tanto dei saggi». 
In uno dei saggi parla con freddezza dell' Ulisse di Joyce. 
«Ovviamente stiamo parlando di un grande capolavoro per il quale provo 
un'enorme ammirazione, tuttavia ritengo che sia un progetto letterario freddo, paragonato a esempio a quello che è riuscito a fare Beckett per descrivere 
l'orrore dell' esistenza e creare un testo sperimentale che corrispondesse a quel sentimento. Non si tratta di una questione di grandezza, ma di vulnerabilità: leggere Joyce mi dà l'impressione di trovarmi di fronte a quelle brillanti menti gesuite che prima pensano e poi provano dei sentimenti». 
Qual è la vulnerabilità che ammira? 
«Dostoevskij: ne gronda in ogni pagina, e senti il tormento con cui scrive. Ma anche in Proust senti lo scrittore che si mette in gioco». 
Il libro attacca frontalmente Harold Bloom, che non ha mai amato i suoi libri. 
«Anche in questo caso non metto in discussione la sua grandezza di critico per quanto riguarda la poesia, ma il suo approccio funziona molto meno per il romanzo. Inoltre ha uno sguardo maschilista, e apprezza solo i grandi scrittori della sua generazione». 
Mentre lei ammira Paula Fox e Alice Munro. 
«Della prima arrivo a dire che nessuno tra Bellow, Roth e Updike ha mai scritto un singolo romanzo del livello di Quello che rimane, mentre ritengo la Munro semplicemente il più grande autore vivente».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Jonathan Franzen
in occasione dell'uscita della raccolta di saggi Più lontano ancora 

la Repubblica 23 maggio 2012

sabato 5 gennaio 2013

Scrivere è tacere e parlare al contempo

Y.A.: Scrivere, a cosa serve?
M.D.: È tacere e parlare al contempo. Scrivere.

È anche cantare, a volte.

Marguerite Duras 
C'est tout
traduzione di Donata Feroldi
Oscar Mondadori 1996


venerdì 4 gennaio 2013

L'amore è un'esperienza che fa intuire l'eternità


«Davvero esiste qualche differenza tra l'amore che viviamo e quello che ci appassiona leggendolo nei libri?». 
Così l'autore, che con The Hours ha vinto il Pulitzer, compila una sorta di biblioteca esistenziale: 
«È difficile citare un grande libro che non parli d'amore: Madame Bovary, Anna Karenina, Morte a Venezia, Il Grande Gatsby, Ulisse, Cent'anni di solitudine. Ogni libro importante che ho letto non solo ha influenzato la mia scrittura e la mia vita, ma ha allargato i miei orizzonti sull'amore». 
Nel modo in cui racconta i propri gusti emerge a volte un elemento dolorosamente intimo, che aiuta a chiarire le scelte letterarie: 
«Spesso ho regalato libri che parlano d'amore: letteratura e cinema sono mediazioni e visioni insieme e ci servono perché sono convinto che l'amore sia un'esperienza che ci fa intuire l'eternità». 
Chi ha scritto le pagine migliori sul tema? 
«Tolstoj con Anna Karenina e Thomas Mann con Morte a Venezia.
E nonostante non sia uno dei miei libri preferiti, Schiavo d'amore di Somerset Maugham è una delle storie d'amore più appassionate che siano mai state scritte».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Michael Cunningham
Repubblica 12 settembre 2012

Appunti per un romanzo


Un personaggio che è troppo nevrotico per funzionare nella vita...
..ma che funziona solo nell'arte.

Appunti per un romanzo

Inizio possibile.

Rifkin conduceva una frammentaria, disarticolata esistenza.
Era arrivato da tempo a questa conclusione: 
tutti conosciamo la stessa verità, la nostra vita consiste nel come scegliamo di distorcerla.
Solo la sua prosa era serena. 
Quella prosa che in più di un’occasione gli aveva salvato la vita..

monologo finale del film Harry a pezzi di Woody Allen

mercoledì 2 gennaio 2013

Stamattina ho ritagliato una notizia

Stamattina ho letto sul giornale una notizia che mi ha impressionato, e l'ho ritagliata per conservarla in un cassetto del mio schedario, insieme ai tanti ritagli che in questi anni mi hanno aiutato a vivere.

Ernesto Sabato
Prima della fine
traduzione di Raul Schenardi
Edizioni SUR 2011

martedì 1 gennaio 2013

Respira esperienza, espira poesia

Frammento poetico per l'anno che inizia:

Respira esperienza, espira poesia.

Breathe-in experience, breathe out poetry

Muriel Rukeyser
Poem out in Childhood
in Theory of flight 
Yale University Press 1935